Enotendenze di Langa | L’enologo e la ritrovata verginità
di Mauro MatteiChe le Langhe siano splendide è cosa assodata. Eppure ad ogni visita continui ad avere un sussulto, specie se le osservi in inverno, nebbiose e spoglie. Ti emozioni, scruti il paesaggio consapevole che quelle docili colline siano, in realtà, un patchwork di vigne da capogiro. Un insieme di preziosi cru (anzinò di italianissime Menzioni Geografiche Aggiuntive, tanto per esser chiari) capaci di generare vini da urlo.
Insomma TU, enogurmè senza pregiudizi, sei ancora lì con gli occhi umidi, rapito dal paesaggio e commosso da tanta bellezza quando, inquieto, sobbalzi. Con uno scuotimento, quasi un risveglio, finisce la sublimazione e ti trovi a correre verso quella cantina. Si, proprio quella in cui la botte grande era stata defenestrata a favore della famigerata barrique. Quella dove era pane quotidiano sottolineare quanto fosse importante la macerazione breve (ecchissenefrega se una volta si svinava a Natale), quella dove nel sottoscala era inguattato un concentratore (da usare solo nelle annate sfigate eccimancherebbe). Insomma il posto in cui avevano attecchito queste ed altre “scandalose” modernità.
Ti ritrovi lì a scandagliare ogni angolo, stupendoti di come le tracce del misfatto siano state abilmente cancellate. Interroghi il wine maker e già qualcosa suona strano perché ti accorgi che, ormai, ama farsi chiamare vignaiolo e predilige al desueto aspetto tecnologico un rinnovato interesse agronomico. A dire il vero – puntualizza – lui da sempre preferisce i filari al laboratorio, ma si sa: la vita è un percorso. Intontito, per schiarirti le idee, non ti rimane che una full immersion nel beveraggio. Sgargarozzi a destra e a manca ma il dubbio si rafforza. Insisti, allora. Chiedi in giro. Piroetti qua e là, scruti ancora. Parli con altri (ex) cultori della modernità e vedi lo sforzo nei loro occhi. Lo sforzo di raccontarti che le cose cambiano. Sudaticci spiattellano che la barrique è stata cosa buona ma, a ripensarci, è meglio darci un taglio. Ti raccontano di come il lievito autoctono è tutto quello che serve al giorno d’oggi, altro che prodotti di sintesi. Precisano il fatto che nei rotomaceratori hanno ormai piantato le camelie e insistono perchè tu capisca che ora inerbiscono, non diserbano e non sfruttano i loro poveri terreni. C’è chi, a trait d’union col rinnovato interesse per l’ambiente e le tradizioni, ti sfoggia il mulo e l’aratro e c’è chi accumula stallatico per i turisti. Qualcuno con le costose e francofone botti piccole ci riveste stanze, realizza sedie, confeziona ringhiere ed altre graziose amenità.
Insomma ce n’è per tutti i gusti. Caro eno-curioso, bando alle ciance: vai pure in Piemonte, godi del paesaggio e dei grandi vini. Tuffati nel cibo eccellente e apprezza l’impareggiabile ospitalità. Non dimenticarti, però, di ammirare come sia attecchita – alla velocità della luce – un’usanza tutta italiana. Un savuarfèr trasversale che unisce la penisola al di la delle barriere culturali e geografiche: l’arte di riciclarsi, l’abitudine di tornare (astutamente o no) sui propri passi. A volte il motivo è commerciale: un atto pubblico di vezzeggiamento nei confronti del consumatore capriccioso e modaiolo. Spesso la stressante dinamica di seguire in maniera serrata e costante la corrente della tendenza risulta essere banale banderuolismo italico (virus pandemico legato agli ambienti politico-amministrativi e curabile con qualche infiltrazione di marketing). Per quel che riguarda invece i casi meno frequenti, quelli legati al sincero ricredimento e alla riscoperta del territorio tramite la tradizione, stiamo ancora lavorando sugli avvistamenti ma sembra che ci siano buone possibilità di girare un documentario patrocinato dal WWF entro l’anno.
