Fiere satelliti | Augurare lunga vita a Cerea e Villa Favorita è un fatto naturale

di Federico Ferrero

«Viniveri non mi piace, sottintende che gli altri siano vini falsi». Ho passato una vita a litigare con mio padre (lui scuola enologica? Io liceo classico. Lui repubblicano? Io repubblichino). Poi si cambia idea – tranquilli, gli anfibi Doc Marten’s del 1991 li ho buttati nell’immondizia da mo’ – e arriva quel giorno in cui l’istituzione paterna si trasfigura, da ostacolo perfido tra te e la libertà, in guida spirituale. Lui non lo sa, anzi, non lo ha mai voluto ammettere per ritrosia sabauda. Ma nel rutilante mondo del vino, pur facendo di tutto per restare nascosto, lo ricordano ancora oggi, nonostante il Ferrero abbia lasciato il campo di battaglia nel 1995. Lui e il suo Cerequio di Marengo&Marenda. Lui e il suo naso che gli aveva permesso di riconoscere un Barolo dalla polvere della strada che passa per un vigneto lamorrese (ovviamente si guardò bene dal raccontarmelo: lo venni a sapere anni dopo, dal suo collega Lorenzo Tablino). Faceva del vinovero, tanto per intenderci, solo che ai tempi il comportarsi da tradizionalisti (e non trattare una vigna come le foreste del Vietnam in Apocalypse Now, per dire) equivaleva a farsi tacciare di passatismo dagli amanti della ricetta del dottor X per un vino tecnologico (gli anni Novanta portarono un’onda di riflusso di produttori ispirati da Boccioni e Marinetti, per nostra fortuna presto rinsaviti). Oggi lo farebbe ancora così, il vino, ma non gli piacerebbe prendersi unilateralmente l’esclusiva della verità (anni fa già litighicchiava con l’amico di una vita, Baldo Cappellano, su quel nome per lui infelice). Del resto, oh: quando è moda è moda, ammoniva Gaber.

Anche quest’anno mi sono portato dietro la mia Treccani semovente e respirante per farmi guidare non per le strade della moda, ma per i banchetti di ViniVeri e di Vinnatur. I seguaci di Intravino e, più in generale, quelli che Beppe Rinaldi di Barolo chiama gli iniziati1potrebbero scrivere un altro Guerra&Pace solo per spiegare cosa divida insanabilmente il Controvinitaly numero uno dal Controvinitaly numero due. Ma, lasciatevelo dire da chi ha mezzo piede dentro e l’altro uno e mezzo fuori, sono questioni essenziali per chi le vive e del tutto insignificanti per chi beve vino pur con una certa contezza di quanto mette in tavola. Giusto parlarne tra voi, tra produttori, tra specializzati e, per l’amor del cielo, la soluzione non è la mediocrità. Non sto scrivendo l’apologia della conversione all’agire approssimativo e grossolano. È che, se vi piace rivolgervi anche a chi apprezza (quindi sceglie, quindi compra, quindi immagino vi interessi) il vino senza sapere esattamente cosa significhi pas dosè o rimontaggio manuale, beh, è obbligatorio parlare soprattutto di altro.

