Una recensione alcolica a The Social Network

di Fiorenzo Sartore

Quando un genere mi piace, mi affeziono e lo riprovo continuamente nel tempo. Non sto parlando di vino (anche se potrei) ma di film. Ci sono titoli, come certe denominazioni, che si piantano stabilmente nella mia scala di preferenze. Certo, vago di etichetta in etichetta, sperimento e guardo in giro, poi però ritorno nel porto sicuro, o ventre materno (o altra efficace metafora psicanalitica). Ci sono film che sento di dover rivedere a scadenza periodica. The Social Network è uno di questi. Motivi possibili: è la quintessenza del film geek, è una storia di sfide impossibili, vittorie e sconfitte, amori e amicizie. È la storia di una pagina web che ho aperta anche in questo momento. Martedì scorso Facebook ha compiuto 10 anni, e io non rivedevo il film da mezz’ora: quale miglior occasione, per fare un’altra recensione alcolica?

Tutta comincia con una birra di troppo al ritorno da una serata no, durante la quale Mark Zuckerberg viene mollato dalla fidanzata (e tutti pensiamo “bella mossa, ragazza”). Succede al Thirsty Scholar Pub. (Ma esiste davvero un Pub dello Studente Assetato? Sì che esiste).

Mark torna nella stanza che divide, ad Harvard, con quelli che saranno i proto-fondatori di Facebook. Apre l’editor del suo blog, ospitato su Livejournal (tuffo al cuore: che ricordi!) con un computer chiaramente running linux (due tuffi al cuore!) e fa quel che sa fare ogni blogger in acido: si sfoga sul web.

Non contento, tra una birra e l’altra, giocando coi codici Mark mette su un minisito che confronta la figaggine delle studentesse di Harvard. Per farlo, accede ai vari facebook (album fotografici) delle confraternite universitarie. Sta iniziando qualcosa, ma nessuno ancora sa cosa.

Le immagini di Mark e amici, nella loro solitaria serata da perdenti geek rosiconi, si alternano a quelle della festa che nel frattempo si tiene nella residenza della confraternita di vincenti, il Phoenix: arrivano ragazze in quantità, si bevono distillati che immaginiamo nobilissimi, si fumano sigari. Comincia a profilarsi la distinzione tra il fondatore di Facebook e il gruppo di studenti figli di papà, e vedremo che la vicenda si reggerà anche su questo conflitto.

Intanto Facemash, il giochetto online messo su per noia, per scazzo e sotto i fumi dell’alcol, in poche ore ha un traffico improvviso ed enorme, e quella sera stessa manda in crash la rete di Harvard: è un segno, il mondo è pronto per qualcosa di più social.

Qui comincia l’avventura: Mark Zuckerberg diventa popolare e due studenti, i ricchi gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, gli affidano lo sviluppo di un social network interno ad Harvard. Ma qualcosa si complica, Mark procede di testa sua, e nasce il suo network sociale: The Facebook. Il film diventa ben presto una specie di giallo giudiziario, dove due team di avvocati affrontano Zuckerberg: da un lato i legali dei gemelli Winklevoss, e parallelamente quelli del suo ex-amico fraterno Eduardo Saverin con cui ha condiviso la nascita della creatura: tutti accampano diritti, e pretendono (indovina?) soldi. Ma la lite tra avvocati si riassume in una dichiarazione dibattimentale fulminante, durante la quale ogni geek salta sulla sedia e grida fuck yeah.

Ma prima di arrivare a questo, molto deve accadere. The Facebook va online all’insaputa dei fratelli Winklevoss il 4 febbraio 2004. Mark è solo un beer guy tutto sommato, e così i suoi amici. Quando il sito comincia a macinare accessi i ragazzi si riuniscono, e un’improvvisata assemblea degli azionisti distribuisce gli incarichi. Sempre bevendo birrette minimaliste.

Per vedere alcolici seri bisogna aspettare l’arrivo in scena di Sean Parker. Il fondatore di Napster vede The Facebook online, se ne innamora e vuole conoscere il geniale fondatore. Alla cena d’incontro nel ristorante posh-and-fashion (Parker appare come una specie di Lucignolo viveur) la fidanzata di Eduardo ordina, baldanzosa, Appletini.

Gli Appletini si susseguono velocemente, “va in onda il Sean Parker show”, dirà Eduardo durante la schermaglia legalese. Ma intanto si capisce che le cose stanno cambiando, e per il meglio.

Sean abbandona la scena lasciando il suo contributo fondamentale: “drop the the” (togliete il the) al nome del dominio the facebook. Merito degli Appletini, eh?

Zuckerberg decide di ascoltare un altro consiglio di Sean: trasferirsi in California. Per essere visibili a Palo Alto (sede di Stanford) e per essere in quella silicon valley dove succede tutto. Per il grande passo serve personale e si selezionano gli stagisti: vince chi scrive velocemente righe di codice per craccare firewall, tra uno shot di Tequila (o è Rum?) e un altro.

Arrivati in California, cambia lo scenario. Di social network si parla in discoteca, e Sean Parker titilla l’ego di Mark. Annunciando che cosa ci sarà scritto sul suo biglietto da visita, quando the facebook farà il botto.

La musica pompa, le ragazze al tavolo sono allegre, Harvard sembra il secolo scorso. Si festeggia, con Don Julio (tequila).

Così, mentre i ragazzi in California preparano le basi per l’azienda da un miliardo di dollari (“È lì che arriverete”, predice Sean) dall’altra parte del mondo Tyler e Cameron Winklevoss apprendono che The Facebook sta diventando un fatto planetario. E ci restano malissimo. Sul Tamigi la squadra di vogatori di Harvard perde il confronto con il team olandese durante la Henley Royal Regatta. Questa sconfitta è metafora di una maggiore sconfitta che si sta approssimando: i vincitori non sono più loro, il vincente è il nerd sfigato. Le immagini della regata sono già in rete, su Facebook.

La vittoria definitiva è sancita dall’arrivo degli investitori californiani, che con i primi 500 mila dollari danno a Facebook una sede e un’accelerazione formidabile verso il milione di iscritti. Ma come recita lo slogan del film, non puoi avere 500 milioni di amici, senza farti qualche nemico: i gemelli Winklevoss, alla fine della guerra (stra)giudiziaria porteranno via tutto sommato pochi spiccioli a Zuckerberg, che ormai è il vero trionfatore. A Eduardo Saverin andrà un po’ meglio. Ripensando a come è iniziato tutto, Mark ci ricorda una regola: mai aggiornare un blog da ubriachi. Anche se, nel suo caso, questo ha rappresentato l’eccezione.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

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