Viaggio al centro del Cesanese di Olevano Romano: parte prima

Viaggio al centro del Cesanese di Olevano Romano: parte prima

di Redazione

Lo scorso 27 maggio la nostra colonna romana ha fatto visita a Lorella Reale e Piero Riccardi presso la loro azienda per una ricca introduzione ai Cesanesi di Olevano Romano, fortemente voluta da noi che, nelle nostre basse e squinternate ambizioni, pensavamo a un utilissimo laboratorio di degustazione critica. In realtà ne è uscito fuori qualcosa d’intermedio tra romanzo di formazione e colazione en plein air, con compendio antropologico-culturale sulle relazioni italo-tedesche. Magnifico. Tutto questo, grazie soprattutto a Lorella e Piero, che si sono munificamente fatti carico di fornire la migliore location possibile (casa loro), pensare alla communication (a tutti i loro colleghi produttori coinvolti e poi intervenuti a sessione conclusa) nonché al procurement (hanno raccolto loro le bottiglie per la degustazione) e persino alla sustenance (che ci ha calati nella nostra condizione ideale di felici e satolli).

Lo scritto di seguito, redatto da Piero Riccardi, non può che precedere per importanza il nostro resoconto della degustazione. È un testo di ricchezza pari alla sua piacevolezza, di grande impegno e nessuna difficoltà. È per noi un onore ricevere un documento di simile caratura e condividerlo con voi. Le nostre note arriveranno con la seconda parte.

 

Cesanese il vitigno più antico del Lazio

 

Il Cesanese è il vitigno a bacca rossa più antico, tipico e rappresentativo del Lazio. Così si afferma ormai da tempo in articoli e pubblicazioni e così è sicuramente: il Cesanese è il vitigno laziale, noto documentalmente da alcuni secoli, apprezzato da imperatori e papi.

Detto così appare tutto semplice, ma le cose si complicano alquanto se pensiamo che di vitigni Cesanese se ne citano normalmente due: il Cesanese Comune e il Cesanese di Affile. Si complicano ancora di più se diciamo che se lo contendono 3 diverse Denominazioni – Cesanese di Affile, di Olevano Romano, di Piglio, ognuna rivendicando una qualche supremazia –. Oltre a queste tre zone, per il Cesanese entrerebbe in ballo un territorio storico per il vino laziale come quello dei Castelli Romani, dove qualche autore sostiene si trovi la sua prima terra d’elezione, ma da cui ad un certo punto della storia vitivinicola castellana è pressoché scomparso per essere soppiantato in coltivazione e in fama dai vitigni bianchi.

E le cose sul/sui Cesanese si complicano ancora di più, meglio, enormemente di più, se ci proponiamo di risalire alla sua origine – ma qui concediamoci un momento di suspense, e torniamo alla storia dei due Cesanesi.

Che esistano due Cesanesi lo attestano documenti delle varie Commissioni ampelografiche del Ministero dell’Agricoltura e soprattutto il Registro ufficiale dei vitigni italiani ammessi alla produzione di vino in Italia.

