Un pomeriggio con Angelo Gaja (del futuro delle Langhe)

Un pomeriggio con Angelo Gaja (del futuro delle Langhe)

di Redazione

Paolo Casalis è architetto, autore, documentarista e scrittore e anche ciclista. Guida alle Langhe in bicicletta è il suo ultimo libro mentre Sulle strade dei vini. Un viaggio lungo le ciclabili dell’Alto Adigeè il suo ultimo film. Dopo un suo post sulle Langhe ha incontrato Angelo Gaja. Questo è il racconto della giornata.

Angelo Gaja, presentandomi al responsabile del cantiere:

– “Lui è un ambientalista!”
Io, facendo ripetutamente segno di no:
– “No, non è vero, non sono un ambientalista!”

Per farvi capire com’è nata questa conversazione un po’ surreale con il “re del Barbaresco”, ho bisogno di una breve premessa.

Qualche settimana fa Intravino ha pubblicato un mio post.
L’hanno letto in tanti, e ha ricevuto parecchi commenti, tra cui più di uno era di questo tipo: “Si è svegliata l’anima bella. E quindi, che si fa?” oppure “Indignarsi è facile, bisogna agire!”. Facendo la tara del fatto che siamo pur sempre nella società della comunicazione, e che non mi sembra ci fosse la fila fuori, per “denunciare” certe cose, sono critiche che accetto e – vi dirò – in buona parte condivido.

Di fondo sono un individualista, le mie “buone azioni” nei confronti del territorio in cui vivo sono episodiche, sporadiche: qualche documentario o parti di documentario, alcune cose scritte qua e là, interventi sui social che lasciano il tempo che trovano. Non faccio parte di associazioni o movimenti di alcun tipo, non ho mai sfilato per una causa, non mi sono mai incatenato a una vite diserbata o al pilastro in cemento armato di un capannone.

Mi ha fatto quindi doppiamente piacere quando ho ricevuto una e-mail dalla segretaria personale di Angelo Gaja: “Gentile sig. Casalis, il sig. Gaja avrebbe piacere di parlarle”. Nel mio post avevo criticato il cantiere della futura, gigantesca cantina “del più famoso produttore delle Langhe”.

E chi altri poteva essere, se non Angelo Gaja?

Un attimo di preoccupazione iniziale c’è stato. Già mi rivedevo in quella famosa scena de “Il Padrino” (mi sveglio di soprassalto e accanto a me, nel letto, c’è una testa di cavallo), ma allo stesso tempo ero contento di avere ricevuto un riscontro diretto – l’unico, peraltro – dal mondo del vino, a conferma del carattere e della personalità da leader del mittente.

A livello personale, poi, oltre ad aver ricevuto un invito che non capita tutti i giorni, intravedevo la possibilità di fare un piccolo passo avanti sulla scala del mio impegno sociale e ambientale, andando al di là del ruolo effettivamente facile, anche se neppure così banale, di “indignato speciale”.
E così mercoledì ho passato due ore con Angelo Gaja e suo figlio Giovanni.
Ecco com’è andata.

Via Roma 18, Barbaresco (di ambientalismo e di fiducia)
Angelo Gaja mi squadra da capo a piedi. Jeans neri strappati qua e là, giubbotto in finta pelle, foulard al collo. Totalmente fuori contesto, sembro Joey Ramone catapultato nelle Langhe.
– “Togliti un attimo la mascherina.”
Abbasso la FP2, scoprendo i baffi e il pizzetto che mi porto dietro dal 1999.
– “A Bra siete tutti così, ambientalisti di sinistra con la barba!”

Eccomi già incasellato, sono fottuto. E d’altronde Carlin Petrini ha la barba dai tempi in cui passava di casa in casa a cantè j’euv, non posso certo biasimare i pregiudizi del signor Gaja.