Per esempio di Cerea, sede ormai stabile – pare – di ViniVeri. Che ha sacrificato il fascino (e il parco, che qui manca dannatamente) della villa palladiana per un’area expo certamente più funzionale3. E di qualche alfiere incontrato quasi per caso: come Enrico Druetto (un farmacista, ma niente pericolo) e il suo Môrej, una barbera alessandrina contaminata dalla notte dei tempi con altre viti piantate nel terreno di famiglia. Certo: potrei copincollare il depliant, pratica più diffusa di quanto alcune anime candide non credano, e scrivere che il risultato di queste pratiche tradizionali è un vino rosso rubino scuro impenetrabile alla luce, quasi ad evocare il titolo del libro di Paolo Ferrero ‘Quando la barbera era nera’. Il bouquet presenta aromi terziari che vanno dal cacao al tabacco fino al cuoio e alla liquirizia. Ma c’è anche prugna secca in confettura. Invece preferisco segnalarlo perché è veramente buono. Un peccato archiviarlo come una barbera del Monferrato (infatti Druetto si astiene, avendo rinunciato all’appellativo, e secondo me ha fatto bene). C’è Ezio Cerruti, un pazzoide che vive negli ultimi scampoli di Langa e che, coi vicini di casa che lo guardano torvi, fa la vendemmia col piumino e il berretto di lana per tirare fuori il Sol, un moscato passito per cui fare la ola seduti a tavola è davvero il minimo (obbligatorio nella versione botrytis, quella radicale). Ci sono i grandi, come Beppe Rinaldi – che penso andrà a ViniVeri per empatia e condivisione, da buon compagno, perché il suo vino è più venduto dell’ultimo romanzo di Massimo Gramellini e di tutto ha bisogno tranne che di pubblicità. Ma fa da traino per i piccini, per coloro che di farsi conoscere hanno bisogno (la formula Gaber, anche qui, funziona: diciotto persone contate, mediamente genuflesse, davanti allo Champagne di Eugène Prudhomme, senz’altro meritevole; nessuno, al momento del mio passaggio, per il Fiano Don Chisciotte di Zampaglione, che non sarebbe male ma in uno degli assaggi ho trovato un che di salmastro, di acciuga. La Treccani dice che probabilmente è dovuto a un eccesso di macerazione.

Ecco, più in generale: vino naturale, d’accordo. Divieto di ingresso al professore pazzo di chimica in cantina, no lieviti selezionati, no concentratore, solforosa ai minimi. Tutti d’accordo (oggi: fino all’altroieri parlare così era da folli). Ma senza perdere di vista l’obiettivo: il vino deve essere buono o forse quel prodotto che – cito letteralmente – mi è stato presentato come «buongiorno è 100% naturale non ci metto niente ma proprio niente», e poi è più spigoloso e accidentato di un viso di Picasso4? Ho assaggiato un bianco di un domaine dal buon sèguito a ViniVeri e sono rimasto basito, per dire. La Treccani mi è arrivata in soccorso: «Hai presente quando dimentichi una bottiglia di arneis per una settimana sul davanzale al sole? Ecco». Vai di ossidazione: ma che è, sherry?

Lascio Cerea e gli amici eretici Musso e Pistone (non fanno vino ma non ne parlo, per conflitto di interessi5): qualche chilometro più in là, a Vinnatur di Villa Favorita, ritrovo Ferdinando Principiano, che non è solo un amico ma anche un futurista fulminato sulla via di Monforte. Un signor produttore. Il suo Boscareto lo regalerei a mio figlio per i diciott’anni (ed è un attestato di stima, non avendo figli né progetti imminenti in tal senso). Ce ne sono tanti altri: mi sono appuntato alcune stellette accanto a Laherte Frères, ai coraggiosi ragazzi di Ploder Rosenberg col loro pinot blanc proprio ben fatto. Gli chardonnay di Julien Labet, che ha fatto un lavoro da monaco amanuense con micro selezioni del territorio e un vin de voile (non trascurato, per intenderci) da urlo. Una croce, a proposito, sul produttore italiano il cui prosecco gode di una definizione ad hoc nel tomo Treccani: il vino del pelandrone. Sono quei vini che andrebbero travasati e invece rimangono lì, a prendere quell’odore feccioso che non deriva dalla sfiga o da chissà quale ispirazione trascendentale che noi non potremmo mai comprendere ma dalle sostanze che finiscono sul fondo e ivi restano. Penso, e lo dico in punta di piedi, che questo sia un aspetto non secondario del manifesto della genuinità: anche mio nonno, di professione muratore, come tutti i langhetti faceva il vino del contadino. Solo che, privo dei più elementari rudimenti di enologia, non lavava mai le botti perché suo nonno gli aveva insegnato a fare così. Travasare? Manco a parlarne. Colmare? Non scherziamo. E il suo vino naturale era pestilenziale. Penso sia importante restare guardinghi, insomma, fare attenzione a non permettere a taluni di mascherare la propria insipienza e/o pigrizia in cantina per riverenza ai capisaldi del vino secondo natura. Diversamente il mio prossimo ospite preferirà il prosecco chimico dell’ipermercato a quello pigiato coi piedi, biodinamico e imbevibile del produttore illuminato e io non avrò argomenti per convincerlo a bere naturale.