Senza entrare nei dettagli tecnici diciamo che, dalle descrizioni ampelografiche, ci troviamo di fronte a due vitigni molto diversi: forma, dimensioni, colore, peculiarità morfologiche di foglie, germogli, grappoli, tralci, acini appaiono, anche agli occhi di un mediamente competente, completamente differenti. Che i Cesanesi siano due – comune e affilano – lo si sente ripetere anche dai viticoltori olevanesi, pigliesi e affilani.  Eppure, come viticoltore e produttore di Cesanese di Olevano Romano ho sempre avuto qualche dubbio. Dubbi che si sono concretizzati un paio di anni fa, quando, nel corso di alcuni incontri ampelografici presso l’Istituto di Viticoltura di Velletri, oggi associato al Cra Viticoltura di Conegliano, incontri organizzati dall’Arsial – l’Agenzia per lo sviluppo dell’Agricoltura della Regione Lazio – mi fu chiesto di raccogliere foglie di Cesanese Comune da vigne di Olevano Romano. Le foglie dovevano servire per l’analisi del Dna presso il Laboratorio di genetica di Conegliano. In quell’occasione visitai i vigneti di colleghi, cercando di individuare quelli che con certezza erano considerati da loro stessi Cesanese Comune.  Ma quando andavamo per prelevare le foglie, già ad un’analisi visiva in campo, riconoscevo che non si trattava di Cesanese Comune. I colleghi mi assicuravano che quel vigneto era stato innestato dal padre o addirittura dal nonno partendo da marze che erano assolutamente certi fosse Cesanese Comune. Immancabilmente, ad un riscontro tecnico, tutto quel materiale genetico era Cesanese di Affile. Una cosa però c’è da dire, che i Cesanesi coltivati nelle terre di Olevano e Piglio mostrano grappoli diversi, più grandi gli acini, più grandi i grappoli, spesso con vistose spalle: due e a volte anche tre. Ma notoriamente non è il grappolo l’elemento che determina la eventuale diversità genetica – basta confrontare i sangiovese coltivati in territori differenti a partire dalla stessa Toscana, per notare grappoli molto diversi tra loro, pur rimanendo geneticamente sangiovese. In questi casi si tratta di quella che viene definita variabilità intragenetica dovuta a fattori diversi, terra, esposizione, microclima, selezioni avvenute nel corso di decenni, di secoli.

Tutte queste considerazioni, mi hanno portato – come presidente della Strada del Vino Terre del Cesanese di Olevano Romano e soprattutto come consigliere di amministrazione del Gal Terre di Pregio di cui Olevano Romano fa parte – a promuovere uno studio sulla biodiversità viticola finanziato con la misura biodiversità del Psr Lazio, con particolare riguardo al vitigno Cesanese nei territori di Olevano Romano, Genazzano, San Vito Romano. Il progetto, che ha per capofila il comune di Olevano Romano, la consulenza scientifica di Arsial e la direzione tecnico-scientifica del Cra Viticoltura di Conegliano, è in corso da un anno e ne durerà tre. Già le prime ricerche confermano che il Cesanese coltivato nel territorio della Doc è riconducibile ad unico tipo, ma per rispetto della ricerca e dei suoi risultati non possiamo anticipare nulla e non ci resta che aspettare la fine dello studio.

 

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C’è però ancora un secondo nodo da sciogliere sul Cesanese: qual è la sua origine? E qui le cose si ingarbugliano ancora di più, perché, diciamolo subito, il Cesanese di Affile, quello coltivato nei territori delle tre denominazioni, Affile, Olevano R. e Piglio, da ricerche già effettuate sul suo Dna presso il Cra di Conegliano non ha parentele con altri vitigni italiani. E questa è una piccola bomba, che apre una domanda fondamentale: come è arrivato in queste terre – tutto sommato un’enclave ristretta – il vitigno chiamato Cesanese?

Qui dobbiamo fare una breve premessa. Sappiamo che la vitis vinifera – la grande famiglia a cui appartengono tutti i vitigni che hanno dato vita alla magica bevanda che chiamiamo vino, bevanda che, possiamo dire, sta alle fondamenta dell’identità culturale che si è costruita nei millenni attorno al bacino del Mediterraneo – ha un unico centro di irraggiamento: il Caucaso, su per giù quella terra che oggi si chiama Georgia. Sappiamo che piano piano, nel corso di secoli, di millenni, la vitis vinifera si è diffusa verso Occidente, verso l’Europa, e lo ha fatto in tempi più o meno lunghi, attraverso due direttrici principali: una a sud, seguendo l’espansione della civiltà Greca che ha raccolto il testimone in Anatolia, portandolo in Italia con le colonie della Magna Grecia, testimone raccolto poi a sua volta da Etruschi prima e Romani poi che l’hanno portato a nord, su per la penisola verso l’Europa centrale; l’altra direttrice di diffusione della vitis vinifera è a nord, attraverso i Balcani, con gli spostamenti verso Occidente delle varie popolazioni, spinte a loro volta da successive ondate migratorie.

