Settesoli e Mandrarossa, come funziona (bene) una cantina sociale in Sicilia
di Andrea GoriA Menfi sei accolto da un grande sole in mezzo a una rotatoria che annuncia “La città di Miss Italia”. Ma basta fare un piccolo giro per capire che qui tutto ciò che muove l’economia, e dà vita, è sempre e solo il vino. Il vino da milioni di bottiglie l’anno, il vino del supermarket, il vino di tutti i giorni. Spesso anche bottiglie di qualità, che entrano in molti locali e raccolgono premi. Una struttura che parte dal brand Settesoli e sale fino a Mandrarossa, l’etichetta dei vini-selezione di questa impressionante cantina sociale. Abbiamo girato una mattina con Filippo Buttafuoco, direttore di produzione, a vedere una piccola parte dei 6000 (seimila) ettari coltivati da 2000 viticoltori.
Sono dislocati per clima, suolo e coltivazione, in maniera da fornire varietà riccamente differenziate, pur rimanendo in una zona sola della Sicilia. I vigneti sono quasi tutti in collina con suoli dall’argilloso (terreni più scuri, marrone) al sabbioso (arrivando a toccare il mare in uno spettacolare vigneto di Syrah in contrada Belice di Mare), passando per varie formazioni di calcare (suoli più chiari). Tutti godono di un clima favorevole alla maturazione dell’uva, pressoché esente da malattie. Quasi ovunque si coltiva a controspalliera, assenti tendone e alberello.
L’altitudine varia da 5 a 350 metri sul livello del mare, con una densità media di 5 mila piante per ettaro, per il 70% irrigati. Ogni anno dal 3 agosto al 10 ottobre parte la vendemmia, un’operazione complessa: monitoraggio costante via sms e gps di tutti gli agricoltori, coordinati da tre centrali di controllo che analizzano i dati dei vari sensori sparsi per i vigneti.
Ciò che permette il raggiungimento di risultati qualitativi importanti non è il pur grande e tecnologico lavoro in cantina ma il meccanismo di premialità per i conferitori secondo quattro parametri base:
1 – Non più di 120 quintali per ettaro: chi produce di più viene pagato meno.
2 – Stato fitosanitario: no oidio e altri funghi o marciumi, prezzo dimezzato se ci sono malattie.
3 – Grado zuccherino: le uve si suddividono in tre fasce di qualità e di prezzo, la migliore deve avere un potenziale alcolico attorno al 20%; se il grado alcolico è minore il prezzo può essere inferiore dal 10 al 30% in meno.
4 – Ph del mosto ottimale: 2,9 (se si forza la pianta il ph si alza troppo).
A seconda del lavoro svolto e della premialità, gli agricoltori riescono a spuntare prezzi da 27 a 60 euro per quintale di uva che su una superficie media per coltivatore di 3 ettari in molti casi possono rappresentare un introito interessante. Al termine del viaggio, qualche assaggio per verificare la qualità dei prodotti.
Mandrarossa Chenin blanc Brut
Da vigneto piantato sette anni fa, e che è oggi alla seconda vendemmia, testimonia come lo Chenin si sia sorprendentemente adattato meglio di altre varietà internazionali in alcune zone. Si tratta del primo sparkling per Settesoli e per ora ha visto l’uscita solo in Italia: 20mila bottiglie. Ha un floreale accattivante di zagara, pesca bianca, con sottofondo di erbe aromatiche. La bocca è semplice e appena dolce ma non banale, con note di frutta bianca e fiori freschi che accompagnano bene il sorso. Un vero “prosecco” del Sud. 84
Mandrarossa Grillo 2012 Costadune
Pesca rosmarino e iodio, bel mix al naso e invitante; bocca con scarsa freschezza e durezza, piacevole e liscio. 78
Mandrarossa Santannella 2011
Fiano70% e Chenin blanc 30%; frutto carnoso bianco, camomilla e mediterraneo; bocca con discreta persistenza e dinamica, finale squillante e floreale. 84
Timperosse Mandrarossa DOC Sicilia 2012
Un insolito 100% Petit verdot che presenta una naso floreale e fruttato rosso molto invitante e fresco; al gusto troviamo ribes rosso e lampone, sottobosco e pepe, finale liscio e piacevole. 83
Non si può dire che i prodotti Mandrarossa siano tali da farti perdere la testa per la Sicilia, ma rappresentano comunque un prodotto di qualità molto alta, capace di giocarsela alla pari con aziende più blasonate e più piccole. Semmai sono forse un poco retrò come stile per piacere alla critica più moderna. Ma di certo sono in linea con le aspettative del grande pubblico.
In generale, gli sforzi di Settesoli raccontano forse meglio di tante altre esperienze quello in cui si sta trasformando la Sicilia del vino in questi anni, e in prospettiva fanno immaginare il ruolo importantissimo che potrebbe rappresentare per l’export italiano negli anni a venire.
[Immagine principale: Sciacca Online]
10 Commenti
Pier Paolo
circa 11 anni fa - LinkCosa si intende per: "un poco retrò come stile per piacere alla critica più moderna"?
RispondiAndrea Gori
circa 11 anni fa - Linkdiciamo che sono un poco "fruttoni" e con tocchi di legno sui rossi e un poco troppo rotondi e vanigliati sui bianchi. Uno stile che per me non è il male assoluto ma di certo non va di moda tra i critici...
RispondiTommaso Farina
circa 11 anni fa - LinkPer fortuna non tutti i critici seguono il pensiero unico.
Rispondivincenz
circa 11 anni fa - LinkE' interessante questa teoria, è noi consumatori dovremmo seguire passivamente la "moda" del momento dei critici? Va rinnovata la figura del critico enogastronomico ed insieme la sua credibilità.Un critico al "servizio" del "consumatore" e non di altri interessi. Nemmeno quelli dell'azienda che sta criticando.E' difficile, lo so...quasi impossibile.
RispondiAndrea Gori
circa 11 anni fa - Linkil consumatore se non è un caprone (e non lo è da un bel po') se ne frega della critica e beve quello che gli pare e che più gli ispira. La critica invece pensa ancora di essere negli anni '90 e poter influenzare le aziende vinicole nel loro modo di fare il vino. La figura del critico enogastronomico tout court come la conoscevamo NON ESISTE PIU' e da un pezzo e Dissapore (sob!) e Intravino lo hanno ampiamente dimostrato a più riprese.
Rispondivincenz
circa 11 anni fa - LinkGrazie, è una risposta che apprezzo. PS.Oltre ad una lettura superficiale delle critiche che mi permettete di fare, c'è anche l'apprezzamento per Intravino ed il suo progetto editoriale. Saluti
Rispondiantonio
circa 11 anni fa - LinkAnche in altre regioni ci sono cooperative che lavorano bene
Rispondiarmin kobler
circa 11 anni fa - Link"... potenziale alcolico attorno al 20%..." ???
RispondiAnonimo
circa 9 anni fa - Link"a 18 % (anche un po' prima) il batterio responsabile della fermentazione dello zucchero e della sua 'trasformazione' in alcol cessa di vivere". Parole di un professore di chimica organica che inoltre si occupa di produrre vino.
RispondiMaikol
circa 8 anni fa - LinkPenso che dica 20% brix o babo,non percentuale alcolica..ragazzi siamo pragmatici...
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