Caffè VS Alcol | Una mini storia sociale psicoattivamente eccitante

Caffè VS Alcol | Una mini storia sociale psicoattivamente eccitante

di Nicola Cereda

Siamo tutti drogati

Al netto delle dovute eccezioni, la nostra percezione della realtà è costantemente alterata dall’effetto della caffeina, il composto psicoattivo che provoca dipendenza nella maggior parte della popolazione mondiale. Matthew Walker, neuroscienziato e direttore del Center for Human Sleep Science dell’Università della California, afferma che il consumo di questa sostanza “rappresenta uno dei più lunghi e più vasti studi non controllati sulla droga mai condotti sulla specie umana”. Chissefrega, in fondo, se non consideriamo la dipendenza in senso morale o patologico.

Caffè progresso, alcol regresso

Secondo il dizionario Treccani, il termine caffè deriva dall’arabo qahwa, parola antica che indica tanto il vino quanto una generica bevanda eccitante, ed è proprio nel mondo islamico (dove l’alcol è bandito) che il cosiddetto “vino d’Arabia” prende piede e si diffonde nel corso del XV secolo. Quando, a metà del Seicento, sbarca in Europa (via Impero Ottomano) il suo effetto è dirompente. Lo storico Jules Michelet non ha dubbi su quale sia stato il vero carburante della Rivoluzione francese, come riporta in Histoire de France: “il caffè, liquore sobrio, potentemente cerebrale, che a differenza degli alcolici, accresce la chiarezza e la lucidità […] Buffon, Diderot e Rousseau videro nelle profondità della nera bevanda il futuro raggio dell’89”.

Nel Settecento, i Caffè sono i luoghi di ritrovo dove fermentano le idee e si innova la cultura. Nel 1764 a Milano, Pietro Verri fonda con un gruppo di intellettuali “Il Caffè”, periodico destinato a diventare il principale strumento di diffusione del pensiero illuminista in Italia. Scrive Michael Pollan nel suo ultimo e affascinante libro Piante che cambiano la mente: “Tè e caffè inaugurarono una trasformazione del clima mentale, acuendo menti che erano prima annebbiate dall’alcol e liberando le persone dai ritmi naturali del corpo e del sole, così da rendere possibili tipi del tutto nuovi di lavoro, e molto verosimilmente, anche nuovi tipi di pensiero”. Vien quasi da credere che prima della comparsa della caffeina gli europei fossero solo una masnada di bradipsichici alcolizzati… Frattanto il tempo vola, il mondo spinge forte sull’acceleratore e l’alcol, con l’avvento della Rivoluzione industriale, da fonte di calorie per i ceti meno abbienti, si trasforma in nemico della produttività in quanto responsabile di abbassare il livello d’attenzione, concentrazione e resistenza, inficiando velocità d’esecuzione e qualità del lavoro. La caffeina prende il sopravvento fino a diventare il vero volano del capitalismo. Ancora oggi, molte aziende lasciano che i lavoratori usufruiscano gratuitamente del caffè dai distributori automatici mentre nelle mense, per contro, la somministrazione di bevande alcoliche è inibita anche a chi, in caso di colpo di sonno, rischierebbe al massimo di sbattere il naso contro la tastiera del proprio laptop. Tante prove, apparentemente schiaccianti, portano a una sola conclusione: caffè progresso, alcol regresso.

L’altra faccia della medaglia

Seppure in difetto di argomentazioni decisive per ribaltare il verdetto, io e la mia amica sbronza avremmo qualcosa da ridire. Prima di tutto i nostri antenati se la sono cavata egregiamente anche senza caffeina. Il lume della ragione non s’accende di punto in bianco nel momento in cui l’essere umano sorseggia la sua prima tazza di caffè. Il pensiero occidentale si sviluppa con l’affermazione della civiltà mediterranea di matrice greco-romana del pane, dell’olio e del vino, e si preserva nei secoli cosiddetti bui anche grazie al lavoro di trascrizione e custodia dei monaci, supportati da razioni quotidiane d’alcol così massicce da apparirci oggi più suicide che irragionevoli. La rivoluzione di pensiero scaturita con l’Umanesimo e confluita nel Rinascimento, si realizza senza l’ausilio dei superpoteri della nera pozione magica, mentre nel mondo islamico la diffusione della caffeina segna l’inizio della decadenza e la fine di un periodo di egemonia culturale. Oltretutto, a proposito di civiltà e progresso, quella del caffè è anche una storia di schiavitù, colonialismo e sfruttamento. In totale sfregio agli ideali di “Liberté, Égalité et Fraternité”, i braccianti continuano a lavorare in condizioni difficilissime, sottopagati e spesso in palese violazione dei diritti umani. In ben 17 paesi produttori persiste il lavoro minorile, con un trend addirittura in crescita, secondo le stime dell’International Labour Organization (ILO).