Nel pomeriggio scendo la scalinata di Villa Favorita, tutto sommato senza zigzagare. Mi arriva una telefonata: «Ehi, siamo a Vinitaly. Domani si apre. Gira voce che quel produttore di Alba, Tizio, abbia piazzato due ucraine da paura al suo stand. Vieni?». Al di là delle divisioni sindacali, insomma, augurare lunga vita a ViniVeri e Vinnatur è un dovere morale. Magari piazzando due bei cani da guardia all’ingresso.

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1. L’iniziato è colui che – prosegue Rinaldi – entra in cantina e, con fare tra l’altero e il sussiegoso, domanda solenne: «Quanto macera?». Rinaldi ha preconfezionato una replica identica per tutti: «Sempre, tranne che in Quaresima».
2. Non ci credete? Allora vi faccio un esempio tratto da una parte del mio mondo. Sapete che, in Italia, da anni si consuma uno scontro all’ultimo sangue tra la federazione italiana tennis e alcuni coach? Eppure Federer in televisione lo guardate, no? Ecco, avete capito cosa intendo dire. Anche nel tennis esiste un Intravino, che grida allo scandalo se qualcuno non rimarca le differenze insanabili tra la scuola della meccanica esecutiva del dottor Lombardi e gli insegnamenti dell’eretico Max Sartori. Cose che interessano sì e no duecento persone. Imprescindibili per loro, ignote (per grazia ricevuta) a tutti gli altri.
3. Quello che continua a non funzionare è la ristorazione: provati entrambi i menu a pranzo, quello vegetariano e quello di pesce. Desolato, ma non ci siamo.
4. Commento della Treccani: «Ma l’uva, almeno, quella ce la mette?»
5. Se vi interessa sapere chi sono: www.langhedoc.it

Immagini: credits 1, 2 e 3

29 Commenti

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armando trecaffé

circa 12 anni fa - Link

grande grande grande

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Simone e Zeta

circa 12 anni fa - Link

Si comincia a vedere la luce. Mettiamolo pure per iscritto, la piacevolezza passa anche per alcuni gradi di oggettività.

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Giovanni Corazzol

circa 12 anni fa - Link

Che piacere incrociarla qui. Non si allontani pls

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OsteRobi

circa 12 anni fa - Link

Dopo un film/documentario strepitoso.. ci confermiamo anche nei post!! Complimenti veramente..

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Flachi10

circa 12 anni fa - Link

"Il mio obiettivo e' salvaguardare un prodotto che e' unico, non omologarlo a quello che si produce nel mondo perche' agli americani piace che sappia di legno e che sia nero. Perche' come in questo momento gli piace cosi' magari tra 10 anni gli piace frizzante e cosa faccio il barolo frizzante?" (cit.) non conoscevo il libro/film, ho sentito questa frase nel trailer, la trovo semplicemente perfetta.

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Federico

circa 12 anni fa - Link

mio caro Corazzol, grazie a lei (e a tutti voi) per l'ospitalità :-)

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Giovanni Corazzol

circa 12 anni fa - Link

Caro Ferrero io passavo di qua per caso, si figuri se ospito. Mangio e bevo, quello sì. a volte pure in langa.

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Simone

circa 12 anni fa - Link

Bel post e complimenti a te e a Casalis per Langhe DOC. «Ehi, siamo a Vinitaly. Domani si apre. Gira voce che quel produttore di Alba, Tizio, abbia piazzato due ucraine da paura al suo stand. Vieni?» E' una frase perfetta per sintetizzare il motivo per cui gente come me, il Vinitaly non se lo caga di stridcio e va orgoglioso alle "altre" fiere del vino. Credo sia importante non solo "cosa" si vende ma anche il "come" si vende un vino..che non é proprio un oggetto come tanti altri. L'approcio etico e culturale di Vinitaly proprio non mi appartiene. Chiamtelo se volete pensiero politico... quindi.. lunga vita a Vinnatur,Viniveri,La Terra Trema,Critical Wine e chi più ne a più ne metta.. p.s. ma sbaglio o la fotina del porta-bicchiere e del libretto l'avete "ciulata" dal mio blog?? Va be vai.. la rete é bella perché é libera... http://simodivino.blogspot.it/2012/03/vinnatur-2012-villa-favorita-wine.html

