Monte di Grazia e Vigne di Raito, due gioielli della Costa d’Amalfi

Monte di Grazia e Vigne di Raito, due gioielli della Costa d’Amalfi

di Simone Di Vito

Simone Di Vito si sta impegnando duro per diventare un editor di Intravino. Questo è il suo secondo post scritto, naturalmente, prima del divieto di circolazione dovuto al coronavirus.

Come ricaricarsi durante le feste di Natale sfuggendo alle classiche cene con i parenti? In tempi di auto elettriche le opzioni sono due: ti barrichi in casa fingendoti morto, attacchi la spina e vai in modalità stand-by, oppure, prepari un bel viaggio cercando un posto tranquillo per fare il pieno al serbatoio. Di solito scelgo il romanticismo delle ferie, che abitando a Roma, mi portano spesso alla ricerca dell’isolamento che solo un bel deserto del Sahara saprebbe regalarmi, per poi dovermi (ahimè) accontentare della genuinità di un wine tour.

Dopo i tanti giri al nord e centro Italia, questa volta la mia bussola indicava sud, e per par condicio la scelta toccava a mia moglie, che sceglie comunque bene, si va in costa d’Amalfi. Per molti una scelta estiva, forse perché il mare fa pensare alle vacanze, le sdraio, infradito, pedalò…e uno spaghettino alle vongole con un bel bianco salino a chiudere il cerchio.

A me la costiera d’estate fa pensare al caldo, il traffico, i parcheggi… Praticamente il casino da cui spesso scappo. Fortunatamente a gennaio il caos diventa più umano e si ha la possibilità di poter girare quasi liberamente, frane permettendo. Così dopo una giornata a Vietri sul mare, tra ceramiche sgargianti e petardi incombenti, nel giorno seguente siamo passati per Raito, paesino appena dopo Vietri in direzione Amalfi, dove abbiamo incontrato Patrizia e la sua Vigne di Raito, piccola bomboniera vitivinicola della zona. Un luogo splendido a strapiombo sul mare, dalla vista mozzafiato che vedi solo nei cataloghi in agenzia di viaggi. Più che un’azienda sembra un orto botanico per le centinaia di specie tra fiori e piante, tutte rigorosamente curate e riportate con apposito cartellino dedicato. Ad accoglierci oltre alla proprietaria, troviamo due bei cagnoni e un folto limoneto che, considerando l’habitat in cui si trova, difficilmente tradirà le aspettative di chi ama questo frutto. La piccola area vitata di soli 1,5 ettari (ampliata in futuro con una biancolella) è destinata ai soli autoctoni aglianico e piedirosso, rispettivamente a spalliera e pergola, che poggiano su un terreno calcareo-sabbioso di roccia dolomitica. Dal blend delle due uve si ottengono due vini:

Vitamenia Costa d’Amalfi doc 2018, un rosato che da bendati potrebbe sembrare un rosso. Dimenticate i delicati fiorellini di Provenza, oltre ad un bel naso fruttato da melograno e una veste salina che qui è normale aspettarsi, troviamo struttura, freschezza  e sapidità degne di nota, ma che non intaccano mai una vivace bevibilità, al punto che senti la botta solo a fine bottiglia. Un vino più che altro estivo, per chi, anche con il caldo non vuol rinunciare a determinate caratteristiche; da bere e godere fresco, magari durante una delle visite in loco che spesso  Patrizia organizza.

Ragis 2015, 2016, 2013. Qui l’aglianico quasi sovrasta il povero piedirosso che ne schiarisce comunque un po’ il solito colore profondo, dando vita ad un vino di struttura ovvia ma mai eccessiva, largo, intenso; frutta rossa matura e spezie, che poco dopo lasciano spazio a tostature di moka e minerali da grafite. Al palato morbidezza e alcolicità sono condite da un tannino vellutato da buon aglianico di razza. Considerando il vitigno principale quindi, si può pensare ad un vino estremo, ma che invece porta in se la classica stoffa dei grandi rossi campani, e come tali, non manca certo di eleganza, diciamo uno smoking col tritolo nel taschino. Con la 2013 abbiamo saggiato dei margini di miglioramento che a parer mio, con qualche anno in bottiglia, aiutano prodotti di questo calibro ad esprimersi al meglio, virando verso una più completa stabilità rispetto ai due giovani 15 e 16 che per me sono comunque già un bel bere.

