The AIS Insider | Lezione numero due: il terroir, questo sconosciuto

di Intravino

A rischio della propria incolumità, il nostro insider vi svela tutti i segreti dei corsi per Sommelier AIS. Eccovi tutta la verità su “La Seconda Lezione”.
Mettete un mini arancino con crema di zucca, poi la batteria delle pizze: con le patate, con la carne salada, con le sardine del Cantabrico. Poi metteteci una bottiglia di Casa Coste Piane di Loris Follador, un tavolino tipo l’Uddevalla dell’Ikea, una panchina scomoda da cui contemplare le auto parcheggiate a spina di pesce di via della Meloria. Infine metteteci una bocca, uno stomaco e un volto misterioso illuminato dalla luce elettronica di una pagina bianca cangiante. Bavero alzato, iI vostro Insider è in posizione. Si comincia.

Questo ruolo da Insider segretamente infiltrato nella potentissima SP.E.C.T.R.E del vino, lo confesso, già comincia a pesarmi. Mi guardo intorno in cerca di sguardi colpevolizzanti, accusatori. Vedo nemici dappertutto, temo ritorsioni. “Vedo la gente morta” direbbe Shyamalan (Il sesto senso, 1999).

Il Corso AIS arriva leggiadro alla sua seconda lezione. L’ho attesa tutta la settimana. Insomma capiamoci, a me piace una sacco, sembra di far parte d’una loggia massonica. La giacchetta, la catenella al collo, il tastevin, il papillon. Sembrano dei  Gran Maestri d’Oriente d’Italia ed io, escluso dalla nascita da qualsiasi forma di aggregazione sociale, mi sento finalmente parte di qualcosa di importante. La sala è piena. Non solo non ci sono state defezioni dopo la prima lezione introduttiva, ma addirittura integrazioni. Siamo saliti di numero e di categorie umane. In particolare si distinguono le amichette. Due piacenti giovini signore che si danno continuamente di spalla, ridacchiando e ammiccando. Son certo, ci faranno sognare.

Ma teniamo la barra a dritta, versiamoci nel bicchiere di plastica un altro po’ di prosecco “Frizzante…Naturalmente” e andiamo oltre. Innanzitutto i fatti. Il titolo della lezione è “Viticoltura”. La tiene un agronomo che fin da subito mi esprime grande simpatia: “Il vino non esiste in natura – esordisce –  è un prodotto dell’uomo e la viticoltura ne è figlia necessaria”. Pausa furbetta, si capisce che questa frase colossale è un suo cavallo di battaglia, si piace. Poi continua: “Il vino deve essere un progetto sensato, non si può piantare una vite di nebbiolo in Veneto e pensare di fare gran vino” – eihlà – “Il terroir è determinante, l’insieme di terra, acqua, tradizioni e cultura danno al vino quella percentuale minima di componenti che però distinguono un vino da un grande vino.”. Studio le reazioni del direttore del Corso. Sguardi attorcigliati tra gli astanti, tra cui riconosco almeno due giovani produttori locali. Mi chiedo che ci facciano ad un corso per sommelier. Sono combattuto tra l’apprezzarne il desiderio formativo e il dubbio malizioso che in realtà vogliano solo capire che scrivere sull’etichetta delle loro bottiglie. Sono una brutta persona, lo so.

Ora la faccenda del terroir, del legame col territorio, dello sforzo culturale del vignaiolo di avviare un progetto che gli permetta di fare un vino che ne prenda il carattere, a me è parso un modo di comunicare se non innovativo quanto meno non così distaccato dalla realtà. M’è parso tanto inaspettato quanto, proprio per questo, eccezionale. Ma non quanto il fatto d’esser stato involontario e fortunato testimone, poche ore prima,  di una conversazione tra produttori di il cui tema si è rivelato poi essere l’evoluzione di tale concetto. Marko Fon produce dei vini straordinari di cui già qui  si è parlato. Fon oggi è arrivato a quella fase creativa che accomuna i grandi vignaioli con i grandi della letteratura: la sottrazione. “ Tu vignaiolo devi toglierti dal vino. Non ti si deve riconoscere, devi fare i vini del territorio. Io voglio che nel mio vino ci sia il Carso, non Marko Fon”. Avete presente quella scena di Caro Diario di Nanni Moretti in cui lui vaga a piedi per Roma sconvolto dopo aver visto al cinema Henry, Pioggia di sangue (John McNaughton, 1986)? Bene, avevo la stessa espressione intontita mentre guidavo l’automobile per raggiungere la mia simpatica combriccola di massoni. E lì torniamo.

La lezione si chiude con la degustazione di tre vini. Nel condurci ad individuarne le caratteristiche intuisco il modo graduale con cui ci stanno facendo familiarizzare con sentori e profumi. Le due amichette alzano la mano per spiegarci che sentono del marsalato. “Magari più una nota un po’ asciutta? secca?” – viene generosamente in aiuto il Direttore del Corso. Magari sì, penso io. Anche perché è un Recioto di Gambellara spumantizzato. Ve lo avevo detto, grandi cose. À la prochaine fois!