In realtà è solo una battuta per rompere il ghiaccio. Cinque minuti dopo il nostro incontro siamo già in macchina (mi aspettavo un Range Rover, non una Dacia Duster!), si parte per un lungo giro esplorativo.
Per prima cosa scendiamo nel magazzino della Gaja Distribuzioni, un enorme spazio incastonato nella collina di Barbaresco, dove sono impilate centinaia di bottiglie di Champagne e migliaia di bicchieri Riedel. Certo, l’impatto non è da poco, da lontano quel volume non si può nascondere completamente, ma Angelo (da qui in avanti lo chiamerò così, perché vuole che gli si dia del “tu”) ci tiene a farmi vedere che quello non è un capannone, e che quella scelta la paga tutti i giorni: uno scatolone in cemento armato sarebbe ben più funzionale ed economico.

All’esterno alcuni operai edili toscani, che già hanno lavorato alla sua cantina Cà Marcanda a Castagneto Carducci, sono al lavoro in un’enorme buca nel terreno. È il nuovo impianto di microfiltraggio delle acque.
– “Tu e gli altri ambientalisti” – e ridagli! – “a me va bene che scriviate che sto facendo dei lavori grossi, delle strutture enormi, ma dovete almeno riconoscere che quello s****** di Gaja in passato ha fatto delle belle cose, che ha lavorato bene! L’Architetto Giovanni Bo è un genio, vedrai!”

Angelo si infervora nel difendere il suo operato, frutto di oltre cinquanta vendemmie, compresa la nuova cantina che sorgerà sopra Trezzo Tinella. Il cantiere più chiacchierato delle Langhe, nelle ultime settimane.
– “I cantieri non sono mai belli, mai! Giudicherete la cantina a lavori finiti, ma ora datemi un po’ di fiducia!”

Nei vigneti di Barbaresco (di rafano, di cipressi e di diserbo)
L’argomento “cantina” resta nell’aria e ritornerà più volte, durante il nostro incontro, ma intanto Angelo vuole portarmi a vedere un po’ di cose belle. Perché bisogna dirlo, in vigna Gaja lavora veramente bene, non è certo una novità. In questi giorni, poi, le sue vigne sono un prato fiorito, una meravigliosa distesa di petali gialli.
– “L’anno scorso avevamo piantato la senape, quest’anno abbiamo scelto il rafano”.
Gaja non pratica il sovescio. Le piantine di rafano, che già arrivano quasi all’altezza delle ginocchia, non verranno interrate, ma tagliate e lasciate appassire tra i filari.
Da lontano le vigne sono appariscenti, sotto la Torre di Barbaresco i gialli del Sorì San Lorenzo brillano come pennellate su una tela di Van Gogh, e lui se la ride.
– “Sai in giro cosa dicono? Che le ho messe solo per farmi notare!”
In effetti a vederlo così divertito viene quasi da credere che, almeno un po’, l’abbia fatto anche per quello. Come la scelta di piantare cipressi in tutte le sue proprietà, la sua firma personale.

– “La natura è varia, si sparge ovunque, è inutile fare polemica per quattro cipressi! E invece dicono che li ho piantati di modo che, anche quando sarò sotto terra da decenni, sarò ancora qui a farmi notare!”
Confesso ad Angelo che fino a poco tempo fa anch’io non amavo vedere l’icona della Toscana sulle colline di Langa. Poi però mi ci sono abituato, così come i lamorresi si sono abituati ad una pianta che è il simbolo nazionale del Libano. Oggi provo persino piacere quando riconosco qua e là, nei luoghi più impensati, una proprietà di Gaja oppure le paline colorate della famiglia Ceretto.

Una cosa cui invece non riesco proprio ad abituarmi sono le strisciate gialle del diserbante. Nelle Langhe sono più diffuse di quanto si possa immaginare, e sono un fenomeno trasversale: dalle colline di Barolo, Monforte e Serralunga d’Alba, fino ai crus più importanti del Barbaresco.

Poco oltre Treiso, mentre saliamo verso l’Alta Langa, Angelo scoppia improvvisamente a ridere
– “Guarda lì! La figlia ha abbellito la vigna piantando dei pali a forma di matite colorate, ma il padre, che ha 82 anni, ha pensato bene di diserbare dappertutto, persino tutto intorno alle matite!”
Mentre sfiliamo davanti a quel vigneto color morte, Angelo sogghigna sotto la mascherina.
– “Non puoi dire a un contadino di non diserbare perché inquina le falde o l’ambiente. Devi spiegargli che così facendo sta impoverendo il suo stesso terreno, che lo sta rovinando per chissà quanti anni!”

