Breve storia dell’ubriachezza (recensione cultural-commerciale)

Breve storia dell’ubriachezza (recensione cultural-commerciale)

di Fiorenzo Sartore

Facciamo che non serve spiegare perché ho tanto tempo libero, tanto da leggere un libro. In questa casa dove passo questo periodo distopico (distopico stamattina non l’avevate ancora sentito?) ci sono tanti libri, B. mi dice “toh leggi questo, che va bene per te”. Il titolo, “Breve storia dell’ubriachezza” basta da solo a giustificare l’affermazione.

E però. Io questa cosa dell’ubriachezza boh, non so quanto mi piace. È una pratica disdicevole, non sta bene, non si fa né ci si bulla. A meno che non ti chiami Mark Forsyth, sei british quindi con l’umorismo tipico di quell’arcipelago ti fai perdonare la parola. Breve storia dell’ubriachezza è un testo leggero, molto divertente, ma soprattutto è davvero un interessante libro di storia, un percorso che parte dalla preistoria e arriva ad oggi e il filo rosso è quello: l’alcol.

Più che la sbornia, il consumo di alcol viene presentato come fatto storico e culturale. Sempre con distaccato divertimento. “Intorno al 9000 a.C. abbiamo inventato l’agricoltura per ubriacarci ogni volta che volevamo. Il risultato è stata la civiltà”.

Questa lettura risponde anche ad un’altra domanda, che è collegata alle vicende del periodo che stiamo passando. La bevanda alcolica è un elemento essenziale? Ovviamente sì, e non solo per il suo effetto consolatorio. Questa lettura ribadisce, se ce n’era bisogno, quanto il consumo di alcol sia connaturato all’umano, attraverso migliaia di anni di assunzione più o meno consapevole. Quindi anche per questo le enoteche sono tra gli esercizi (alimentari) che possono operare, in epoca di coronavirus: è un fatto culturale, anche.

Per chiarire che il percorso storico segnato nel libro è ampio, l’autore avvia la narrazione dall’alba della civiltà sul genere 2001 Odissea nello spazio, riportando la teoria della “scimmia ubriaca”: un primate che parte alla ricerca di frutta stramatura e macerata, in piena fermentazione alcolica, con gli effetti che sappiamo. Tanto bastava a desiderare di scendere dall’albero (come dicevo, si tratta di una lettura alquanto divertita).

Da lì in poi, anche figuratamente, è stata tutta discesa. Ventimila anni fa un nostro antenato scolpiva la Venere di Laussel, che tiene in mano un corno potorio (cioè un corno ad uso bicchiere). Conteneva alcol, quel bicchiere? L’autore ritiene che “bere acqua non è qualcosa che decidi di scolpire nella pietra per l’eternità”. Tuttavia la bevanda alcolica, a quel tempo, poteva essere un fatto casuale più che intenzionale (l’aqua piovana in un favo di api, ed ecco l’idromele). Diecimila anni fa nel sito archeologico più risalente, Göbekli Tepe in Turchia, si ritrovano vasche di grandi dimensioni che hanno tracce di ossalato – che si forma mescolando acqua e orzo. Già, la ricetta della birra.

Attraverso le civiltà sumere ed egiziane, stavolta sarà la scrittura a testimoniare la presenza dell’uso, e abuso, di alcol. Non sempre contrastato, a volte solo registrato: ha un certo fascino la parte che ricostruisce la vita nelle taverne della Mesopotamia. Il testo scorre agile nel tempo e nello spazio, toccando la Cina e il nord Europa dei Vichinghi, a definire una volta per sempre che il cammino progressivo della civiltà umana è avvenuto, sempre e ovunque, con un bicchiere in mano. E non conteneva acqua.

Mark Forsyth
Breve storia dell’ubriachezza
Il Saggiatore, 2018
292 pagine, 17 euro

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

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