Vino italiano e cucina made in Japan

di Andrea Gori

È il trend del momento e come al solito non mancano sonore fregature: la cucina giapponese è affascinante e spesso non immediata per noi occidentali. Avete presente i piatti messi al centro della tavola e da cui tutti attingono, magari colmi di riso colloso che sembra fatto per dispetto? Ecco, quello che in un luogo è cultura, altrove diventa quasi abominio. Per fortuna, anche in Italia qualche buon ristorante/sushi bar giapponese non manca e nei migliori si trovano anche carte dei vini adeguate al conto, spesso non proprio a buon mercato.

Ragionando su come abbinare vino alla cucina giapponese, il problema principale sono le marinature. Basti pensare al sushi, ovvero riso cotto trattato con zucchero, aceto di riso e sale, guarnito con pesce o crostacei e spesso condito con salatissima salsa di soya e wasabi (cioé il ravanello giapponese), anestetizzante del palato e così intenso da annientare quasi ogni bevanda gli si avvicini. Meno arduo e più gratificante l’abbinamento con il sashimi – pesce crudo in carpaccio o a dadini – o con la classica tempura di pesci, crostacei e verdure fritti dopo un passaggio in sola farina.

Sushi e sashimi si possono accompagnare con un Riesling tedesco o anche piemontese come il grande Langhe Bianco di Vajra (li fanno anche in Giappone ma non sono esportati), mentre con alcuni piatti dominati dalla sapida salsa di soia si può provare un Sauvignon importante come il Ronco delle Mele di Venica & Venica. Certo, se il vostro ristorante giapponese avesse un vino Koshu (varietà di uva tipica del Sol levante che dà vini delicati e leggermente zuccherini) sarebbe ancora meglio. Sebbene più raro da trovare, la cucina giapponese prevede anche lo shabu shabu, carni di vitello e maiale lessate al tavolo in un brodo leggero, dove potrete provare qualche rosso di media struttura come il Bardolino di Monte Saline o una Barbera del Monferrato come la piacevolissima Umberta di Iuli. Insomma, chi trova un locale in cui si mangia e beve bene senza tornare a casa col portafogli vuoto faccia un fischio.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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