Leon Barral | Herault Blanc, un vino estremo in Linguadoca

di Mauro Mattei

Didier Barral sa il fatto suo. E’ un purista. Lui nel territorio ci sguazza, è uno senza paura e i suoi vini ti urlano in faccia, tanto da essere scorbutici e ai limiti della rusticità. I prodotti che immette sul mercato sono frutto orgoglioso delle sue vigne antiche, nobilitati e resi difficili dal rifiuto di aggiungere solforosa. Sono vini che fanno discutere per la loro natura ossidativa, per la torbidità, per l’imprecisione visiva. Eppure se saltiamo a piè pari queste riflessioni e arriviamo dritti al nocciolo della questione, non ci rimane che chinare il capo di fronte ad un bicchiere tanto deciso e schietto.

Basta assaggiare il suo vino da tavola, L’Herault Blanc per capire di cosa stiamo parlando. E’ un blend di terret blanc e gris, roussanne e viognier, uve provenienti in parte da vigne vecchissime che superano i 90 anni di età. I terreni su cui vengono allevate le viti sono ricchi di scisto, minerale che marcherà in maniera riconoscibilissima il vino. Le tecniche di vinificazione prevedono una pressatura lenta (che può arrivare fino a 12 ore) con bucce e raspi, una fermentazione in cemento con lieviti indigeni e la malolattica in barriques parzialmente usate in cui il vino rimane un anno a contatto con le fecce. In nessun momento viene aggiunta solforosa, tant’è che – a seconda dell’annata –  la sua presenza totale nel vino può andare dai 5 milligrammi ai 20 milligrammi per litro (mal di testa  e malesseri vari rimandati  a data da destinarsi).

Noi abbiamo provato un 2003 e nonostante il cattivo presagio di un’annata stra-calda anche in Francia, ci siamo piacevomente meravigliati, trovandoci di fronte un vino di estrema vitalità. Per nulla segnato dalle temperature elevate del millesimo.

Attenzione però, stop! Un suggerimento  prima di tutto dobbiamo farvelo: se deciderete di comprarlo, prima di berlo, lasciatelo “in piedi” almeno un paio di giorni. Il fatto che non sia né filtrato, né chiarificato, può creare grossi problemi se giudicate un vino dalla sua limpidità. Siamo sinceri fino in fondo: anche se farete particolare attenzione a non scuoterlo, troverete sempre elementi in sospensione. Specialmente se  – come noi – proverete a sciropparvi una bottiglia con qualche anno di affinamento in vetro.

Ok! Torniamo al sodo: cromaticamente è intenso, di colore quasi ambra e piuttosto velato. A contatto con l’aria (si comporta splendidamente se si superano le 12 ore di ossigenazione) libera subito le imperfezioni che lo irrigidiscono e gioca immediatamente le sue carte migliori: note potenti e dense di frutta gialla matura (melone) e ricordi agrumati, si alternano. Incontriamo sensazioni di buccia, note di pietra umida, qualche accenno “verde” e vegetale (i raspi?). Al momento dell’assaggio rimaniamo interdetti. L’esplosione olfattiva si risolve in una bocca inaspettatamente fresca, croccante di un’acidità succulenta e bilanciante, che trascina a lungo i ricordi aromatici. Un bicchiere chiama l’altro e diteci se questo non è un pregio.

Un vino che gioca sul filo dell’armonia e della disarmonia. Barral non ha paura di calcare la mano, né di dire quello che pensa ad alta voce. Da bere con gusto a viso scoperto: astenersi boy-scout (tranne Morichetti) e bevitori politicamente corretti.

Mauro Mattei

Sommelier multitasking (quasi ciociaro, piemontese d'adozione, siculo acquisito), si muove in rete con lo stesso tasso alcolico della vita reale.

5 Commenti

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riccardo

circa 14 anni fa - Link

ottimo post, da bere quanto prima. parte la ricerca sul web.

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Luca Cravanzola

circa 14 anni fa - Link

Posso chiedervi i prezzi e dove eventualmente l'avete comprato\trovato? Grazie.

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Mauro Mattei

circa 14 anni fa - Link

Ciao Luca, l'ho comprato da Velier "triple A", l'annata in questione l'ho pagata 17 europei iva compresa. E' una bottiglia che finisce intorno ai 30 al ristorante.

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Luca Cravanzola

circa 14 anni fa - Link

Grazie!!

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antonio

circa 13 anni fa - Link

Conosco i rossi e sono divini...

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