63 Commenti

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Vinogodi

circa 13 anni fa - Link

...potrei farci un libro : "Cazzate e Terroir" , edito dalle "Edizioni Borgognone" . IL terroir esiste solo in parte : esiste il vitigno ed esiste il profduttore che lo interpreta "COADIUVATO" dalle caratteristiche del territorio . E proprio al modello borgognone dobbiamo riferirci , dove esistono tutte queste variabili da incrociare e analizzare . Quante volte si prendono fischi per fiaschi assaggiando alla cieca uno Chapelle Chambertin vicino ad un Latricieres Chambertin o un Vosne Romanée Malconsort vicino ad un Beaumonts ... o peggio ancora un Clos S.Denis vicino ad un Clos De La Roche . Io magari no , ma tantissimi si , ve l'assicuro . Però , guarda caso , il 99% quando hanno un Bernard Dugat Py , un Armand Rousseau , una Madame Leroy , un Coche Dury ,un Roumier , un Domain Leflaive o un Ravenau inequivocabilmente , qualsiasi sia il cru proposto ,rosso o bianco, univocamente tutti individuano "la mano" , che non necessariamente significa accondiscendere il territorio . Così quando sento un Sassicaia , non parlo certo di "Bolgheri" , così come quando assaggio un gioiello del Greppo o di Case Basse non parlo certo di "Montalcino" , ma evoco il Grande Vecchio Biondi Santi o lo stralunato Soldera ... n'est pas?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

Sulle varietà “internazionali” sono d’accordo, ma su molti vitigni italiani e sul pinot nero (in purezza, s’intende) non direi che sia proprio così. Un sangiovese di Scansano è così diverso da uno di Radda, e non parliamo poi di Montespertoli, che chiunque se ne accorge. Non è che necessariamente uno sia superiore all’altro, è che sono proprio diversi. Una simile differenza è molto meno marcata tra un puro merlot o cabernet ben maturo cileno, francese o australiano e teniamo conto che qui si parla di continenti, mentre da noi di Comuni. Se poi si da libero arbitrio all’enologo allora sono d’accordo con Vinogodi, si avverte molto più la sua mano di qualunque altra cosa. Ma nei monovitigni questo non dovrebbe poter avvenire …..

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vinogodi

circa 13 anni fa - Link

..CITO :"Un sangiovese di Scansano è così diverso da uno di Radda, e non parliamo poi di Montespertoli, che chiunque se ne accorge"... RISPONDO: ...ah Ste...ma che gente frequenti?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

Essenzialmente bevo insieme a mia madre e alla canina Cirilla, che in effetti abbassa parecchio il livello del panel. Scherzi a parte, non ci capiamo perchè voi amanti del vino degustate prodotti finiti, mentre io sto parlando di materia prima. Infatti non ho parlato di Morellino e Chianti Classico, ma di sangiovese di Scansano e di Radda. La mia famiglia ha vigne in un pò tutta la Toscana meridionale da qualche generazione, e ho sempre sentito dire (e constatato di persona) che anche a parità di "mano" il sangiovese cambia da zona a zona molto, ma molto di più dei vitigni francesi.

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Gabriele Succi

circa 13 anni fa - Link

Cit. "Il terroir esiste solo in parte : esiste il vitigno ed esiste il produttore che lo interpreta “COADIUVATO” dalle caratteristiche del territorio..." Mai cosa più vera fu scritta... Le stesse uve raccolte, se lavorate da me, da Paolo Babini, da Stefano Cinelli Colombini o da Corrado Dottori (tanto per citare alcuni produttori che scrivono qui) alla fine danno 4 vini diversi... La mano conta...eccome... Poi di castronerie ne ho sentite anch'io...e, come Vinogodi, potrei scriverne un libro... Ne cito un paio per farmi capire (uditi dalle mie orecchie e visti con i miei occhi) Scambiare del Sangiovese di Romagna (non il mio, eh) per Brunello di Montalcino oppure dire che in quel preciso vino si sente quel tipo di territorio quando il vino stesso era un blend di uve acquistate anche da altre province.... :shock: Oh, mica detto da gente abituata a bere del tavernello; persone che hanno bevuto una caterva di vini....e che vini!

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Sara Montemaggi

circa 13 anni fa - Link

Saggio come un vecchio!

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Sara Montemaggi

circa 13 anni fa - Link

@Vinogodi: scusami, ma te bevi il vino o mangi l'atlante della Jancis?

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Vinogodi

circa 13 anni fa - Link

...PS: potrei star qui tutta la giornata a sciorinare esempi , ma mi sembra che il concetto di averlo trasferito ...

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bacillus

circa 13 anni fa - Link

D'accordissimo

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Eleutherius Grootjans

circa 13 anni fa - Link

L'enologo in questione è anche produttore?

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Insider

circa 13 anni fa - Link

Lo è stato, sì.

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A.

circa 13 anni fa - Link

Pezzo scritto bene e parecchio divertente anche per chi come me non capisce niente di vino e si limita a dire si/no/ci vediamo al prossimo appello, quando ne beve uno. Ma quindi se pianto un sangiovese a Tolmezzo e uno nei pressi di punta Raisi, 'sto terroir lo sento o sento solo il sangiovese? o tutti e due?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

Dai, nemmeno un astemio puó scambiare un sangiovese puro di Tolmezzo con uno di Punta Raisi! Ma uno chardonnay siciliano è sempre così diverso da uno del Collio? Non ci giurerei.

