Mi piace lo Sfursat 1988 di Nino Negri e non ci sono più le mezze stagioni

di Adriano Aiello

Una gran bella boccia, una bevuta gustosa, volendo didattica. Almeno per me. Serata di assaggi liberi alla Trattoria Visconti di Ambiveri: ognuno porta qualcosa e ogni tot bottiglie arriva la classica cieca per divertirsi un po’. Tipo metà serata beviamo due macerati, uno da 5 euro, uno da 50, o almeno così viene svelata la traccia. Il primo, Ghiaccioforte 2013 della cantina Botri di Ghiaccioforte (mai sentito, ma sicuramente hanno delle problematiche con i nomi) è ridotto ma caruccio, di bella beva e abbastanza fresco; il secondo è poderoso e inizialmente un po’ problematico: è sua maestà Gravner, Ribolla 2006. Non tutti lo apprezzano, posto la foto su Facebook e si scatena qualche polemica in odor di lesa maestà. Intanto mangio un gelato al parmigiano. E godo crassamente.

Torniamo al vino che volevo raccontare e che stappiamo per ultimo: sembra antico in modo aristocratico, è chiaramente nebbiolo e non sospetto di stare per impattare lo Sfursat 1988 di Nino Negri. Annata che indovino per puro culo e sottrazione dalle altre ipotesi. Bottiglia che solitamente rifuggo e considero l’incubo del corso Ais di Milano, dove appena ti giri ti finisce nel bicchiere. Bene, una trentina di anni fa mi pare di capire che il profilo fosse molto diverso, o sono tutti miracoli d’invecchiamento: più austero, elegante e meno concentrato. Ovviamente l’alcolicità è importante e il tipico appassimento non ne fa il rosso che ti bevi con i calamari fritti a ferragosto, però scende bene. Parecchio interessante.

Il colore è ancora vivo e tradisce i toni scarichi che ti aspetti dal nebbiolo invecchiato, ma alla cieca io ficco il naso e ho il vizio di ignorare l’aspetto visivo. Al naso è un’esplosione di spezie, su tutte la paprika. Poi direi cumino, cannella e chiodi di garofano. Pare di stare dentro un arrosto. Poi arrivano i più consoni caffè in polvere (un po’ bruciata) e la liquirizia. In genere comunque non amo iscrivermi alla gara dei terziari, anche perché sono una discreta pippa.

Le cose migliori arrivano in bocca: l’acidità è intatta, ma non è questa a sorprendere quanto piuttosto, appunto, un profilo da piemontese di razza, senza smarmellature e tostature indigeste. Tanto che me lo porto a casa e il giorno dopo faccio il bis visto che è ancora bello integro. Mi finisco i rimanenti due bicchieri anche a un paio di gradi sopra la giusta temperatura di servizio. E con una certa golosità. Quindi: mi piace lo Sfursat di Nino Negri e non ci sono più le mezze stagioni.

[Immagine: Nino Negri

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