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Antonio Tomacelli

circa 12 anni fa - Link

Non sbagli e in fondo all'articolo c'è il tuo link tra i credits :-)

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simone

circa 12 anni fa - Link

:-)

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Zakk

circa 12 anni fa - Link

«Ehi, siamo a Vinitaly. Domani si apre. Gira voce che quel produttore di Alba, Tizio, abbia piazzato due ucraine da paura al suo stand. Vieni?» Vinitaly è questa cosa qua sopra, ma è anche altro, soprattutto altro E mettere a termine di un post così bello una frase del genere per me significa non aver capito tanto: diversi produttori di Cerea e di Villa Favorita erano anche a Vinitaly, cosa gli si dovrebbe dire? Vinitaly è il luogo dove il vino lo si vende, molto più che a Cerea e similari, e non ditemi che i vini naturali si fanno per diletto e niente più. Vendere vino "naturale" a vinitaly non significa vendere un vino non più di quella stessa qualità tanto celebrata. ViViT ha avuto un gran successo di presenze e personalmente ho visto tanti produttori "convenzionali" fare capolino al primo piano del palaexpò mostrando curiosità per questi vini e questi produttori: ha fatto molto di più un'edizione di ViViT che tanti anni di villa favorita, perché il consumatore di un certo tipo di vino non ha bisogno nè di ViViT nè di Cerea per fare certe scelte, ma i produttori di vino, quelli che con il vino ci campano, prima di intraprendere un (il) cammino hanno forse bisogno di qualche certezza in più. Stare nella riserva degli indiani di vinnatur & C. significa stare rinchiusi nello stesso strettissimo cerchio (magico???). Ben venga vinitaly affollato da produttori di vin naturale e con stand sempre più affollati. Solo così nella riserva degli indiani ci finiranno i Frescobaldi,Antinori, fontanafredda.....

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

Sono d'accordo. Mi sembra un pezzo godibile ma manicheo, tanto.

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Alessandro Morichetti

circa 12 anni fa - Link

Nota a margine, sostanziale. Da biografia, "Federico Ferrero è giornalista per Eurosport, firma dell'Unità (sport, società, cultura), autore per ADD (il libro Alla fine della fiera, Tangentopoli vent'anni dopo)" e questo è tanto ma non tutto. Federico Ferrero è figlio di Marco Ferrero, detto "il mentore" (cit.): aiuto-cantiniere presso l'azienda Rinaldi Giuseppe di Barolo e aiuto-assaggiatore presso l'az. oggi guidata da Augusto Cappellano in Serralunga d'Alba. Il capitolo "mondo del vino visto attraverso le lenti di un padre" a me risulta molto affascinante e colgo l'occasione per chiedere un approfondimento del passaggio: "Lui e il suo Cerequio di Marengo&Marenda. Lui e il suo naso che gli aveva permesso di riconoscere un Barolo dalla polvere della strada che passa per un vigneto lamorrese ". E benvenuto ;-).

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Ziliovino

circa 12 anni fa - Link

Giusto quello che volevo chiedere io (su Marengo-Marenda, sembra buttata lì per indurre curiosità...), ho letto faville su vecchie bottiglie, e da allora attendo di scovarne qualche bottiglia:-)

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Carlo Tabarrini

circa 12 anni fa - Link

Proprio bel pezzo...

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

"...la soluzione non è la mediocrità" e ancora "Penso sia importante restare guardinghi, insomma, fare attenzione a non permettere a taluni di mascherare la propria insipienza e/o pigrizia in cantina per riverenza ai capisaldi del vino secondo natura." Il post mi è piaciuto, graficamente è un po' fitto e va riletto per afferarne il significato nella sua complessità. Sono d'accordo con Zakk riguardo alla chiosa, ma la considero una licenza poetica. Nell'insieme uno scritto molto interessante, appassionato senza essere fazioso. Di questi tempi va più che bene.