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Gabriele Succi

circa 13 anni fa - Link

Stefano, l'esempio di Tolmezzo e Punta Raisi è chiaramente estremo... però, per riallacciarmi al mio commento precedente, ho sentito un (considerato) bravo degustatore dire :"Questo è un Brunello! Sicuramente della zona nord! .....Era sì un Brunello, ma veniva da Sant'Angelo in colle....." A volte un bel tacere.....

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gian paolo

circa 13 anni fa - Link

racconto una storiella del piffero che mi è stata raccontata:un giorno un grande guru assaggia un vino diciamo frizzante ,ed esclamò"Riva destra e si sente... questo XXXXXXX proviene da quella riva del fiume JJJJjjj " il produttore allibito sorrise pensando alla cantina sociale dove aveva preso il vino ...chissà in che sponda era.e pensare alla carta dei suoli della zona fà piangere in turco tanto è monotona !!! P.S.Non farò nomi e neanche cognomi solo sotto tortura oppure chi li vuole deve fare 2o 3 riprese di sparring con me :) :) sempre per ridere ovvviamente !!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

Francamente mi pento molto perchè in troppi casi non ho avuto il coraggio di ribattere a chi diceva boiate pazzesche come "questo é l'aroma inconfondibile della zona nord" o simili. Ma dai, la zona fa la differenza ma parliamo di chilometri, mica di metri!

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Impossibile mettersi d'accordo sul significato di territorio e la sua immediata riconoscibilità, perché la verità assoluta non esiste. Sicuramente l'esperienza del palato aiuta. Diciamo che dopo anni e annorum potrei riconoscere mio marito al buio e muto all'85%, rimane però sempre un 15% di incognita. Per me il territorio è l'insieme di suolo, posizione e fattore umano. Inteso quest'ultimo come capacità del produttore di interpretare un vitigno e di conseguenza di lavorarlo, vendemmia dopo vendemmia. Anche mettendoci la propria personalità, più il retaggio di una, due o dieci generazioni prima di lui che gli hanno passato il testimone. Detto ciò, mi sembra giusto che all'inizio di un corso per sommelier, in cui ci si va per conoscere il mondo misterioso del vino e della vite sua madre, si cominci a pronunciare la parola "territorio". Anche con qualche sbavatura o approssimazione del docente di turno. Nessuno ha avuto un insegnante perfetto. A quello della classe di Insider va tutta la mia simpatia. Aspetto ansiosa la prossima puntata.

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Federico

circa 13 anni fa - Link

Condivido. Un insieme di Vite, Suolo, Posizione, Uomo e qualche altra variabile minore ma comunque presente. Ora dire quale conta di più e in che percentuale è un gioco senza uscita. Ognuno nel fare il vino miscela queste variabili con percentuali diverse e in modi diversi. E' abbastanza normale che un produttore con radici profonde e nome importante avrà un timbro caratteristico più marcato nel suo vino, per carcare di farsi riconoscere sempre. Invece uno che ricerca più l'armonia con il territorio in cui vive, nel senso naturale e sociale, sarà più tentato ad alleggerire la sua mano per far risaltare altre caratteristiche. Le tesi esposte possono essere tutte giuste, per questo ognuno pensa che la ragione è dalla sua. In alcune tipologie di vini è più marcato l'uomo, in altri il territorio, in altri la vite e in altri mix infiniti a vari livelli. Niente regole, tanto gusto e tante scoperte da fare.

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Massimiliano Montes

circa 13 anni fa - Link

Il 15% è una probabilità di errore altina. Spero tu non abbia mai sbagliato

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

Quasi mai.

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Hobbit Bahlsen

circa 13 anni fa - Link

"Quasi"=appunto, il 15% :)))

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Massimiliano Montes

circa 13 anni fa - Link

Questo è tuo marito. No, c'è la faccina che ride... è il 15%.

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vinogodi

circa 13 anni fa - Link

CITO:"Per me il territorio è l’insieme di suolo, posizione e fattore umano" RISPONDO: "sto sforzandomi in maniera indicibile per interpretare questa affermazione. Sarò troppo lineare io , ma il fattore umano con il terroir non c'entra proprio un "beep". Grandi interpreti della vite , come io considero in grandi vigneron , trasferiscono il loro credo stilistico a livello produttivo e ne costituiscono impronta digitale indelebile con i loro vini . Si è parlato prima di Giacosa e proprio lui è uno di quelli che non scherza , a "marcare" la cifra stilistica dei suoi vini , salvo Collina Rionda che gliela faceva Canale ...che manco lo voleva in cantina a rompergli le balle.Se provi ad assaggiare un Nuits S.Georges del Domain Leroy (qualsiasi dei suoi cru , siano essi i 2 Premiers che i suoi 3 Lieu Dits)non troverai una grandissima differenza fra loro né con il suo Savigny Les Beaune o Chambolle Musigny , quanto un minimo comun denominatore stilistico che te la farà riconoscere alla prima snasata dal bicchiere ... e questi sono cru con terroir decisamente diversi fra di loro ...