Tutto questo lo possiamo leggere con le analisi del Dna che rivelano, attraverso le parentele genetiche, le direttrici di diffusione. Per fare un esempio, il confronto di alcuni alleli tra il Gaglioppo calabrese e il Sangiovese ci dicono appunto che la diffusione in questo caso è avvenuta attraverso la catena Greci/Etruschi/Romani. Ora, se il Cesanese di Affile/Olevano/Piglio non ha parentele con altri vitigni italiani attuali e se tutta la vitis vinifera proviene dal Caucaso, qualcuno a un certo punto della storia deve averlo portato da lì. Chi e quando il vitigno Cesanese è stato portato proprio in quel luogo da Oriente?

Per scoprirlo abbiamo due strade, la più certa e sicura è continuare a fare confronti di Dna con altri vitigni che non siano quelli già noti. La seconda, in attesa della prima, è provare a proporre alcune considerazioni concettuali deducendole dalle vicende storico-culturali. Tentiamo.

La zona delle denominazioni storiche del Cesanese gravita intorno alla Valle dell’Aniene. Nella Valle dell’Aniene c’è un santuario, sulla montagna di Vallepietra, dove si venera dai cristiani un’immagine sacra che rappresenta la Trinità. La venerano i cristiani cattolici di una vasta area attorno alla grotta dove nell’800 fu rinvenuto l’affresco e altri dipinti sacri, eppure l’iconografia di questa Trinità ci riconduce alla Chiesa Ortodossa orientale – le tre figure divine tutte uguali che benedicono con il pollice unito all’anulare della mano destra. Dunque la grotta deve aver ospitato monaci, eremiti, di culto ortodosso bizantino? Quando? La datazione dell’affresco della Trinità indica un periodo preciso: 1200 dc. Grosso modo la stessa data in cui abbiamo la prima notizia dell’esistenza di un paese confinante a Vallepietra che si chiama ancora oggi Cappadocia (come la terra orientale appunto) i cui santi patroni sono Santa Margherita di Antiochia e San Biagio di Sebaste, entrambi martiri cristiani dell’Anatolia del IV/V secolo. Santa Margherita di Antiochia è patrona di Olevano Romano. Di San Biagio da Sebaste è attestato, proprio nel 1200, un miracolo a Fiuggi – poco lontano dunque da Vallepietra. Ma ci sono ancora altri indizi della presenza bizantina orientale in loco: il monte di fronte Vallepietra, fino all’Ottocento, era chiamato Sion.

Insomma, che nella Valle dell’Aniene ci fosse presenza di bizantini sembra fuor di dubbio. Probabilmente anche a partire da quel V secolo, quando l’imperatore romano d’Oriente a Bisanzio, Giustiniano, inviò truppe imperiali per difendere Roma dalle incursioni barbariche. Truppe bizantine che sostarono intorno a Roma per una trentina di anni, prima di spostarsi a Ravenna.

Un’ultima notazione per quanto riguarda il Cesanese Comune: a Conegliano, nella folta collezione in campo dei vari vitigni italiani, risulta un’unica accessione di Cesanese Comune, che non proviene dalle terre del Cesanese storico, Affile, Olevano R. e Piglio, accessione che all’esame del Dna riconduce ad una parentela con il vitigno Coda di volpe, vitigno bianco campano e dunque, in questo caso, riconducibile alla via sud Greci/Etruschi/Romani. Ma questa è un’altra storia.

Insomma, sul vitigno Cesanese c’è ancora da indagare parecchio. Intanto, accontentiamoci – e non è certo poco – del vino originale che se ne produce. Che sia originale il vino Cesanese è indubbio. Aromi e sapori tipici che non hanno riscontro in altri vini italiani – e questo ci può stare visto che non ha cugini o fratelli in Italia – sapori e aromi che lo caratterizzano indiscutibilmente.