Tu, nel frattempo, divertiti pure ad osservare questa nuova specie in cerca d’affetto: l’enologo in fase di conversione. Non trattarlo male, mi raccomando, ha bisogno di comprensione e coccole.
10 Commenti
Francesco Fabbretti
circa 14 anni fa - LinkAvevo commentato un post su quanto sia trendy spacciarsi per "Sacri adoratori della dea madre natura". Per "ripulire" un terreno ci vogliono almeno 6 anni, credo che per ripulire il cervello ne occorrano un po' di più. Caro Mauro, la medesima tendenza l'ho notata girando per cantine a benvenuto brunello. Per quanto mi è dato di sapere solo San Paolo è riuscito a cambiare idea più velocemente di cotesti signori (ma lì c'era l'intervento divino...) per cui ho il ragionevolissimo dubbio che si tratti del classico maquillage estemporaneo in attesa del prossimo cambio di tendenza. In fin dei conti Flaiano lo scriveva già negli anni '60: "Gli Italiani sono sempre pronti a correre in soccorso del vincitore". Da puro enosnob mi vien voglia di gridare "aridatece la baricche!!!".
RispondiFiorenzo Sartore
circa 14 anni fa - Linkvero, oggi se vuoi fare lo strano devi bere chard barrique, sul genere californiano. e' il massimo dell'anticonformismo, ormai. io ho un produttore langhetto che s'e' ritrovato coi vigneti di chardonnay finalmente produttivi un paio di anni fa. in totale controtendenza. che sfiga! lo vendo apposta, per solidarieta'.
Rispondifrancesca ciancio
circa 14 anni fa - Linkche sia per moda o meno, una cura della propria azienda e di ciò che la circonda in modo "naturale" non può che fare bene a tutti. di una cosa sono sufficientemente convinta. non si torna indietro. quindi chi oggi lo fa per marketing tra qualche tempo o chiude o continua così. perchè cisono più occhi che guardano e più orecchi che ascoltano. il vero business del domani prossimo venturo è l'energia rinnovabile, l'appoccio ecologico, la bio-compatibilità . certo anche a me viene un po' da ridere - e forse pure da piangere - quando sento "ras" del vino che hanno interrato la cantina nuova così non sconvolge le linee del paesaggio. però intanto l'ipocrisia è stata matrigna di qualcosa di meno invasivo e di ciò ne godiamo tutti
RispondiFrancesco
circa 14 anni fa - LinkIl cabernet maremmano mi piace tanto. Poi costa proprio poco'
Rispondiostedanilo
circa 14 anni fa - LinkL'era Parker sembra ormai definitivamente chiusa ed è normale che gli effetti ci siano un po' ovunque. Scommetto che anche in Borgogna, dove la barrique è di casa, con le tostature ci vanno più piano ora. In Alsazia da Trimbach nella sala degustazione c'è un bel cartello in inglese (nota bene, i francesi non scrivono volentieri in inglese...) che dice qualcosa come: "Say no to oak, help us put the fruit back in wine!" La retromarcia è intrinsecamente commerciale, ma mi piace pensare, come fa Francesca, che in realtà si tratti soprattutto di un percorso e precisamente di un passo in avanti compiuto un po' da tutti. La moda ha la sua importanza come in tutte le tipologie di commercio, ma è pur vero che il vino è un prodotto ben peculiare ed ha il vizio di sfuggire quasi sempre alle catalogazioni e alle previsioni. Non potrebbe quindi darsi il caso che il consumatore sia cresciuto, si sia un po' autoeducato ed abbia finalmente capito che tutto sommato i principi che contano sono la varietà, il maggior rispetto per la natura e la bevibilità di un vino? Forse ora la stessa parabola toccata alla barrique toccherà al "biointegralismo". E comunque, viva le Langhe e i piemontesi tutti, che ad ogni buon conto fanno i vini rossi più buoni del mondo!