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Nelle Nuvole

circa 13 anni fa - Link

@Vinogodi, grazie per avermi considerato con uno sforzo indicibile. Ma "beep di un beep!" forse sono negata nell'esprimermi. A parte che gli esempi che tu citi sempre li bevi tu e qualche fortunata che necessita di tali bottiglie per concedersi, sai com'è io scrivo un po' da ignorantona. Mi sembra che se dico "insieme di suolo, posizione e fattore umano" voglio significareproprio che in ogni vino fatto come si deve non c'è solo quel suolo, quella posizione, ma anche la personalità di chi il vino lo fa, il minimo comun denominatore stilistico che tu riporti. A volte il "minimo" diventa massimo e fa sì che si notino meno le differenze fra vigna e vigna. A volte, purtroppo, si notano anche meno le differenze fra vendemmia e vendemmia. E ora fammi ritornare al volgo a cui appartengo.

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vinogodi

circa 13 anni fa - Link

...ite missa est...

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Federico

circa 13 anni fa - Link

RISPONDO: Posso solo aggiungere che se cerchi la definizione di TERROIR in qualsiasi vocabolario sia italiano che francese che virtuale che cartaceo, troverai in tutti l'accenno al fattore umano come uno dei tanti in gioco. Il fattore umano con il termine terroir centra eccome, direi PER DEFINIZIONE. Amen

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Rossofransa

circa 13 anni fa - Link

Uomo o vigna ? Ogni appassionato di vino si fa prima o poi questa domanda. Credo che siano entrambi molto importanti anche se, romanticamente, mi sono sempre sentito più vicino alla scuola di pensiero che mette la vigna avanti a tutto. Più passa il tempo, e le bevute fatte, e più mi convinco del contrario, anche se mi è costato la metaforica lapidazione degli amici appassionati. Ogni terroir, ogni pezzetto di vigna è diverso ma, a mio avviso, l’indice di variabilità qualitativa di un vino dovuto alla vigna è minore di quello della mano di chi lo fa ( senza considerare altre variabili come l’annata ). Lasciando da parte i wine maker che producono vini seriali, penso a Giulio Gambelli e Bruno Giacosa che come "ostetriche" hanno dato alla luce “figli” diversi in base alla vigna. Francamente non mi è mai capitato, o perlomeno raramente, di bere un vino di Gambelli che non mi sia piaciuto, va da sé che nessuno dubita delle sue qualità di “ostetrica” ( vedi quadrilatero Gambelli ). E credo che difficilmente in un Borro del Diavolo si possa trovare la mineralità e la sapidità che ha un grande Pergole Torte, senza considerare la longevità. Quindi ogni suolo e ogni microclima danno, ovviamente, un vino diverso. Il punto però è che sono diversi ma entrambi MOLTO BUONI. E questo MOLTO BUONO è quasi una costante nei vini di Gambelli, a prescindere dalla zona. Bruno Giacosa. L’Asili è più elegante e fine del santo Stefano che quasi baroleggia però sono entrambi MOLTO BUONI. Si dirà che sono grandi vigne o che lui è bravissimo a saper scegliere le migliori uve ... però il MOLTO BUONO è ricorrente in tutti suoi vini, almeno per me. Infine il grande Monfortino. Il vigneto Francia non era inserito, se non mi sbaglio, fra le vigne storiche di Serralunga. E’ tutto sommato una vigna “recente” , però il risultato è di altissimo livello. Piuttosto ho avuto qualche perplessità su un paio di produttori che fanno il vino con le uve della mitica Vigna Rionda, al contrario di Giacosa che quando ci ha fatto il vino, soprattutto le etichette rosse, ha fatto dei capolavori … comunque alla fine, quello che conta, è che il vino sia buono …

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vinogodi

circa 13 anni fa - Link

..amen...

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Insider

circa 13 anni fa - Link

Accidenti io rischio la cotenna, vivo sul filo del rasoio e voialtri civili aprite sto simposio. Se io novello Agatone avessi sospettato tali inclinazioni, ben mi sarei guardato dal proferire la dannata parola: TERROIR (paura).

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gianpaolo paglia

circa 13 anni fa - Link

Uomo o vigna. L'uomo puo' modificare l'espressione di una vigna, fino a renderla irriconoscibile. Basta abbondare con tecnologia, legno, tagli con uve varie, ecc. Pero' la vigna ha bisogno della mano di un uomo che ne guidi la trasformazione in vino e ne permetta l'espressione. E' quindi possibile dire che serve sia l'uomo che la vigna, ma la vigna di per se non tradisce mai la sua vocazione (poca o tanta che sia), gli uomini, a volte...

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Francesco Fabbretti

circa 13 anni fa - Link

colgo un accenno quasi autoreferenziale in "L’uomo puo’ modificare l’espressione di una vigna". Sbaglio? ho assaggiato il tuo "new-style" Capatosta e "bucce"... chapeau! passato natale entri in carta

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Gabriele Succi

circa 13 anni fa - Link

Ecco, bravo Faber... Il new Capatosta di Gianpaolo è il tipico esempio dell'uomo che "conta".... E poi fatto nel 2009! Annata calda e abbastanza siccitosa....

