In precario equilibrio, come un Barbaresco del 2011
di Gianluca RossettiDevo scrivere a pelo d’acqua: se mi sollevo perdo il contatto con la materia; abbassandomi finisco per annaspare. (Anonimo).
Mi interrogavo sul senso dell’equilibrio, in tutte le accezioni. È indispensabile, positivo: il nostro radar fisiologico. Ma la vertigine, di quando in quando, regala piacere. Nelle cose della vita è importante la moderazione, la virtù dello stare nel mezzo, accordando gli estremi che ciascuno possiede. Eppure chi non ha goduto almeno una volta nel superare il limite, portandosi a fondo scala? Nella musica, nella filosofia, nell’arte contano metodo, scienza e applicazione. Ma forse che la sregolatezza non ha mai avuto un peso?
Schopenhauer scaraventò giù dalle scale la vicina di casa perché chiacchierava sul pianerottolo, distraendolo dallo studio. Leibniz, come dono di nozze, regalò alla promessa sposa uno scritto, vergato di suo pugno, sulle norme di igiene intima da osservare durante il matrimonio. Jimmy Page ha pagato miliardi per vivere nella casa del più celebre stregone d’Inghilterra. Sherlock Holmes si faceva le pere. Insomma, credo di aver reso l’idea.
E il vino?
Le tavole della legge sommelieristica danno peso e costrutto ad alcuni valori cardine, e l’equilibrio tra componenti morbide (alcol, zuccheri, glicerina) e dure (acidità, tannini e – non linciatemi – mineralità) entra in gioco indubbiamente. Lo trovo giusto e corretto. Sottoscrivo.
Ma ogni tanto, magari, buttereste via un vino che, a dispetto del pelo ispido, del precipizio che separa un piatto della bilancia dall’altro, sa colpirvi sul plesso solare come un medio-massimo? Io non ci riesco. Perché di canoni e regole ce ne sono molti. E servono. Ci hanno studiato su in tanti, me compreso. Non buttiamo mica tutto all’aria per un vezzo.
Però, delle tante massime, alcune si stampano a fuoco – e sono Carta Fondamentale – altre sono legge ordinaria. Nulla più. Esempi? Sant’Agostino: “Ama e fa ciò che vuoi”. La poesia autentica di un costituzionalista come il Mortati e la sua idea di Partito come “parte totale”: perseguire il bene di tutti perfino quando sin ricerca il proprio. E via discorrendo. Quale vino dunque? Ognuno scelga il suo. Rispettando almeno una legge fondamentale (piacevolezza, unicità, specchio del territorio, fate un po’ voi).
Il mio, oggi, è questo: Barbaresco Riserva, Ovello 2011. Produttori del Barbaresco. 16.560 bottiglie.
Un pelo di riduzione, poi dominante olfattiva di inchiostro, limatura di ferro, marasca e viola macerata. In bocca è una frustata, coi tannini ancora nel pieno del loro picco ormonale. Alcol a 14,5% che imbriglia naso e palato. Legno che ancora si sente ma pare integrato per tre quarti buoni. Acidità a manetta. Bella persistenza. Quindi, tirando le somme, più che sbilanciato sul versante delle durezze direi non ancora assestato, in quanto gioca a rimpiattino tra tannini/acidità e alcol. C’è poco da fare. Altri 5/6 anni in vetro non gli avrebbero certo dato fastidio. Ma mi piace e manco poco, nonostante gli scogli affioranti in bella mostra. E ne bevo a sorsate piene, nel limbo delimitato da incoscienza e voglia di capire. Se proprio non vi piace così com’è, pensate all’incontro come a un esercizio. Un tentativo di previsione: dove andrà a parare tra 5/6 anni?
A pensarci bene, forse, è studio dell’equilibrio anche questo.
1 Commento
Alvaro pavan
circa 7 anni fa - LinkPersonalmente trovo l'annata 2011 semplicemente squilibrata, e tanto, sotto il profilo alcolico. Niente di meglio che prendersi a man basse la 2013, dove il nebbiolo ha vissuto un ciclo maturativo affine alla sua natura.
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