Elogio dei principi psicoattivi

La sfida continua. I cinefili più incalliti avranno memoria dell’epico duello a colpi di bottiglie di vodka e brocche di caffè fra Matti Pellonpää e Mato Valtonen nel film Tatjana del regista finlandese Aki Kaurismaki. Ma in definitiva ha più senso procedere per analogie piuttosto che per contrapposizioni, magari limitandoci al confronto col nettare di Bacco. Gli scenari politici e culturali cambiano di continuo e così cambia il giudizio attribuito alle sostanze psicoattive e alle bevande che ne sono il veicolo. Il vino, per secoli alimento imprescindibile, è entrato stabilmente nella categoria dei beni voluttuari, con sempre più frequenti sconfinamenti nel comparto del lusso. Nemmeno il popolare espresso è immune a questa tendenza, tanto che le pregiate miscele di Kopi Luwak o Black Ivory possono raggiungere il prezzo di mille euro al chilo. Vino e caffè (aggiungiamoci anche il tè) condividono il culto del terroir e dei cru, i misteri delle fermentazioni e delle lavorazioni che portano alla creazione di prodotti unici e riconoscibili. Ma più di ogni altra cosa condividono le fasi della degustazione, il ricco vocabolario delle note descrittive, lo storytelling e i voli pindarici dei loro spericolati cantori, capaci di prodursi in ardite piroette filosofiche pur di giustificarne il consumo. Non è questa, in fondo, la prerogativa d’ogni bevanda in grado di alterare la coscienza?

Quel demonietto di Pollan offre la chiusa con un’onesta ammissione: “le arzigogolate strutture di significato che abbiamo eretto sopra a queste molecole psicoattive sono soltanto il modo in cui la cultura adorna il nostro desiderio di modificare la coscienza con le vesti sfarzose della metafora e dell’associazione”. Ecco, l’ha detto lui. La decrescita felice non passa per la formula “caffeina in settimana, alcol nel weekend” ma se ci è permesso e ce lo possiamo permettere, che sia vino o caffè (espressamente certificato Fairtrade quindi da filiera equosolidale), concediamoci di goderne, psicoattivi inclusi, senza troppi sensi di colpa.

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Nicola Cereda

Brianzolo. Cantante e chitarrista dei Circo Fantasma col blues nell'anima, il jazz nel cervello, il rock'n'roll nel cuore, il folk nella memoria e il punk nelle mani. Co-fondatore di Ex-New Centro di arte contemporanea. Project Manager presso una multinazionale di telecomunicazioni. Runner per non morire. Bevo vino con la passione dell’autodidatta e senza un preciso scopo. Ne scrivo per non dimenticare e per liberarmi dai fantasmi delle bottiglie vuote.

12 Commenti

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Invernomuto

circa 2 anni fa - Link

Beh però è un dato di fatto che l'alcool toglie lucidità. Ma non è detto neanche che il caffè ne dia automaticamente o che "svegli" per forza. Nell'elenco manca un'altra sostanza abbastanza importante nello sviluppo culturale e sociale di una buona parte del mondo, a proposito di miglioramenti performativi nel lavoro e , probabilmente, nel pensiero: le foglie di coca.

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Nic Marsél

circa 2 anni fa - Link

La lista sarebbe lunga. Lo stesso Michael Pollan ne stila una molto approfondita in "Come cambiare la tua mente" ("How to change your mind" che si può tradurre anche in "Come cambiare idea" rispetto alle sostanze psicoattive) con tanto di esperimenti condotti e implicazioni politiche. Per me, per esempio, è stato sorprendente scoprire che negli anni sessanta gli ingegneri della Silicon Valley venivano "nutriti" con dosi omeopatiche di LSD per aumentare la creatività e che quindi gli psichedelici potrebbero essere alla base delle più importanti invenzioni nel campo della tecnologia di quel periodo.

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Vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...non e' segreto che in tutte le attivita' "creative" ( musica, moda, arte in generale) di sostanze psicotrope , non certo integratori nutraceutici, né girano a quintalate. Solo che per strada sono " disperati drogati", in quegli ambienti ( compresi quello manageriale) sono parte integrante dell'essere , quindi sottaciuti. ..

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Enofred64

circa 2 anni fa - Link

Mi sveglio, scendo dal letto, preparo un caffè e nel frattempo mi accendo un sigaro... non c'è niente di meglio nella vita.

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Nic Marsél

circa 2 anni fa - Link

Comunque Matti Pellonpää se n'è andato per attacco cardiaco all'età di 44 anni mentre Mato Valtonen, fondatore della mitica band dei Leningrad Cowboys, a 68 anni (suonati :-)) continua imperterrito a bere caffè. Spero non ci sia una correlazione.