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Gianpaolo Paglia

circa 13 anni fa - Link

Grazie mille! Mi fa molto piacere. Effettivamente e' un problema che mi sono posto negli ultimi anni, quello dell'espressione del territorio, specialmente in una zona come la Maremma, che sconta oltre un decennio di vini fatti seguendo un modello, piuttosto che cercando una espressione del territorio. La mia strada la sto cercando per sottrazione, meno legno, meno concentrazione, meno estrazione, meno tecnologia, ecc. e ne sono piu' che contento. Metto le mano avanti, quando parlo della Maremma del vino non voglio generalizzare, e' abbastanza grande e non tutti hanno seguito quei modelli (io, per esempio, si, per anni).

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Gabriele Succi

circa 13 anni fa - Link

Gianpaolo, per ottenere meno estrazione hai ridotto semplicemente la lunghezza delle macerazioni o in vigna hai calato i diradamenti? Ad esempio, quest'anno, ho provato in alcune vigne a non diradare e il risultato è stato abbastanza buono, nel senso che i vini che ne ho ottenuto hanno senz'altro meno concentrazione anche se, l'alcol è rimasto abbastanza alto...certo non come i vini che ho prodotto dalle vigne dove i diradamenti sono stati fatti.... Anche perchè, essendo completamente sprovvisto di qualsiasi forma di tecnologia, l'unica variabile che posso cambiare rimane la vigna...

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Gianpaolo Paglia

circa 13 anni fa - Link

un po tutti e due. Macerazioni "su misura", assaggiando tutti i giorni, cercando di cogliere il momento appena prima che cominci ad apparire quella pesantezza. In vigni anche e' un lavoro calibrato per ogni vigna, comunque e' piu la ricerca di un equilibrio della vigna stessa che un obiettivo predeterminato (es. 4 grappoli o un 1 kg per pianta). Di sicuro i diradamenti sono piu' fatti con l'idea di controllo fitosanitario, ancora piu' importante se lavori in biologico.

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Rossofransa

circa 13 anni fa - Link

Ottima e bella sintesi :-) complimenti

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esperio

circa 13 anni fa - Link

Ma, a mio avviso il "Terroir", non e' altro che un insieme di fattori che determinano particolari senzazioni organolettiche. Fattori : Qualita' e tipo di uve allevate in un determinato territorio ed essenzialmente il metodo di vinificazione che la maggioranza dei produttore adotta. Da tutto cio crea una una particolare tipologia e quindi : Colori, profumi e gusti che si ritrovano nei vini di una determinata regione. Certo e' che con l'impiego della chimica, "dell'ossigenatore" ed altre diavolerie di comodo, il terroir si volatizza senza lasciare nessuna traccia di se stesso. E quindi il vino di trasforma in un prodotto industriale tipo : Gassosa, chinotto, cola, etc.

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Francesco Spadafora

circa 13 anni fa - Link

A me sembra un articolo scritto bene,simpatico ,ironico il giusto e vero molto . E poi sempre tutti seri !!! Magari se nei corsi fosse previsto visita in campo ,qualcuno capirebbe di più . Buona Giornata a tutti

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Francesco Spadafora

circa 13 anni fa - Link

Ah,dimenticavo . Una volta una mia amica dopo avere assaggiato per anni i mosti-vini prodotti , mi disse ,sento i vini di Fritz,così mi chiamava ,ecco credo che questo sia terroir . Una altra volta ,una nota azienda ,ha organizzato una degustazione di Syrah e quando poi ,in una fiera, incontrai qualcuno di loro ,mi dissero che su 10 vini assaggiati ,il nostro era diverso e quindi commercialmente a rischio . Io lo vidi come un gran complimento . Ecco , anche questo è terroir, o no ?

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vinogodi

circa 13 anni fa - Link

...ritorno a palla in Topic, godendo però delle considerazioni dei produttori che sono intervenuti, che qualificano decisamente la discussione perchè l'esperienza diretta è fondamentale, però... Rimbalzando al ritornello del "terroir uber alles" andrei sul concreto scomponendo i tre fattori che abbiamo detto principali nel riconoscimento del vino che abbiamo nel bicchiere. Riqualificherei l'argomento, inoltre,elevando il Pinot Nero a esemplificazione del concetto, come modello fulgido e chiarificatore . Versato il vino nel bicchiere: già dal colore escludi l'88% degli altri vitigni ma non hai elementi certi , solo supposizioni. Arrivi poi al naso e il riconoscimento è totale secondo il meccanismo mentale: 1) Vitigno 2) Produttore 3) Zona/territorio Dove il produttore è "generalista", si possono invertire le due due ultime voci , perchè il territorio prevale sul produttore (Borgogna rispetto ad Alto Adige rispetto a Oregon hanno marcatori sensoriali assai differenti e "territoriali")oppure se la cantina in oggetto si fa seguire da un enologo/consulente "multicliente" e con stile assai personalista , si ritorna al punto 2) ma con valenza decisamente negativa, secondo me .Comunque il produttore lo individui quasi subito , se solo hai una minima conoscenza del settore. PS: indipendentemente da definizioni fantasiose che contemplano altre voci date da filosofi enoici , il Terroir andrebbe circoscritto all'ecosistema "territorio" con tutte le variabili del caso pedoclimatiche,geologiche e geografiche...