Diciamo subito che il vitigno produce un vino rosso non particolarmente carico. Lo testimonia il fatto che, per ovviare a quello che una volta era considerato un difetto per un rosso, nelle vecchie vigne ci si preoccupava di piantare qualche ceppo o addirittura uno o due filari di vitigni che davano colore, uve tintorie: ancellotta, ad esempio, ma anche pugliesi – in un mio vigneto vecchio ho individuato piante di negroamaro, nel vigneto di un collega ho visto ceppi di uve spagnole. Altra caratteristica: il Cesanese possiede una robusta componente tannica, ma perde facilmente acidità nelle ultime fasi di maturazione. Per ovviare a questo, spesso, specie oggi che si ricercano vini acidi, alcuni viticoltori tendono a raccogliere anticipatamente per conservare più acidità, ma così facendo si corre il rischio di perdere gli aromi tipici del cesanese: frutti rossi, in particolare marasca. La raccolta anticipata ha come conseguenza anche una dotazione di tannini meno maturi, che obbligano a macerazioni più brevi. Una volta, quando il vino Cesanese tipico di Olevano era vinificato dolce per il mercato romano che così lo richiedeva, si tendeva a raccogliere in surmaturazione, ovvero si lasciava appesa in vigna una certa quantità di uva da raccogliere tardivamente per la pratica di rincappellare a novembre/dicembre, e ottenere così vini dolci e più concentrati, ma spesso anche più marmellatosi.

In coltivazione il Cesanese è un vitigno abbastanza difficile a causa della sua sensibilità alle malattie crittogamiche. Ciò nonostante, una sapiente cura agronomica permette di coltivarlo in regime biologico e biodinamico. In vinificazione, a parte i rarissimi casi di cantine che utilizzano fermentazioni di lieviti spontanei che permettono al Cesanese di esprimere le sue peculiari caratteristiche organolettiche, l’uso diffuso di lieviti industriali non omogenei produce, tra le varie etichette, allontanamenti spesso sensibili dalle caratteristiche tipiche del Cesanese. Differenziazioni che comunque in parte sono anche da attribuirsi alla grande variabilità di composizione dei terreni, oltre che alla stessa variabilità tra ceppi e vigne diverse.

Grosso modo, riguardo ai terreni, nella doc di Olevano Romano ci sono due grandi macro-giaciture: le terre arenarie e le vulcaniche, a loro volta divise in rosse/ferrose e grigie/pozzolaniche; spesso sono presenti terreni con più o meno presenza di argille. Un ultimo fattore: il mar Tirreno, che si scorge in lontananza all’altezza di Nettuno, fa sentire la sua influenza attraverso l’apertura tra i Monti Lepini e i Castelli Romani.

Ma veniamo infine al Cesanese e Olevano.  Due fonti principali ci aiutano: i documenti medievali che si trovano negli archivi dell’Abbazia benedettina di Subiaco e gli Statuta Olibani, la cui prima redazione risale alla metà del 1300. In entrambi i casi la prima considerazione da fare è che la viticoltura, per citazioni e norme che la riguardano, era un’attività economica importante e centrale, lo dimostrano l’estensione delle citazioni e delle norme che la salvaguardavano e le pene dure per coloro che arrecassero danno a questa coltivazione. Riguardo al nome Cesanese, alcune teorie lo farebbe risalire a una derivazione dal termine latino cese, che indicava le aree disboscate, assegnate in coltivazione a coloni. È un’ipotesi, ma tutta da dimostrare.

Da queste brevi note si capisce quanto ancora poco sappiamo riguardo alcuni vitigni italiani, anche molto antichi, come il Cesanese delle terre storiche di Affile, Olevano Romano e Piglio. Sicuramente il Cesanese è il vino rosso di Roma, meno conosciuto in Italia, ma oggi apprezzato sempre di più dai mercati mondiali.

 

Piero Riccardi

Presidente della strada Terre del Cesanese di Olevano Romano

 

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3 Commenti

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Confesso di non aver mai bevuto una bottiglia di Cesanese, però l’articolo mi ha destato una curiosità. In agosto sono in vacanza in Maremma, e farò una zingarata con la moto per andarlo a provare in Loco.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Kosmos di Marco Antonelli, ma soprattutto il Cirsium di Damiano Ciolli, valgono " la passeggiata"

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Claudio

circa 3 anni fa - Link

Bellissima lettura. Grazie Piero!

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