Argiano, la villa che fabbrica sogni a Montalcino dal 1580

di Andrea Gori

Nella quale asprezza mi tersi col vin d’Argiano, il quale è molto buono…” diceva il Carducci. Non è stato il solo, tra tanti poeti naviganti ed eroi, a rimanere stregato dalla magia di questo luogo e del suo sangiovese che dal 1580 proietta la sua ombra sul versante più aperto e meridionale di Montalcino. Una storia che nasce con la famiglia nobile Pecci per poi passare nelle mani della famiglia Caetani Lovatelli a partire da Ersilia Caetani, nobildonna romana della famiglia che diede alla città i papi Bonifacio VIII e Gelasio II, che dalla seconda metà del 1800 ne fa un fiore all’occhiello della produzione vinicola locale.

Ersilia si sposa neanche ventenne nel 1859 con Giacomo Lovatelli, rampollo di una delle più antiche famiglie del patriziato di Ravenna. Giacomo muore nel 1879 lasciando Ersilia libera di dedicarsi allo studio e all’arte. Pubblica e ricerca in campo letterario e archeologico legando il suo nome a studi sui giochi circensi romani e la loro narrazione della morte tramite le epigrafi. Argiano diventa Fattorie di Argiano e già nei primi del 1900 copre l’equivalente odierno di più di metà della produzione di Brunello di Montalcino: dai suoi possedimenti nel corso degli anni sono nati, solo per citarne tre, aziende come Col d’Orcia, Poggio alle Mura e Castello Banfi.

Da pochi anni la proprietà è brasiliana, dopo essere passata dalla famiglia Caetani-Lovatelli alla Contessa Noemi Marone Cinzano negli anni ’90 (ex moglie di Gelasio Gaetani Lovatelli e sorella del proprietario attuale di Col d’Orcia) ma che ha affidato oneri ed onori ad un team di giovani: Bernardino Sani come direttore e Francesco Pineider al commerciale. Il tutto imponendo alla tenuta di autofinanziarsi con la vendita di vino e non attingendo al proprio patrimonio personale per rilanciarla.

Argiano è tra i nomi storici più noti all’estero, non solo per la figura di “dandy del vino” dell’ex proprietario Gelasio Gaetani-Lovatelli D’Aragona, ma anche e soprattutto per il successo del Solengo, IGT supertuscan creato dalla contessa Noemi Marone Cinzano insieme a Giacomo Tachis nei tempi d’oro della tipologia, e per il successo di nicchia del Suolo, una chicca da 2500 bottiglie fasciate rosso fuoco e marchiate d’oro nella scritta, inventato dal compagno olandese Hans Vinding-Diers della contessa per avere un vino tutto suo ma uscito decisamente troppo buono per rimanere “privato”.

Argiano riparte proprio dal Suolo, che mira dall’annata 2012 in poi (anno in cui Bernardino entra in azienda) a farsi conoscere per il Brunello di Montalcino più che per i suoi IGT, numericamente ed economicamente destinati ad essere più marginali. Tra i vigneti di Argiano infatti quello da cui deriva Suolo sono 2,5 ettari sul versante sud, di origine antichissima su un substrato particolare che garantisce nerbo, freschezza, e una concentrazione insospettabile. Presto la produzione di Suolo si ridurrà, per dar luce ad un Brunello di Montalcino selezione di vigna che andrà ad affiancare il Brunello annata e il Brunello Riserva, destinato ad essere prodotto 2-3 volte per ogni decennio. In cantina dalla vendemmia 2015 saranno disponibili i nuovi grandi legni Garbellotto che insieme ai tonneaux da 5 ettolitri hanno soppiantato dal 2011 gran parte delle barrique, in futuro utilizzate solo da Suolo e Solengo. Un passo avanti per il Brunello di Montalcino ma senza rinnegare il passato, necessario per una struttura imponente, meravigliosa, e dotata di una forza magica speciale che entra nelle vene appena varchi la soglia, tra ricordi di alchimisti in famiglia e qualche sortilegio.

Rosso di Montalcino 2012. L’annata calda e senza scosse si sente tutta, con un passo fruttato ben presente, corpo piacione e diretto, tocchi di legno lievi, fragola e amarena, tabacco piacevole finale sapido. 84

Rosso di Montalcino 2013. Schietto, diretto e semplicemente efficace, con un naso tra frutta molto presente e note balsamiche di incenso, in bocca confermano il frutto fresco cui aggiungono una bella cremosità e dolcezza che si prolunga nel lungo e convincente finale. 86

Brunello di Montalcino 2010 Riserva Argiano (assaggiato in anteprima). Una selezione dal vigneto Poggio al Vento (omonimo di quello di Col d’Orcia). Uve dal clone M1 di sangiovese che produce un grappolo con acini differenziati, molto spargolo, con chicchi dalla bella acidità e tannino. Affinato in tonneaux di Taransaud morbidi che contrastano e animano un tannino piccante e serioso, affiancando il frutto e col legno tenuto a bada: note di  cardamomo, oliva e senape, annata superba anche su un’impronta modernista ormai passata. 92+

Brunello di Montalcino Argiano 1975. Bottiglia senza etichetta, conservata senza ricolmature in cantina: colore integro, acceso e luminoso, naso signorile e distinto, elegante, con susina e prugna, ferro senape e miele di eucalipto, menta; bocca con pepe verde e carne, olive nere e tabacco, piacevole e finissimo. Considerando che in quell’annata furono prodotte anche molte bottiglie di Riserva, un vino davvero notevole che rende giustizia ad un’annata eccezionale a Montalcino. 86

Brunello di Montalcino 2012 (anteprima da vasca di cemento). Fruttato molto ricco e vitale con insospettabile freschezza, tannino delicato ma che si inquadra perfettamente nella struttura del vino, che risulta già piuttosto godibile, elegante e insospettabilmente fresco considerando l’annata molto particolare a Montalcino. 87+

Solengo IGT 2012. Un classico supertuscan d’altri tempi, che si mantiene sempre elegante senza eccedere, naso esplosivo con un fruttato di lamponi freschi e mirtilli, tannino ferroso e sapido, bocca profonda e saporita con ritorni balsamici. 86

Suolo IGT 2009. Tutto legno per il vigneto più antico della tenuta, sangiovese polposo e di razza, ginepro e salsedine, rugginoso, concentrazione di agrumi rossi, impressionante per impalcatura e balsamicità, ancora fresco; prodotto in 2500 bottiglie, ma d’ora in avanti 1000 bottiglie per amatori. 91

La contessa Ersilia ebbe a scrivere tanto sulla morte nel suo libello “Thanatos”, ma soprattutto sulla caducità della vita umana, sulla nullità dell’esistenza terrena e sul bisogno di godere della breve ora che fugge. Lo faceva scrivendo con un profondo senso di malinconia per la consapevolezza della vanità delle cose, un poco di rassegnazione cristiana mescolato al fatalismo di origine pagana, un’amarezza che per certi versi potrebbe rammentare i versi del Carducci. Contraddice un po’ l’innata freschezza e mordacità di questi vini, sebbene negli ultimi anni siano stati troppo permissivi riguardo il gusto cosiddetto internazionale. Guardando il panorama straordinario dalla terrazza che mira il Castello non possiamo che essere ottimisti e lungimiranti, il mondo avrà bisogno ancora per tanto tempo di questi paesaggi e di questi vini.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

Nessun Commento

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.