L’argomentazione è giusta, forse anche più intelligente e convincente dalla mia (da consumatore, semplicemente, io NON voglio – anche se è tutto perfettamente legale – bere il vino prodotto da una vigna diserbata, ancor meno se si chiama Nebbiolo, Barbaresco o Barolo e lo pago minimo 20€ a bottiglia, piuttosto scelgo l’acqua). Nelle parole di Gaja, però, c’è un “live and let live” di fondo che non mi soddisfa appieno. Il suo atteggiamento è di critica, sì, ma un po’ troppo benevola verso i colleghi meno attenti.

– “Guarda quella vigna com’è diserbata! Eppure credi che quel produttore faccia un vino cattivo? No, fa degli ottimi vini!”
La pratica del diserbo, che lui disapprova, mette per la prima volta sul piatto una diversità di approccio e di pensiero che ritornerà più avanti, su questioni più strutturali.
Per me un vigneto diserbato, oltre che imbevibile a prescindere, è anche un danno d’immagine. Viviamo in una zona di turismo, seppure di livello medio-alto e con numeri piccolissimi: nel 2018 le Langhe hanno avuto 360mila visitatori, i laghi del Piemonte 1 milione, Hong Kong 28 milioni. Nell’epoca di Instagram e dei selfie, gli dico io esagerando, basterebbe un battito d’ali di Wine Spectator per provocare un uragano mediatico dall’altra parte del mondo.

Angelo è di tutt’altro parere. La faccenda non gli interessa, non crede che i wine critics solleverebbero mai una questione del genere, e poi da altre parti del mondo fanno ben di peggio (il che, personalmente, non mi consola affatto). Non crede neppure, né tanto meno gli interessa, che la cosa possa disturbare i turisti.
– “Dobbiamo smettere di diserbare, certo, ma per noi stessi, non per i turisti!”
Ha perfettamente ragione Angelo, e io sono un illuso. Me ne rendo conto pochi giorni dopo, quando sui social vedo un’immagine molto simile: una bella foto di matitoni colorati immersi nel diserbo. Sotto la foto tanti like, cuoricini, condivisioni, del diserbo non importa niente a nessuno.

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In Alta Langa (di Malora, di cambiamento climatico e di Borgogna)
Continuiamo a salire verso l’Alta Langa. Davanti a noi già si vede il cantiere della nuova cantina, ma Angelo svolta a sinistra, verso Mango. Un paio di chilometri, e la Dacia imbocca una stradina sterrata.
– “Qui negli ultimi quattro anni abbiamo piantato ettari di vigneto. Stiamo facendo esperimenti con tutte le varietà per trovare il vino bianco secco del futuro”.
Da qualche parte è stato scritto che Angelo Gaja sarebbe interessato a produrre Alta Langa, lui se la ride e smentisce categoricamente, niente Spumante.

Siamo a metà aprile, ma qui l’aria è ancora fresca, il vento soffia forte. Le vigne sono a 700 metri d’altezza, davanti a noi i boschi della Cascina Pavaglione, le colline della Malora di Agostino Braida, su cui si abbarbicano due delle più belle Salite dei Campioni: la Charlie Gaul e la Gianni Bugno, con pendenze che sfiorano il 14%.
Angelo Gaja le conosce bene, per anni è stato un appassionato ciclista.
– “Andare in bicicletta è ciò che più mi manca in assoluto”, mi confessa.
A suo parere la zona migliore in assoluto per pedalare è la Langa Astigiana: Vesime, Olmo Gentile, Cessole, Roccaverano.
– “Sono le zone più belle perché da lì la Malora non è mai andata via per davvero, ogni cosa è rimasta com’era”.

La collina su cui ci troviamo quella povertà l’ha vista negli occhi, ma ora secondo Gaja tutto sta per trasformarsi. Lui è stato il primo a muoversi, come sempre, ma presto il cambiamento climatico porterà i produttori piemontesi a spostare i vigneti più in alto, a cercare temperature più fresche.
– “Finora si può dire che il cambiamento climatico ha avuto solo effetti positivi: il Barbaresco ha guadagnato un grado alcolico, e ne ha giovato, e la Barbera è diventata un vino piacevolissimo. Presto però le cose potrebbero cambiare in peggio, già temo per le mie vigne di Barolo a Serralunga d’Alba.”