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corrado dottori

circa 13 anni fa - Link

Uomo o vigna è IL problema, oggi. Sono state dette cose molto interessanti. Non confonderei però lo stile, cioè la "mano", con le caratteristiche "strutturali" di una vigna: queste sono pesantemente modificabili solo da interventi tecnici/chimici massicci. Lo stile di ogni produttore può dare vibrazioni differenti, declinazioni diverse. Ma se la vinificazione è pulita il grande territorio è secondo me sempre riconoscibile. Ci sono, cioé, migliaia di combinazioni possibili dove interviene il vignaiolo ma che non alterano il rumore di sottofondo del terroir. Una nota ulteriore, però, concedetemela. Non tutti i vigneti possono dare vini "di territorio". Solo una minima parte del patrimonio viticolo mondiale è rappresentato da vigneti che danno un legame indissolubile ed univoco col suolo. Diverso è se consideriamo una intera denominazione: allora è chiaro che il sangiovese del vero Chianti dà vini molto differenti rispetto a Montalcino o alla Maremma. Ma se parliamo di vigne credo che solo in pochissime zone di pochissime denominazioni a livello mondiale si possa parlare di puro "terroir".

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

Non è che solo poche zone a livello mondiale possono esprimere il loro territorio, é che si é scelto un modello produttivo fatto per non farlo emergere. In duemila anni l'Europa ha sperimentato, ibridato e tagliato ogni specie di uva del creato in ogni suo angolo, e piano piano quasi ogni territorio si era concentrato su quello che veniva bene lì. O che si abbinava bene con la cucina di lì. Non dico che fossero tutti grandi vini, di certo no, peró erano vere espressioni del loro territorio e si abbinavano alla perfezione alla loro cucina. Poi abbiamo scelto la simmenthal, i tortellini alla panna e i vini bianchi stinti al sapore di pesca, uguali in tutta Italia. Si è imposto l'uso delle barbatelle innestate, e la biodiversità dei nostri vitigni indigeni è scesa quasi a zero. Mi fa piacere che qualcuno riscopra una viticoltura più legata con il territorio e la storia enologica locale, ma questa é una battaglia che non si combatte da ora. È una vecchissima storia, i maestri francesi in tutti i settori portano avanti una (legittima) battaglia per la qualità assoluta, mentre qui c'é chi vorrebbe la miglior qualità possibile relativa a ogni tipicità, senza però mai tradirla. É come la cucina francese e quella italiana, nei loro ottimi piatti tutta la tipicità e i componenti che senti sono esclusivamente quelli che sapienti alchimisti vogliono che tu senta. E che spesso sono diversi da quelli reali. Noi italiani abbiamo, anche, una filiosofia produttiva diversa.

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bacillus

circa 13 anni fa - Link

"Si è imposto l’uso delle barbatelle innestate". Mi spiega bene cosa vuol dire questa affermazione, gentile Colombini? Chi ha imposto cosa ed a chi?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

La CEE l'ha imposto dai piani FEOGA degli anni '60 in poi; se non usavi barbatelle pre innestate certificate non ti finanziavano le nuove vigne. E, dato che pagavano un tanto ad ettaro e non a ceppo, meno viti e pali usavi e meno spendevi, ma il contributo restava lo stesso. Così sono spariti i vigneti fitti e i pali in legno, con il cemento bastava un palo ogni otto o dieci metri e costavano pure meno.

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bacillus

circa 13 anni fa - Link

Quindi non c'erano leggi che impedivano di piantare vigne franche di piede. Un viticoltore appassionato e lungimirante avrebbe potuto benissimo piantare vitigni autoctoni senza portainnesto. Giusto?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

Per avere l'iscrizione ad un Albo occorre usare barbatelle certificate, e per quanto ne so nessun vivaio vende barbatelle certificate franche di piede. Comunque non suggerirei di usare franchi di piede salvo che in suoli estremamente sabbiosi e solo per quelle pochissime varietà con apparati radicali poderosi, la fillossera non perdona.

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bacillus

circa 13 anni fa - Link

Ah ecco, Houston, abbiamo un problema. La fillossera. Sarà forse per quello che si usano barbatelle innestate. Sarà forse per quello che il "sistema" ne ha "imposto" l'utilizzo. Ma forse ci sono anche altri motivi per cui è "opportuno" (e direi pure obbligatorio) usare barbatelle certificate. Ce lo dica, Colombini.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

Le barbatelle certificate hanno l'enorme difetto di poter usare solo i cloni registrati, per cui hanno spazzato via migliaia di altri potenziali cloni, ma hanno un pregio indiscutibile; il materiale usato è tutto sicuramente della varietà che si desidera. Per cinquanta anni abbiamo usato anche le marze della vigna di Poggitoia, realizzata nel 1932 con la selezione di tutti i migliori sangiovesi esistenti in azienda. Nel 2000 abbiamo iniziato una ricerca con l'Università di Bologna per riprodurre quei cloni autoctoni di Montalcino (oggi abbiamo le prime vigne) e, sorpresa sorpresa, un quarto sembravano perfetti sangiovesi ma ...... erano ibridi tra sangiovese a qualcos'altro. L'ultima vigna di quelle fatte con le marze di Piggitoia è stata estirpata nel 2003, e credo che tutte le vecchie vigne d'Italia avessero più o meno questo stesso problema; a occhio l'ibrido può essere assolutamente impossibile da distinguere.

