Vite spericolate: definire una volta per tutte il vino industriale e quello artigianale. Magari
di Fiorenzo SartoreQuando collaboravo con la defunta Unità (il giornale dei komunisti) avevo scritto una cosa che riguardava la definizione di vino industriale e soprattutto il suo contrario. Siccome quell’archivio si sta vaporizzando (cose che succedono quando non paghi i fornitori), e siccome fatti recenti ma anche futuri probabilmente ri-tirano in ballo la questione, riciclo qui parte di quel testo.
Che cos’è esattamente un vino industriale? Quando un produttore, una cantina, si possono definire “industriali”? La risposta non si riesce ad articolare in modo breve, anche se farebbe molto piacere: ecco perché, rispondendo alla domanda, per l’amore della brevità ma anche del paradosso, io direi che un produttore industriale si riconosce (rispetto ad un artigiano) con uno sguardo. Quanto tempo richieda questa presa di visione, poi, è un altro discorso. Durante tale osservazione io uso alcuni parametri, che sono fatalmente i miei e possono non essere di un altro, ma comunque, eccoli.
Un produttore artigianale ha un’estensione del vigneto limitata – sotto i cinque ettari è un turboartigiano, tra i dieci e i venti resta un piccolo produttore, sopra i cinquanta si entra nella modalità “parliamone”.
Un artigiano va fisicamente nel vigneto a lavorare e traffica in cantina con tubi, pompe, filtri, e botti.
Il produttore artigiano presenta volentieri una conduzione familiare dell’azienda: due coniugi, i figli, i nonni, eccetera.
L’artigiano è quello che incontri, con ogni probabilità, visitando la cantina.
Ma l’aspetto significativo della vicenda non sta nelle risposte possibili alla domanda. Sta, semmai, nella domanda stessa. Perché è importante definire chi sia industriale, e chi sia artigiano? Perché la definizione di “industriale del vino” contiene inevitabilmente un’accezione negativa riferita alla qualità del prodotto. E non c’è nessuno (industriale, o no) disposto ad ammettere il rischio.
(Ci sarebbe, poi, un’altra famiglia numerosa di parametri, che attengono allo stile produttivo. Quindi è definibile artigiano chi non esagera con l’uso di chimica in vigna e in cantina, chi cioè è associabile alla filosofia dei cosiddetti vini naturali – ma questo apre un altro vaso di Pandora di infinite possibili discussioni: non esiste un produttore incline a definire “innaturale” il suo vino, quindi anche su quel termine la polemica è abbastanza fiera).
Queste parole, che dovrebbero asetticamente definire la dimensione imprenditoriale di un produttore, sono mentalmente associate al livello qualitativo del prodotto. Tuttavia è appena il caso di precisare che questa associazione è forzosa, siccome esistono legioni di artigiani che fanno vini discutibili, ed industriali che distribuiscono vini in tirature (appunto) industriali, ma impeccabili. E allora? Ci si appropria di parole per descrivere uno status che non ha a che fare con il vino sul piano della sua qualità; parole che servono ad inviare un messaggio (“io sono in un certo modo, quindi il mio vino è migliore”). In una congiuntura di mercato come questa, poi, possiamo scommetterci che non c’è nessuno che voglia solo vagamente ammettere una diminuzione, pure se in termini di immagine, del suo prodotto.
Per questo motivo, sempre per amore del paradosso, potremmo dire che in Italia, in questo momento, non esiste nessun industriale del vino: si definiscono tutti “contadini”, “artigiani”, “piccoli produttori”. E ovviamente fanno vini più o meno “naturali”. E la cosa buffa è che la soluzione del problema la conosciamo tutti: bisogna vedere, di volta in volta, cosa c’è nel bicchiere per valutare la qualità di un vino, prescindendo da quei termini. Ma è esattamente il genere di pratica che dimenticheremo dieci secondi dopo averlo ammesso. E ricominceremo a chiederci se quel certo produttore non sia un industriale, o faccia vini naturali.
Le parole sono suggestive, ma nel caso non bastano a dire come stanno davvero le cose. Ci tocca verificare. Tuttavia, ammettiamolo: la discussione da bar sport non passerà mai di moda. Nel dirlo voglio precisare che io non sono estraneo a questo modo un po’ sommario di liquidare certi produttori, infatti uso volentieri la qualifica di “industriale” per chi produce in modo (appunto) industriale. Ma il giudizio sul suo vino lo fornisco dopo averlo assaggiato.
[Con l’occasione ringrazio Armin, dal quale essenzialmente tutto era partito, per il salvataggio del testo. L’immagine proviene da qui].
2 Commenti
giacomo badiani
circa 9 anni fa - LinkSperiamo di continuare a bere vini discutibili ;)
RispondiPaolo Cianferoni
circa 9 anni fa - LinkComplimenti, sopratutto quel lampo di sguardo in cui si decide chi e chi no
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