Gaja non comprende le ragioni di chi vorrebbe impedire – magari con nuove leggi e regolamenti – che i produttori possano impiantare nuovi vigneti in Alta Langa. Le voci contrarie ai nuovi impianti sono state numerose, in tanti hanno stigmatizzato l’inarrestabile espansione e i rischi della monocultura della vite, a scapito della biodiversità. A pagare le conseguenze di questi divieti, però – dice lui – saranno solo gli abitanti del posto, che si vedranno negata un’occasione di sviluppo e di benessere.
Seppure su basi diverse, concordo con Gaja che non si possa impedire ai viticoltori di cercare nuovi terreni: se le condizioni climatiche cambiano – e non in Langa, ma a livello globale – per quale motivo i contadini non dovrebbero reagire a questo cambiamento, che certo non hanno voluto né innescato loro?

Peraltro il Gaja di oggi dimostra di avere le idee ben chiare sulla biodiversità.

– “Quando vent’anni fa Carlin Petrini mi parlava di biodiversità io non riuscivo a comprenderlo, mi sembravano discorsi astratti, senza senso… ma poi ho capito! Bisognerebbe fargli un monumento, a quell’uomo!”
Mi mostra i vigneti da vicino. Oltre ai filari dove a file alterne è stato seminato il rafano, qui ci sono anche centinaia di alberelli appena impiantati. Il vigneto non corre ininterrotto, ma è stato spezzato in più punti, per permettere alle acque di defluire a valle lungo le vie naturali di scorrimento.
– “Pensa a quanto mi costa il fatto di non avere piantato le vigne qui!”, mi ripete più volte mentre camminiamo in una larga sezione di terreno rimasta incolta.

Tutto intorno, le rive scoscese sono state trattate con idrosemina. Mentre cammina, Angelo sembra sognare a occhi aperti, mi descrive i colori e gli odori dei fiori che cresceranno di lì a poco. Qui il rafano arriva appena all’altezza delle caviglie. Fa freddo, rispetto a Barbaresco la natura è in ritardo di almeno due settimane.

In alto, là sulla collina, spicca il cantiere delle nuova cantina, alla fine ha deciso di non portarmici.

In attesa della fine dei lavori, prevista per 2023, si può tranquillamente concedere a Gaja quella fiducia che lui chiede agli “ambientalisti”, come peraltro avevo già fatto  due settimane prima del nostro incontro.
Anche se restano dubbi sull’effettiva necessità di questo gigantismo, con ogni probabilità l’architettura in sé sarà bella, e ben inserita nel contesto.

La questione è di altra natura, più sottile e difficile da argomentare. È una questione di principio.

Dietro quel cantiere simbolo, il più grande e più importante di tutti, ci sono il modello produttivo e la visione delle Langhe del futuro, ci sono centinaia di piccoli produttori di vino che scalpitano per allargarsi, costruire, espandersi. Pur approvando persino le ragioni di un’eventuale “migrazione” verso l’Alta Langa, la mia posizione sulla cementificazione del territorio non può cambiare. Trovo anzi una contraddizione di fondo tra ciò che Angelo mi ha raccontato pochi minuti prima – il fascino incontaminato della Langa Astigiana – e quell’alta gru che ora svetta sulla cima della collina.

Quando glielo faccio notare, le nostre posizioni tornano ad allontanarsi in modo netto.

Io temo che, una cantina dopo l’altra, un capannone dopo l’altro, il piccolo territorio delle Langhe possa venire (ulteriormente) disseminato di cemento, perdendo così la sua integrità, la sua identità. Lui sostiene che la grandezza delle Langhe – sia in senso letterale che figurato – stia nella capacità di assorbire tutto, e di mantenere comunque inalterata la propria bellezza.
Siamo tornati a parlare di bellezza, della possibilità che la bellezza sia il motore economico del territorio. Stiamo parlando di turismo.