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corrado dottori

circa 13 anni fa - Link

Quel che dice è giustissimo. Ma ciò non toglie che solo in pochissimi luoghi ci siano zone totalmente gessose o graniti affioranti a pochi centimetri o suoli di silex o marne azzurre o sassi alluvionali... Voglio dire che - indipendentemente da quanto selezionatosi negli anni a livello di vitigni e pratiche - ci siano una minoranza di vigneti (Claude Borguignon mi sembra che li identificasse in un 5% del patrimonio viticolo totale) dove veramente il suolo è una componente determinante.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 13 anni fa - Link

É un pò vero, ma non del tutto. Ci sono varietà adatte solo ai suoli gessosi, ma esistono anche varietà adatte ad ogni possibile suolo e clima europeo. Certo, se si parte dal punto di vista francocentrico dei "cinque grandi" solo pochi suoli sono adatti ma, ad esempio, il ciliegiolo viene benissimo nelle argille rosse dello scansanese e male nei galestri chiantigiani, dove prospera il sangiovese o il canaiolo. Il ciliegiolo poi è un vitigno che può gareggiare con i migliori cabernet? A me non importa un tubo, perché voglio il miglior ciliegiolo maremmano possibile e non il migliore vino del mondo. I guru francesi legano il ciuco al loro carretto, e da buoni alchimisti dicono che nel 95% dei casi il vino si fa in cantina; bontà loro che ci lasciano il 5%, quel finesse!

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Francesco Spadafora

circa 13 anni fa - Link

Mi piacerebbe dire che ogni scarafone è bello a mamma sua ,purché poi non lo si ripudia perché ,poi, lo si vuole diverso .

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Enzo Zappalà

circa 12 anni fa - Link

“Terroir”, una parola forse abusata e incompresa. Questo racconto ne spiega il vero significato. Arrivò dai confini del Cosmo dopo un viaggio senza tempo e ammirò, dalla vetrata di prua, il pianeta che splendeva di mille colori. Ne era valsa la pena. Scese al suolo con un’emozione che gli ricordava gli anni remoti dell’infanzia. Mai, però, aveva visto una natura così ricca e meravigliosa. Piante, fiori, animali di ogni forma e dimensione. Era proprio come nel sogno che lo aveva cullato nei lunghi momenti di riposo. Aveva vagato per nebulose infinite e sottili come drappi di seta. Aveva attraversato buchi neri e subito la violenza dell’Universo più selvaggio. Aveva visto esplodere stelle con urla silenziose di materia e ne aveva visto nascere altre intuendo i loro taciti vagiti. Aveva sorvolato pianeti giganteschi il cui gas formava arabeschi intricati e altri ruvidi e spigolosi come il puro metallo. Aveva conosciuto forme di vita a lui aliene che vagabondavano tra foreste e montagne incantate, ma anche creature che volavano tra nubi argentate o nuotavano tra flutti impetuosi. Aveva toccato suoli morbidi e lastre di pietra dure come il diamante. Aveva raccolto frutta ed estratto radici dai sapori ammalianti o infami. Si era dissetato in ruscelli trasparenti come il cristallo o densi come il fango. Poteva dire di aver conosciuto il Cosmo, di averlo vissuto e di averlo assaporato con tutti i sensi. Il sogno, però, restava sempre lo stesso e lui sapeva di non aver ancora trovato ciò che cercava. Ora forse era giunto alla meta. Mosse i primi passi tra una vegetazione rigogliosa, mentre insetti variopinti gli indicavano il cammino con i loro allegri balzi. Uccelli di ogni tinta venivano trascinati dal vento e le fronde degli alti alberi sembravano ripetere il gesto e insegnargli la danza. Il terreno era soffice e l’orizzonte si vestiva di colline sinuose e di picchi innevati. Vide rocce tormentate e violentate dagli elementi, pianure sconfinate e verdeggianti, foreste impenetrabili anche ai raggi della stella che illuminava il pianeta, fiumi che ribollivano di schiuma o placidi come vetrate trasparenti di smeraldo. Ammirò oceani immensi e vulcani infuriati che coprivano di fuoco il terreno circostante. Si abbeverò alle fonti di acqua purissima e addentò con bramosia la frutta che pendeva dai rami o nasceva dal suolo. Il suo essere più profondo ne fu estasiato, ma capì che quel pianeta poteva offrire di più. Lo percorse più volte, sentendo il calore torrido dell’equatore e il freddo pungente dei ghiacci polari. Pensò a lungo, ma non riuscì a trovare la soluzione. Eppure la sua sapienza era vasta come la Natura stessa. Quel pianeta poteva e doveva dargli di più. Ne era sicuro perché il suo sogno non era cambiato. Sapeva di aver raggiunto il luogo, ma non sapeva ancora estrarne l’essenza. Decise di cibarsi della stessa terra. Mangiò la sabbia dei mari, le schegge dei vulcani, il fango delle pozze, la ghiaia dei fiumi. Si volse verso l’alto e ingoiò il vento che portava con sé i profumi di luoghi lontani e si dissetò con la pioggia e la neve. Strappò arbusti e bacche e ne fece poltiglia. Scavò buche profonde per sentire gli aromi nascosti nelle viscere del suolo. Alla fine comprese il segreto che si celava in quel luogo e il suo sogno sembrò terminare. Non erano le singole cose a creare l’unicità di quel pianeta, ma l’insieme dei suoi frutti. Solo così ci si poteva beare della sua essenza incantata. Mischiò terra, fango, pietre, vento, pioggia, acqua di mare e di fiume, foglie, frutta, radici ed estinse la sua fame di conoscenza. Quella poltiglia dai mille sapori e dai mille colori era ciò che aveva sempre cercato? Sicuramente assomigliava molto al suo sogno. Mancava però qualcosa di ancora più profondo. Lui aveva manipolato e fuso insieme le singole meraviglie, ne aveva fatto una mistura completa, ma era un abbozzo, una riproduzione fittizia, un’imitazione senza vita. Ora che aveva intuito la soluzione non poteva più fermarsi. Scavò nella sua memoria come mai aveva fatto prima, rammentò ogni singolo atto dell’Universo, riprodusse la potenza e la delicatezza della Natura, raccolse le forze del Cosmo e le concentrò in un unico punto di terra, di fuoco, di acqua e di aria. La poltiglia di prima acquistò una forma precisa e sembrò prendere vita. Stremato e felice sollevò verso il cielo un semplice, umile e anonimo seme. Con la tenerezza di una madre lo sistemò in una buca scavata a mani nude nel suolo. Lo coprì con una coperta di terra e lo bagnò con le sue lacrime. Senza voltarsi raggiunse la nave e riprese il viaggio verso l’infinito. Con la smania e la frenesia di un bambino, la piccola pianta uscì in breve a respirare l’aria tersa di quel pianeta di sogno. Dalle foreste più intricate, apparvero creature timide e impaurite. Forti come la pietra nel fisico, ma deboli e ingenue nella mente ancora in fasce, si avvicinarono a quella pianta ormai rigogliosa e ne raccolsero i grappoli. Le mani li schiacciarono con bramosia e le bocche ne assaporarono il succo. Sentirono tutto il loro mondo in quelle piccole gocce e seppero che non le avrebbero mai abbandonate. I loro occhi cercarono inconsciamente nel cielo una visione che non potevano scorgere, una nave e uno spirito che dormiva ormai senza sogni: lo spirito del vino.