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Paolo

circa 2 anni fa - Link

Quando si parla di queste cose bisogna sempre avere uno sguardo deferente verso Keith Richards, ne converrai :)

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Andrea

circa 2 anni fa - Link

Il caffè oltre a migliorare i riflessi ed aumentare l' attenzione, aumenta pure l' aspettativa di vita. E qui non sono studi di parte a dirlo ma la pura e semplice constatazione della realtà. Guardate cosa è stato capace di fare con più di duecento candeline sulle spalle Buffon nel 2006.

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Francesco Fabbretti

circa 2 anni fa - Link

"dei monaci, supportati da razioni quotidiane d’alcol così massicce da apparirci oggi più suicide che irragionevoli"... questo è un luogo comune. Il vino, per i monaci, aveva principalmente la funzione della celebrazione eucaristica, nell'assunzione sub bis speciem: panis et vinum, come corpo e sangue di Cristo. Sarebbe ora di far cadere questi falsi miti. Per quanto riguarda il rapporto fra sostanze in grado di cambiarer la psiche e l'uso fattone da manager rampanti e umili operai, direi che il tuo articolo fotografa molto bene la situazione ancher se, al giorno d'oggi, quando si parla di ciò a cui possono accedere i super manager e a ciò che rimane, di scarto, per gli ultimi, si continua a ignorare l'elefante nella stanza e si porta avanti una lamentazione comprensibile ma, a volte, ytroppo fine a se stessa. L'elefante si chiama Marxismo, con la sua messa a nudo del sudiciume del Capitale e con la proposta di una risposta concreta a questo stato di cose, che, incidentalmente, ha nome e cognome. Comunismo

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Nic Marsél

circa 2 anni fa - Link

Francesco, bisogna contestualizzare. E' ragionevole ipotizzare che i monaci (le persone mediamente più erudite della società medievale), pur morigerati per definizione, si giovassero, almeno nei periodi freddi, di una quantità giornaliera d'alcol che supera di gran lunga la soglia che oggi l'OMS considera sicura. Per far materializzare l'elefante, credo siano necessari alcuni prerequisiti minimi: fiducia (condizionata) nell'individuo, fiducia (condizionata) nelle masse, presa di coscienza (individuale e collettiva) agevolata dalla presenza di adeguati strumenti e canali di propaganda (promozione) ideologica e culturale.

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Francesco Fabbretti

circa 2 anni fa - Link

Nic, concordo sulla contestualizzazione, ma i monaci bevevano molto meno, ad esempio, dei contadini o dei servi della gleba, entrambi destinati a lavori estremamente faticosi, per i quali il vino era un corroborante energetico formidabile (tra parentesi la cosa non è che mi interessi più di tanto, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare). Riguardo l'elefante il problema è che tu puoi pure ignorarlo ma lui rimane nella stanza e se non capiamo la necessità di formare delle avanguardie che aiutino le masse a prendere coscienza, le masse si incaxxeranno di brutto e allora saranno sorci verdi per tutti. Se pensi che anche i Cinesi, che sulla carta sarebbero comunisti, stanno cominciando a rivoltarsi contro il regime chiedendo condizioni lavorative meno opprimenti, forse la rabbia sociale sta raggiungendo una temperatura media pericolosa. Se qualcuno non capisce il valore delle avanguardie (come le concepiva ad esempio Lenin...e non sono un leninista) significa lasciare che la rabbia sociale monti senza una canalizzazione costruttiva...una condizione che mi auguro di non dover vivere

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Questo del micro video di 30 secondi è il massimo che un appassionato di caffè può fare: 1 tostatura dei semi 2 macinatura 3 pressatura 4 estrazione a pressione Non lo bevo così il caffè. Sono un grande consumatore di caffè e penso di aver sviluppato un dipendenza che, secondo me, non è soltanto fisica ma anche psicologica. L'articolo mi piaciuto molto e lo stile di Nicola Cereda è inconfondibile. E poi c'è uno dei mie registi preferiti: questa è la scena del film15 secondi) di Aki Kaurismäki da cui è tratta la foto del titolo. ____ Link Aki Kaurismäki/Eşarbına Sahip Çık, Tatyana-Pidä Huivista Kiinni, Tatjana.. https://youtube.com/watch?v=Qg5xkZsPWaE&feature=shared Guarda "The MOST Satisfying Espresso Video" su YouTube https://youtube.com/shorts/lkTFL4AGiBA?si=RkQfxgqXd9Npc1q4

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Nic Marsél

circa 2 anni fa - Link

Grazie Marco! Anche nell'articolo (cliccando su "Tatjana") trovi un bellissimo videoclip/trailer ;-)

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