Di nuovo, su questi argomenti, la pensiamo diversamente.

Gaja mi ribadisce che il turista non è la priorità, anzi è l’ultimo fattore, l’ultimo elemento da considerare, Il turista, nella sostanza, è un rompicoglioni (qui non posso usare il virgolettato, probabilmente Angelo si è espresso più delicatamente ma, riducendo all’osso, il senso è quello). Non a caso, in Borgogna si sono dotati di leggi per limitare i parcheggi e tutte le attività legate al turismo.
– “Se vuoi parcheggiare, in Borgogna, devi mettere la macchina in qualche causagna e poi fare dei chilometri a piedi, qui invece tutti i Comuni vogliono costruire dei nuovi parcheggi!”.

Tempo scaduto (del futuro delle Langhe)
Siamo alla fine della mia “visita guidata”. Giovanni mette in moto e la Dacia, mordendo il ripido sterrato in salita, mi dimostra quanto l’avessi sottovalutata.
Angelo Gaja mi ha invitato sua sponte, mi ha concesso due ore del suo tempo e mi ha offerto un confronto di idee coraggioso e leale (a dirla tutta ha parlato quasi sempre lui, il confronto a due è nato in gran parte a posteriori, tra queste righe). Certo, mi ha portato dove voleva lui e alle condizioni che voleva lui, ma un’idea di massima ho comunque avuto modo di farmela.

È il momento di tirare le somme.

Su tante cose non gli si può dire nulla, anzi. Il modo in cui lavora in vigna, l’attenzione alla biodiversità, l’onestà intellettuale di ammettere che lui stesso, oggi, ha più attenzione all’ambiente rispetto al passato. Del caso specifico, la nuova cantina, ho già detto. Veniamo quindi alla questione centrale, quella del futuro delle Langhe.

Si può dire che Gaja mostri fiducia in quella che l’economista Adam Smith avrebbe definito la “mano invisibile” dei mercati, la loro capacità di auto-regolarsi. Nel suo caso, è l’idea che il bene dei produttori, il successo del vino delle Langhe, porterà inevitabilmente al benessere dell’intera comunità. Questa la sua posizione, che mette insieme un grande impegno su alcune questioni ambientali, ed una buona dose di laissez faire su altre.

Una ricetta possibile? Personalmente ci credo poco, mi sembra come volere mescolare olio e aceto.

Quanto a me, ascoltare posizioni così nette e diverse ha aperto una breccia nelle mie posizioni almeno su un punto: il turismo. Sintetizzando, la mia “ricetta” per le Langhe è sempre stata qualcosa del tipo: più turismo, meno capannoni, lasciamo le attività produttive e commerciali ai grandi centri urbani e alle zone che non hanno altre risorse né sono altrettanto belle. Ora mi rendo cento che questa posizione sconta un errore di fondo speculare a quello di Angelo Gaja. Forse perché ho ancora negli occhi gli ultimi anni delle Langhe, quelli di un piccolo boom di visitatori, ho troppa fiducia nella capacità del turismo di “regolarsi” in modo autonomo, di governare in modo equilibrato e sostenibile l’economia e lo sviluppo locale.

Sicuramente le Langhe non sono adatte a un turismo di massa, su questo non ci piove, anzi questo sarebbe la loro rovina. Ma una forma di turismo più elitario, esperienziale, e magari diffuso sul territorio in modo sostenibile e smart, è ancora bel al di là da venire. Qualcuno lo fa, ma una buona parte di chi viene nelle Langhe è semplicemente alla ricerca di occasioni per postare su Instagram, e allora ecco il proliferare di panchine giganti, le matitone, le botti colorate, le file chilometriche davanti alla Cappella del Barolo…