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Vinogodi

circa 12 anni fa - Link

...quindi la genesi di La Tache non è così sconosciuta...[img]http://www.vocinelweb.it/faccine/varie/pag5/29.gif[/img]

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

Mr Spielberg please si rivenga a prendere ET!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Il primo giorno Dio creó il cielo e la terra, e così via per altri sei. L'ottavo mancava, è arrivato ora.

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Marossi

circa 12 anni fa - Link

Fatemi capire, Zappalà appartiene alla setta degli Elohim, giusto?

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Enzo Zappalà

circa 12 anni fa - Link

esattamente caro Marossi. Ha perfettamente ragione... E lei è un fortunato. Come dice il sommo sacerdote: "Beati i poveri di spirito, i rozzi e gli sprovveduti, perchè loro sarà il regno dei sette cieli incandescenti!" alahenin!!!

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Marossi

circa 12 anni fa - Link

Come disse il sommo Troisi: "Mo' m''o signo!".

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Enzo Zappalà

circa 12 anni fa - Link

cara Nelle Nuvole...da una fan di Lui me l'aspettavo... Complimenti...

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

In effetti sono una fan sfegatata di Spielberg, e anche di ET.

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Enzo Zappalà

circa 12 anni fa - Link

e anche di gossip enoico...immagino

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Michela

circa 12 anni fa - Link

leggo e sorrido... sorrido perchè ero astemia fino a pochi anni fa, prima di cominciare quasi per gioco il corso AIS ed ora fra queste righe riconosco sensazioni e situazioni, a volte divertenti e coinvolgenti, altre molto discutibili ma a cui non rinuncerei e rivivrei subito malgrado la fatica (tanta) a finire i 3 livelli. Di questa esperienza AIS sopratutto mi porto nel cuore la riscoperta dell'amore per la terra ed i suoi frutti ritrovata grazie ad alcuni relatori mentre parlavano della magia a volte sorprendente della trasformazione in collaborazione fra terreno, ambiente ed uomo. Sarà stato il periodo o la passione che ci mettevano ma sentì una vibrazione quando ho ascoltato per la prima volta quel termnie: terroir. Una parola che mi fa venir voglia di prendere un auto ed andare per vigneti e cantine perchè un vino andrebbe bevuto nel luogo d'origine per comprenderlo. E' li che riconosci le similitudini fra vigna, uomo e vino, te ne innamori e capisci perchè certi vini li puoi ottenere solo in alcuni ed altri invece li senti così "fuori luogo" :)

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