I vini radiosi di Mario Garay

I vini radiosi di Mario Garay

di Samantha Vitaletti

Ho la fortuna di lavorare in un posto che ormai è per me un po’ casa, dove mi diverto, ma soprattutto dove mi sento come Adso da Melk  nella biblioteca del Nome della Rosa. Davanti a tutte quelle bottiglie, che aumentano di giorno in giorno, ognuna portandosi dietro la propria storia, il principio socratico del “non so una mazza” mi si accovaccia sulla spalla come la scimmia famosa, ricordandomi che il bello è proprio questo: il mondo del vino è infinito, mai lo conosceremo del tutto, la scoperta è sempre dietro l’angolo e, vabbè, ci sta, “il migliore dei mari è quello che non navigammo…” e queste cose qua.

Mi rendo conto che quasi mai, scrivendo di vino, scrivo di bottiglie. Fondamentalmente perché trovo che i miei giudizi e le mie sensazioni siano poco utili, quando non noiose, per chi legge. Ma anche perché l’assaggio per me è qualcosa di così soggettivo, intimo e personale che in fondo mi pare giusto rimanga tale.

Tutto questo preambolo per motivare e, naturalmente, vigliaccamente giustificare l’incoerenza di cui sto per dare prova. Stavolta, infatti, voglio parlare di una cantina e dei suoi vini. E perché mai questo spudorato voltafaccia? Perché mi sono innamorata. E quando c’è l’amor, tutto è concesso.

Il mio primo incontro con Cantina Garay è stato un po’ rocambolesco, come succede spesso nei colpi di fulmine cinematografici, ma anche in quelli reali, e io ne so qualcosa.

Dunque, arriva il corriere con le mani nei capelli e farfuglia le sue scuse per l’incidente. Pare che una bottiglia si sia rotta e il suo contenuto abbia infradiciato il cartone. Mi adopero subito per rimediare al danno e, nell’aprire la scatola, intravedo bottiglie avvolte in carta velina blu. Mi incuriosisco, scarto e mi ritrovo tra le mani una bottiglia blu. Anzi, blu royal. Bluette. Ecco, sì, bluette. Al collo porta un cartoncino su cui è scritto “bleu”. Apro anche le altre scatole e, con meraviglia, tiro fuori una velina rossa che avvolge una bottiglia col solito cartoncino con su scritto “red”.

Dalla terza scatola spunta invece fuori una velina arancione che scarto pensando che se 1+1 fa due quel vino si chiamerà “orange”, e invece il mio coup de foudre mi sorprende presentandosi come “luz”, che in effetti è un orange wine. Miro e rimiro quelle bottiglie e inizio a cercare notizie sulla cantina Garay. Oltre a quello che trovo in rete, ne hanno parlato illustri personaggi dell’enomondo, saranno i racconti del mio capo ad emozionarmi di più.

Il mio capo, Mario Garay l’ha conosciuto personalmente, l’azienda l’ha visitata e il racconto di un’esperienza diretta dalla bocca di chi l’ha vissuta vale parecchio, è la differenza tra diretta e differita. Ascolto il racconto con attenzione e un po’ di sana invidia come potrei ascoltare qualcuno che mi dicesse di aver trascorso del tempo con David Bowie. Quello che sento corrisponde a quello che Mario Garay dichiara e già questo mi basta.

Cantina Garay si trova in Andalusia, a La Palma del Condado, nel comune di Huelva e i suoi vigneti sono i più antichi di tutta l’area. Come si legge direttamente dalla pagina facebook della cantina, Garay lavora per ottenere un vino “natural y sobre todo autèntico”.   L’azienda è relativamente giovane, il vino viene prodotto dal 2013, prima le uve venivano per lo più conferite. L’uva che Garay coltiva è lo zalema, vitigno a bacca bianca autoctono, conosciuto anche come Ignobilis, chissà perché, rebazo o salerno. Le piante sono molto antiche, il vigneto ne ospita alcune di oltre cinquant’anni e  alcune addirittura centenarie.

La differenza tra i tre vini è data dal diverso affinamento. Per Bleu si parla di 6 mesi in legno di rovere francese, probabilmente da qui il nome in francese; per Red tra i 6 e i 9 mesi in rovere americana; per Luz invece si utilizza l’anfora dove il vino viene fatto fermentare e lasciato macerare sulle bucce.

I tre vini sono accomunati da energia, profondità, concretezza. E poi da una cosa in più, difficilmente traducibile con qualcosa di pratico: una sorta di “splendore”, quello che i tedeschi chiamano la Strahlung, rendendo perfettamente l’idea. Quella cosa, inspiegabile eppure vera, verissima, che pervade il cuore dell’innamorato nel momento del colpo di fulmine. Un’altra cosa che accomuna i tre vini è la forza e la nitidezza del ricordo che lasciano.

Bleu è un vino che entra dritto come una freccia e poi piano piano si gonfia e si allarga, si accomoda e riscalda, mette a proprio agio coi pensieri e con ciò che c’è intorno.

Red è da subito più morbido, più immediato, confortevole e disponibile, salomonico.

Luz è una meraviglia di sapore. E di colore. La sensazione è quella di avere in bocca l’intero spettro del giallo e dell’arancio, senza ombre. Il vino è croccante e suggerisce l’idea di essere nutriente, come la pappa reale. Al naso e all’assaggio si rincorrono pesche, alici e ginestre, bucce di limone e cascate di gelsomino, è una festa.

Passano mesi da quel primo incontro. Scendo in cantina a prendere una bottiglia di Luz e, accanto ad essa, scorgo una velina nera. Mi precipito a chiedere informazioni e apprendo che si tratta di Negro Roto, ancora zalema ma da piante di oltre 70 anni. Vino con anima, è il caso di dirlo, e l’anima è il velo della flor da cui resta coperto per 12 mesi. Ne escono 700 bottiglie e sono orgogliosa di saperne alcune da noi. Negro Roto è il più impegnativo dei vini di Garay, l’ossidazione spinta invita, quando non costringe, a ragionare sul sorso. Tuttavia impegnativo non vuol dire pesante o astruso. La piacevolezza, il senso d’avvolgimento, di abbraccio, la sensazione di avere in bocca qualcosa di speciale e di unico lo rendono affascinante e, proprio come gli altri tre, radioso.

(Un po’ il mio fidanzato quando parla di Finnegans Wake)

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Samantha Vitaletti

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull'isola deserta, azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l'articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

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