Certezze ne abbiamo?
Esco da questo confronto con qualche dubbio in più, ma anche con tre certezze abbastanza solide:
1. Io non ci credo, alla “mano invisibile” e magica che governerebbe il mercato, e neppure a quella del mondo del vino. Se anche ci fosse, temo potrebbe incrinarsi facilmente, o farsi del male da sola (la cementificazione, il diserbo, l’ambiente…).
2. Poiché il vino non è una materia prima qualunque, ma un piacere, nonché l’espressione di un territorio, le Langhe devono pensare a sé stesse anche come luogo da vivere e visitare, non solo da bere. E in quanto tale, devono preservare la propria immagine.
3. Che si scelga di puntare sul turismo, magari sulle sue forme più elitarie, esperienziali e diffuse, o che al contrario si scelga di limitarlo fortemente, come propone Gaja, dobbiamo occuparcene con scelte e strategie nette. Non si può procedere a tentoni, abbuffandosi di tutto, né mettere in un calderone unico turismo, attività produttive, commerciali e industriali, e sperare che il mix funzioni per qualche magia.

Nessuna “mano invisibile” farà mai convivere con successo un’area di nuovi capannoni industriali e un fazzoletto di vigne Patrimonio dell’Unesco, gli autobus dei gitanti con panino e le visita in cantina da 100€, i viadotti della futura autostrada e la Strada del Barolo, le vigne fiorite e il trionfo del napalm, i paesaggi incontaminati e le nuove cantine, magazzini, alberghi mastodontici, ville e villette.

Il posto delle fragole
– “Ti piacciono le fragole?”
Da gentleman, Angelo Gaja mi lascia una bottiglia del suo Barbaresco 2017, ora dovrò pensare a come ricambiare il regalo. Vuole però che la beva come dice lui, con le fragole.
Fragole al vino, mia madre e mia nonna me le hanno sempre fatte, certo senza mai usare un Barbaresco Gaja. Ecco la ricetta:
– prendete un grosso contenitore e riempitelo di fragole tagliate a metà.
– aggiungete zucchero e limone (entrambi devono essere abbondanti, raccomanda Angelo).
– bagnate il tutto con il Barbaresco, senza parsimonia, dopo averlo tenuto in frigo.
Di ciò che resta nel vetro non mi ha detto cosa fare, immagino me lo berrò con grande soddisfazione.

Epilogo
Lascio il cortile di Via Roma 18 con una bottiglia tra le mani, e con un rimpianto.
Quanto sarebbe bello un film documentario che svelasse il lato “segreto” di Angelo Gaja. Non quello cui lui ci ha abituato negli anni, il nobiluomo austero ritratto in giacca e pullover neri, ma il contadino che risale i filari con le scarpe da trekking, quello che si illumina in volto quando parla di senape e di rafano, di fiori e di piante aromatiche, che porta con sé il figlio e tiene, a lui e a me, una lunga e appassionata lezione.

Non credo sarebbe un delitto di lesa maestà, tutt’altro.
Farebbe capire che il re è umano, e magari ogni tanto può anche sbagliare, ma resta comunque il re.
Neanche a dirlo, vorrei essere io, a fare quel documentario!

So che Angelo non amerà neppure queste poche righe, ma devo provarci.
– “Niente riprese, non vogliamo apparire, non abbiamo neppure il sito internet.”
– “Sarebbe bello raccontare la tua storia”, torno alla carica, insistente come un venditore d’accendini.

– “Ci è riuscito solo Edward Steinberg quando ha scritto il libro Sorì San Lorenzo, venticinque anni fa. Mi aveva promesso che gli sarebbero bastate quattro visite a Barbaresco, e alla fine è venuto qui da noi trentatré volte.”

Cazzo, è esattamente quello che volevo fare io!

Paolo Casalis

12 Commenti

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Massimiliano

circa 3 anni fa - Link

Un pezzo magistrale, di Gaia si è scritto tutto e il contrario di tutto ma questo pezzo-ritratto riesce ad illuminare comunque la figura del re Gaja e un documentario sincero, senza filtri, sarebbe come acqua nel deserto.

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Nicola Micheletti

circa 3 anni fa - Link

Bella intervista , grazie. Un grande del vino italiano. Non sono però d’accordo con lui sulla parte del turismo e della comunicazione. Nel mondo d’oggi non conta solo quanti turisti accoglie il tuo territorio, ma anche come il tuo territorio se lo immaginano i compratori. Giusto o sbagliato che sia il vino si vende anche per immagini. Ignorare una comunicazione per immagini, e il marketing della buona e sana campagna applicato al vino, nel 2021 rischia di essere controproducente e anche un po’ ingenuo.