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gian paolo

circa 12 anni fa - Link

Grande Federico !!! non ti conosco ,ma sicuramente ti devo una bevuta.Bravo bel post ,giusto e docratico :" Una croce, a proposito, sul produttore italiano il cui prosecco gode di una definizione ad hoc nel tomo Treccani: il vino del pelandrone. Sono quei vini che andrebbero travasati e invece rimangono lì, a prendere quell’odore feccioso che non deriva dalla sfiga o da chissà quale ispirazione trascendentale che noi non potremmo mai comprendere ma dalle sostanze che finiscono sul fondo e ivi restano. Penso, e lo dico in punta di piedi, che questo sia un aspetto non secondario del manifesto della genuinità: " I travasi, come tante altre cose, non sono un optional nel fare un vino. Se passi dalle mie parti beviamo qualcosa,travasato off course :) :) . ciao Gian Paolo

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Federico

circa 12 anni fa - Link

@Alessandro e Ziliovino: nessun mistero. mio padre è stato per una trentina d'anni abbondante l'enologo di Marengo&Marenda, fino al 1995 (quando l'azienda, di proprietà di persone che vivevano di tutt'altro e che, in fondo, non si erano mai rese conto del tesoro che custodivano nelle vigne di Cerequio a La Morra) fu comprata da Gaja che invece, a quanto pare, di fiuto è sempre stato sufficientemente dotato. data la riservatezza quasi omertosa di mio padre, del suo barolo sapevo poco o nulla. quel poco lo leggevo di straforo dalle guide degli anni Ottanta/Novanta. in questi anni mi è capitato di assaggiare qualche suo Cerequio (un '89, un '90, anche un 1982) e, partigianeria compresa, ho fatto un paio di carpiati di pura gioia gustativa. ogni tanto, in giro per ambienti enoici, arriva gente sconosciuta che mi identifica ancora come suo figlio, mi dà una pacca sulla spalla e dice, quasi invariabilmente, la stessa frase: "eh, tuo padre..." immagino vogliano dire che mio padre era un enologo speciale (ma parlarne con lui è praticamente inutile, in famiglia men che meno: ha sposato un'astemia) a tutti gli altri, anche quelli cui non è piaciuto quanto ho scritto: grazie per avermi letto.

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Federico

circa 12 anni fa - Link

abbiate pazienza ma ultimamente le parentesi sulla mia tastiera vanno e vengono come vogliono, non come vorrei io.

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Alessandro Morichetti

circa 12 anni fa - Link

Ma dici che qualche vecchio Barolo ben conservato possiamo trovarlo in giro? E poi sarebbe troppo bello indagare quell'"eh, tuo padre...", oh quanto lo sarebbe. Mission impossible?

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Federico

circa 12 anni fa - Link

secondo me è difficilissimo trovare ancora qualcosa. per l'indagine: prova tu, magari ci riesci meglio di me!

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Il Consumatore

circa 12 anni fa - Link

Non posso che aggregarmi al gruppo di chi ti fa i complimenti, Federico. A questo punto non so dire se è piu' piacevole ascoltarti mentre parli di vino o mentre racconti di tennis...o forse ti sei trovato a tuo agio laddove non girano ...dopati. W il Cerequio Marengo Marenda '90 e di vendemmie lontane.

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Federico

circa 12 anni fa - Link

grazie davvero. posso dirti questo, che vivo una sensazione strana: per un verso mi sento in una città nuova, per un altro è come se, qui, ci fossi nato. f.

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Francesco Guerisoli

circa 12 anni fa - Link

bello scritto.anch'io mi aggiungo a chi Le chiede di non lasciare queste pagine saluti

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elena

circa 12 anni fa - Link

Ciao, complimenti per l'articolo, una piccola cosa: la foto del Morej è una foto fatta da me e presa da www.fashionforchetta.wordpress.com, sbaglio o non viene menzionata da nessuna parte questa piccola cosa???? grazie fashionforchetta

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Fiorenzo Sartore

circa 12 anni fa - Link

e' il primo dei credit a fine post. il numero uno.

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Olimarox

circa 12 anni fa - Link

Bellissima, questa trovata di citare le fonti con note criptiche. Così se proprio uno non è interessato non le vede. Ottima idea, lo dico senza ironia. fossi capace d'essere ironico. il post era lungo e le note in coda sono piccole ed i credit, una tantum, abbreviati. mentre normalmente non lo sono. contento? mi rispondo da solo: no. [f.s.]

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elena

circa 12 anni fa - Link

grazie per il link ( credit quel che è), non mi va di fare la polemica, potevate chiedere prima cmq. "senza polemica", tolta l'immagine. grazie lo stesso. [f.s.]

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