RispondiMauro Mattei
circa 14 anni fa - LinkAttenzione però! la riflessione non nasce dalla presa visione di buoni propositi. Tutt'altro! Qui c'è da indagare riguardo le retromarce "sospette" :-)
RispondiLivefromTuscany
circa 14 anni fa - LinkE stranamente quando un gruppo di bloggers americani sono andati a Piemonte la settimana scorsa per un full immersion di Barbera, hanno trovato Barbera barricata di Nizza. Hanno chiesto ai produttori come mai, perche dovevano fare questo alla Barbera, perche "internazionalizzarlo"? Perche "Superbarbera"? E' scoppiato una litigata con tanti urli in difesa di Barbera "importante". Must have touched a sore spot! http://saignee.wordpress.com/2010/03/10/barbera-and-superbarbera/
RispondiFiorenzo Sartore
circa 14 anni fa - Linkla risposta dei produttori c'e' stata, direi, leggendo l'interessante link che segnali: "the local market is dying" - il consumo locale e' calato drasticamente cosi' alcuni produttori puntano ai mercati internazionali cercando di rendere appunto "internazionale" il loro prodotto. credo che sia una dinamica vista anche troppe volte nel nostro ambito. nel caso del barbera astigiano poi la risalenza e' almeno ventennale, da giacomo bologna in poi. e' giusto, e' sbagliato? dipende da come vediamo la cosa. se la vediamo da enofili, chiaramente ci sembra un tradimento delle tradizioni territoriali eccetera. se la cosideriamo dal punto di vista del produttore, che col vino "territoriale" non vuota la cantina e non paga le rate dei mutui, ecco che tutto appare piu' complicato. la mia personalissima idea e' che il vino deve rispondere alla domanda "mi piace, si o no?" prima che alla domanda "e' territoriale?". quella e' interessante, ma secondo me viene (appena subito) dopo.
RispondiFrancesco Fabbretti
circa 14 anni fa - LinkMi viene in mendte una considerazione un po' provocatoria: che si beva uva fermentata è dato assodato da almeno 5000 anni. Basandovi sulle vostre conoscenze sapreste se c'è mai stata un'altra epoca in cui si è parlato così tanto di vino e in modo così capillare come negli ultimi 30 anni? Indubbiamente il dibattito ha consentito progressi significativi e stimolanti per produttori e consumatori ma forse ha "gonfiato" in modo eccessivo il consumo di vino in modo eccessivo. Fiorenzo, tu segnali una triste realtà di fatto che condivido e che mi spinge a pormi ulteriori domande: il consumo locale, e nazionale, è calato... rispetto a quando? Perchè non consideriamo il fatto che il consumo del coiddetto vino di qualità è aumentato in modo vertiginoso, probabilmente al di là di una fisiologica crescita, pompato da una marea di informazioni (spesso nemmeno troppo professionali) che ne hanno fatto oggetto di chiacchiere (troppo prosaicamente definite cultura)? Il consumo di certi vini era, ed è tutt'oggi, un must, una tendenza; dal mio punto di vista la contrazione è fisiologica che sia bio, non bio, o quant'altro semplicemente perchè troppi consumatori hanno bevuto senza davvero avere voglia di bere, ma solo perchè "fa cultura" farlo.
RispondiFranco Ziliani
circa 14 anni fa - Linkdiciamo con estrema sintesi - e perdonatemi il francesismo - che certo produttori di Langa già super modernisti "hanno la faccia come il culo" e vorrebbero far dimenticare una serie di eno-bischerate e scorciatoie prese in passato. Ma c'é chi non dimentica, chi si ricorda chi ha veramente mantenuto la barra dritta e salvaguardato l'immagine, la storia, l'identità del Barolo e del Barbaresco e chi invece, oggi svolta, perché il consumatore si é stufato delle loro spremute di legno, non perché hanno maturato una filosofica conversione...
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