Skerlj e Zidarich, in due sull’altopiano

Skerlj e Zidarich, in due sull’altopiano

di Emanuele Giannone

Lavorare stanca. Di tanto in tanto, compensa con soddisfazioni inattese. Lavorare di notte in un cantiere a Trieste soddisfa più di quanto possa stancare, quando il lavoro si interrompe con un’evasione verso l’Altopiano. Seguire muratori del turno di notte colar cemento, loro, mentre io torno da una corsa verso Opicina e da lì a destra, Provinciale 35, fino a Sales da Matej Skerlj, non è così tedioso; a rendere la corvée ancor più leggera, si aggiunge la seconda pausa vespertina, sempre insieme a Matej, passando con lui all’osmiza di Benjamin Zidarich a Prepotto. Le cose vanno così: si parte. Dopo ventuno minuti dal suono fesso del tornello in uscita dal cantiere, si arriva alla prima stazione. Un’ora di ricreazione, io e tre elettricisti illuminati – chi meglio di un elettricista saprebbe fornire illuminazioni? – dopodiché, insieme ai tre e al padrone della prima stazione si passa alla seconda e più lunga ricreazione. Con vino, come nella prima, e in più pane e companatico. Racconterei volentieri anche questi in dettaglio ma sono di nuovo al lavoro, qui non rimiro il Golfo, i pastini, il Castello, ma solo la distesa sconfinata di un mare australe color zafferano. Qui a bordo non si mangia come sul Carso, è meglio evitare che nostalgia e appetito retrospettivo attanaglino cuore e stomaco. Meglio limitare la rêverie al vino, ai vini dell’Altopiano, ricordo dello scorso cantiere, a Trieste, al Golfo e agli illuminanti elettricisti illuminati.

Skerlj Vitovska 2013
Sempreverde. Sempre gialla. Sempre bianca. I Tre Colori, in versione alternativa per due terzi a quella di un regista che amo e di una sua trilogia. Sempreverde perché suggerisce foglie ed erbe, attacca in crudezza e freschezza istanti, è primamente silvestre. Poi gialla perché il primissimo piano si dilata in pesca, albicocca e ginestra. E poi ancora sempre bianca perché, per chi lassù ci è stato, le pietre e soprattutto la luce di lassù e la sua grana non sono luogo comune, bensì comune sentire, impressione, segnatura. Presa tattile, nerbo e sale fino a tutto il finale, asciutto e dosato nel ritorno del frutto.

Skerlj Malvasia 2007
Rieccola, dopo un anno dall’ultima volta. Ugualmente profonda e tesa, vivida di una freschezza noncurante dell’età, agile e piena al sorso, densa nei profumi di agrumi canditi, fiori secchi, radici, miele, gelso, albicocca, rosmarino e anice. Dentro tanta sostanza, una traccia minerale chiara e magra, di sasso, nitidamente impressa e di rimarchevole durata. Tanti calcari, tante erbe ma, contro la versione più letteraria, nessun ginepro. Slataper storcerebbe inizialmente il naso, poi si convincerebbe a bere e ne rimarrebbe oltremodo soddisfatto.

Zidarich Vitovska 2017
Oggi è lunedì, pensi. Sarà aperta, l’osmiza? Sarà vuota? Poi entri e il lunedì è un sabato, oppure è l’osmiza in sé, o forse questa in particolare a farsi crasi di Carso e città, di tutti i rispettivi spiriti sonoramente riuniti qui senza alcun riguardo per il giorno della settimana. La Vitovska 2017 arriva a passo felpato lungo un catwalk di salumi, presto evaporatisi, e li accompagna con sapidità infusa e di tenore più dolce. Il profumo è denso, fresco di frutta gialla, miele, neroli, rucola e mare, il sorso è a sua volta innervato di freschezza, sapido e teso, sostanzioso e di nettante asciuttezza nel finale.

Zidarich Prulke 2017
Seconda passerella con nuovi drappeggi di alta charcuterie. Spunta il secondo modello e, di nuovo, sono quasi finiti. Lo stilista presenta il suo uvaggio di sauvignon, vitovska e malvasia vinificato in tini aperti con macerazione sulle bucce e maturato in botte grande 24 mesi (lo stesso procedimento della Vitovska). I profumi sono più intensi, più decisa e colorata la presenza di agrumi, fiori e pesca, sullo sfondo spezie dolci, rabarbaro e lavanda. Beva ad alto potenziale assuefativo, succulenta e spigliata, in esemplare equilibrio tra rondeur e tensione, dall’ampia e dosata diffusione aromatica in chiusura. Chi guida?

Zidarich Malvasia Lehte 2017
Guida lui, per fortuna, il Santo Elettricista più che Santo Bevitore; il veneto atipico nel controllo del riflesso potorio, strenuo nell’abnegazione di sé e della propria garganta pro bono nostro. Il suo sacrificio consente a noi, quelli del portace n’antro litro, di chiudere con questa Malvasia single vineyard: Lehte è, appunto, il nome della vigna d’origine a Prepotto, mezzo secolo l’età media delle viti, piantata su suolo calcareo e ricco d’argille ferrose. Vinificazione in tutto simile a quella dei precedenti, risultato stupefacente per varietà e valore: lo spettro olfattivo si amplia ulteriormente e manda un ciaone a quelli che la macerazione deturpa il varietale, è una cornucopia di frutta bianca e gialla, biancospino, ginestra, verbena e lavanda con cenni iodati in profondità; la pris en bouche è energica, rotonda e di volume, apre sui registri della frutta matura ed evolve in freschezza e vivacità senza cedere in ampiezza, riservando per il finale il pungolo del sale e la grana della pietra. Finale rivelatore, ché sotto la struttura certo più ingente delle prime due, la fondazione è inequivocabilmente la stessa: la roccia bianca, le posature rosse.

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

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