Freisa di Chieri: una DOC ai blocchi di partenza (o forse ancora in allenamento). Tutti i perché

Freisa di Chieri: una DOC ai blocchi di partenza (o forse ancora in allenamento). Tutti i perché

di Alessandro Morichetti

Marco Serra è uno studente del Master in Cultura del vino italiano presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Questo articolo è la sua prova d’esame in Enogiornalismo e Wine Blogging.

Il Piemonte è tra le regioni con il più ampio patrimonio di vitigni autoctoni e tradizionali d’Italia ma questi non godono tutti della medesima gloria. Tra le varietà autoctone, spicca nelle colline a sud della città di Torino un vitigno che porta con sé ben 500 anni di storia nonostante oggi siano rimasti relativamente pochi i produttori che coltivano questa varietà. Il vitigno in questione è la freisa che nel chierese ci dona la DOC Freisa di Chieri. (Premessa: produttori e studiosi usano quasi indifferentemente maschile e femminile per parlare di freisa, sia uva sia DOC. Solitamente vince il femminile.)

Ma che ruolo ha avuto per i torinesi? E perché se è ha una storia così rilevante alle spalle sono in pochi a porre l’attenzione su questa varietà?

Precisamente l’anno prossimo verranno celebrati i “500 anni della Freisa”, facendo riferimento alla prima notizia storica di cui si dispone cioè una bolla doganale del 1517 del comune di Pancalieri (famoso per la menta) che la indica tra le uve più pregiate e costose “carrate et somate Fresearum”. La Freisa era molto diffusa perché all’epoca c’era un forte consumo di vino dolce e il vitigno ha sempre dato ottimi vini dolci.

Francesco Balbiano è uno dei profeti della Freisa di Chieri e ci racconta che quando iniziò a collaborare con suo padre nell’azienda vitivinicola, negli anni ’70, l’attività era concentrata soprattutto nella vendita di vini sfusi e di Freisa solamente dolce e frizzante perché mascherava l’acidità e il tannino di cui il freisa è ricchissimo.

Questo fatto di riuscire a mascherare due caratteristiche sgradevoli, cioè l’aspro e il tannino col dolce, ne aveva fatto un vino di successo perché manteneva la sua acidità che rendeva il dolce meno stucchevole e che insieme al tannino formava il complesso di un vino importante. Così importante che veniva bevuto a casa Savoia e probabilmente coltivato nei terreni che aggirano la Villa della Regina (villa seicentesca di proprietà dei Savoia sita nella precollina di Torino).

Ma cessato il consumo di vino dolci si è reso necessario adeguare il Freisa a un consumo di vino a “tutto pasto” e questo passaggio fu drammatico. Non si conosceva ancora bene l’importanza della fermentazione malolattica per questo vino che contiene una grande quantità di acido malico quindi per molto tempo è stato mal vinificato e questo sicuramente ha contribuito alla riduzione del consumo.

Non sono molte le persone che conoscono il Freisa all’infuori dalla provincia di Torino, Cuneo e Asti, e non a caso Isidoro Vaira (produttore di Barolo) mi racconta della sua etichetta Langhe Freisa “Kyè”, che in dialetto occitano si traduce proprio “chi è”. Probabilmente, però, conoscono il Nebbiolo. Secondo le ricerche della professoressa Anna Schneider, ampelografa di fama mondiale, la freisa è parente di primo grado con il nebbiolo (genotipo lampia), col quale condivide uno dei due alleli in addirittura 58 loci microsatelliti: la parentale è insomma da considerarsi certa.

Luca Balbiano, figlio di Fracesco è presidente del Consorzio della Freisa di Chieri e ci ha illustrato l’importanza della comunicazione in questa piccola denominazione. Il focus è sulla promozione del territorio che ospita il Freisa di Chieri perché è fondamentale che le persone scoprano con occhi propri la terra di origine e il perché di una certa vinificazione. Questo comporta la capacità di attrarre ed accogliere le persone, e il Consorzio lavora in questa direzione.

Attualmente le aziende consorziate sono circa una decina e sono molto diversificate tra di loro. Il prezzo delle uve purtroppo non è attrattivo per i nuovi giovani viticoltori: 5,50 euro al miriagrammo quindi 0,55 euro al kg. Bisogna considerare che il Freisa nelle versioni giovani esce a circa 4,80 euro a bottiglia e le aziende difficilmente hanno la forza di imporre un prezzo fuori dal mercato.

La qualità alla base di questa denominazione è di livello, vengono prodotte tipologie di Freisa ferma, superiore, vivace e spumantizzata e questo perché è una varietà molto versatile. Non credo che i consorziati si aspettino di avere l’approvazione di Robert Parker, però sarebbe piacevole e prestigioso scoprire l’interesse delle guide dei vini verso questa produzione.

Sull’andamendo della denominazione ho richiesto anche l’intervento di Matteo Rossotto, altra nome-portabandiera del Freisa di Chieri, che ci conferma la qualità generale delle aziende consorziate grazie anche a consulenze esterne che hanno apportato numerosi miglioramenti. Il mercato estero è reputato ancora una sfida molto difficile da affrontare e prima sarebbe utile ricoprire in maniera uniforme il mercato locale.

Da torinese, personalmente penso che sia un vino molto caratteristico, rustico e beverino, nato per accompagnare la cucina locale. Il consumatore medio va “svecchiato” e qui la necessità di coinvolgere i millenials in maniera innovativa. Non è un vino che passa di moda perché non lo è mai stato, purtroppo non cavalca ancora l’onda commerciale di altri vini più avvantaggiati ma con i progetti in corso e la volontà delle generazioni giovani di queste aziende c’è da aspettarsi grandi risultati.

Marco Serra

 

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

1 Commento

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Luca

circa 7 anni fa - Link

miriagrammo, suvvia! ;)

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