Concludiamo il wine tour con un’altra visita, per farlo ci incontriamo con Olivia, figlia del proprietario, e cuore pulsante con il fratello, dell’azienda Monte di Grazia. Siamo a Tramonti, zona montanara della costa, lontana dal mare, che ricorda molti piccoli paesini del Lazio. Una volta incontrata, ci scorta con la sua macchina fino ad uno dei loro vigneti più vecchi, con un cielo nel blu dipinto di blu a fare da sfondo. Vigne, alcune pre-philloxera di oltre cento anni, intrecciate tra loro in una sorta di pergola, chiamata raggiera atipica, sistema di allevamento di origini etrusco-romane. Impianto piuttosto complicato già alla vista e che richiede molta manodopera e ore di lavoro, soprattutto durante il periodo della potatura; il vitigno qui è il tintore, autoctono della quale zona è il vero rappresentante originario. Infatti in una denominazione che va alla ribalta delle cronache per alcuni vini bianchi, di dubbia provenienza, la scurissima uva tintore rimane spesso in disparte, colpevole solo di essere tipica, schietta e sincera, con una sua identità ben definita, certamente non scontata come quella che si cerca e trova spesso in alcuni vini esterofili che girano.

Dopo una spiegazione pratica riguardante vigna, vendemmia, terreno (terra mista di argilla, sabbia e cenere di origine vulcanica) e miliardi di fotografie fatte per ottenere l’effetto sperato, ci siamo spostati, sempre in auto, in direzione della saletta degustazioni aziendale, dove ci attendeva un tavolo pieno di bontà locali e vini dell’azienda. Qui si producono due bianchi, un rosato e due rossi, con una produzione annua che arriva a circa 10.000 bottiglie, annate permettendo. Grazie al banchetto gentilmente preparatoci, riusciamo ad assaggiarli un po’ tutti; mi concentro su quelli a parer mio più interessanti.

Monte di Grazia bianco Campania igt 2016 e 2017: Prodotto da uve autoctone, pepella, biancatenera e ginestra, vino che al primo assaggio può sembrare semplice (solo sei mesi di affinamento in acciaio), giallo paglierino, un naso agrumato di limone nella ’16, un intenso erbaceo nella ’17, ma appena lo facciamo respirare un po’ si apre ad una mineralità selciata tipica della zona che ritrovo poi anche in bocca. Nel 2016 trovo la mia preferenza, sicuramente per l’anno di bottiglia in più di cui beneficia, e un equilibrio gustativo al quale mancherebbe solo un po’ di alcool. Ha un calore che sento più nel millesimo 2017 (che per loro è stata un ottima annata), ma che rimane in tutte e due piuttosto contenuto rispetto ai bianchi cui siamo abituati negli ultimi anni e l’azienda, che di sincerità e trasparenza ne fa i suoi cavalli di battaglia, ci mostra le gradazioni riportate in etichetta, 10% per la 16, 11,8% la 17.

Domanda che sorge spontanea: come hanno fatto altre aziende della zona a tirar su i 13 e 13,5% che ho letto su altre bottiglie a parità di tipologia, sottozona e annata?

Monte di Grazia rosso Campania igt 2015: vino costituito da uva tintore, con un lieve taglio di piedirosso, dal colore rubino profondo al punto di sembrare un succo di mirtillo, frutta scura che ritrovo al naso insieme a spezie da pepe nero e iodio che esce fuori man mano che ossigena. Un prodotto giovane ma già coerente, che non può certo arrivare ai livelli di complessità di alcuni mostri mangia botte che troviamo in giro. I così detti “vini da profumeria”, quelli che creano aspettative da mille e una notte al naso e poi in bocca…piatti.

Da dove proviene la complessità? Sicuramente non da dieci anni di botte. Penso che la risposta si trovi sempre nella tipicità intrinseca del vitigno, arricchito dalle variabili che solo il terroir può donargli, con il legno a fare la sua parte solo se può essere digerito, senza fuochi artificiali da banale omologazione. In questo caso infatti, i suoi trentasei mesi di affinamento li fa in acciaio, immaginiamo per non intaccarne i tratti distintivi (come la delicata mineralità), seguono soli tre mesi in grandi botti di castagno. Un vino che all’assaggio si mostra deciso e corposo, e che permane in bocca con un fruttato, anche dopo una sigaretta. Da attendere.

Le cantine visitate ci hanno permesso di capire cosa significa la costa d’Amalfi vinicola, rafforzando ancor di più il mio modo di vedere il vino, con tipicità e tradizione ben stampati nella mente.  Ci hanno inoltre invitato a tornare d’estate per godere ancor meglio delle meraviglie di questa zona, ma io che sono un asociale feriale, lascio ad altri l’incombenza e mi godo l’esperienza fatta, in una costiera per molti anomala ma a me più congeniale.

Simone Di Vito

-Azienda vitivinicola biologica le Vigne di Raito – www.levignediraito.com

-Azienda agricola biologica Monte di Grazia – www.montedigrazia.it

avatar

Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

Nessun Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.