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Per forza Angelo Gaja soffre di gigantismo, essendo egli stesso un gigante. Questo resoconto è sincero ed appassionato, oltre che corretto nel pesare la fascinazione dell'uomo insieme alla perplessità su certe idee. Io considero il Nostro non dal punto di vista langarolo, nemmeno solo come produttore di vini estremamente consistenti nella loro qualità. Per me si tratta di una pila umana caricata al plutonio che non si esaurisce mai. Anche quando inonda di email amici, colleghi o persone che lui ritiene degne di stima, messaggi che esprimono il suo punto di vista e che ad alcuni sembrano un po' scontati e retrò ci si deve alzare in piedi. Guarda caso, se Gaja ti invita ad una conversazione o ad una visita, si scatta sull'attenti un poco tutti. Chi non lo fa per principio è degno di rispetto, ma perde qualcosa di sicuro. Tutt'ora ci sono solo due facce italiane che vengono riconosciute dalla Massa-Mercato-Gregge. Ggente sparsa nel mondo enoico internazionale: Piero Antinori e Angelo Gaja. Del primo però si sa urbi et orbi chi è il suo enologo-Richelieu-alter ego-facitore di vini, del secondo si sa solo che viene affiancato dalle figlie e dal figlio. Aggiungerei anche che la sua sposa-moglie-compagna gli è accanto in maniera eccezionale da sempre. Non si tratta di un aristocratico gentiluomo di campagna, bensì di un erede di quella borghesia campagnola e mercantile che è stata l'ossatura del mondo agricolo piemontese. L'uomo è "larger than life", assertivo nelle sue idee eppure umile nel discuterle, basta avere degli argomenti seri e non superficiali. Si è capito che Angelo Gaja mi piace molto?

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Davide Bassani

circa 3 anni fa - Link

E questo invece è il pezzo che in tanti avrebbero voluto scrivere: applausi, Paolo, i miei complimenti.

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Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Molto interessante. Sicuramente Mr. Gaja sa quello che dice e quello che fa, nonostante ciò non sono d'accordo su alcuni dei suoi pensieri riguardo allo 'sviluppo': sacrosanto, ci mancherebbe, ma senza un'attenzione da parte di tutti al paesaggio, all'ambiente e ad un futuro più sostenibile oggi come oggi non è ammissibile. Trovo sensato che un territorio così vocato pensi meno al turismo ma distribuisca benessere con le materie che produce (esempio della Borgogna molto calzante), a patto però che l'attenzione 'ecologica' sia massima e declinata con grande serietà. Infine capisco l'esperimento delle fragole come vezzo, però al tuo posto farei 'alla vecchia maniera' con la boccia gentilmente omaggiata...

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Stefano

circa 3 anni fa - Link

Grossi dubbi: tutto 'sto rafano e 'sta senape sono per i bolliti piemontesi? bolliti a cui non abbinare il Barbaresco, perché quello lo lasciamo tutto per le fragole, no?

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Giacomo

circa 3 anni fa - Link

Come sarà la langa fra vent'anni? Guardi, Casalis, io conosco i miei polletti; se un'espansione edilizia più coerente, una gestione di vigna più "naturale", un'accoglienza turistica più mirata si tradurranno in un'immagine che porti a qualcosa che si può piegare dentro a un portafoglio, ebbene, fra vent'anni saranno tutti biodinamici, ecosostenibili, urbanisticamente sensibili e congruenti, ne sia certo.

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Ziliovino

circa 3 anni fa - Link

c'è poco da fare, Gaja è sempre stato "avanti" e lo sarà sempre, l'ha dimostrato anche questa volta. è ancora "il Giove Tonante dell'enologia italiana" (attendo IBAN per versare i diritti sulla definizione). Bel pezzo comunque.

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Ziliovino

circa 3 anni fa - Link

Dimenticavo: se preparo un pezzo dove critico velatamente i vini di Gaja intravino me lo può pubblicare? così magari strappo un invito a Barbaresco per un "confronto" davanti a qualche bicchiere di vino :-)

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Angelo

circa 3 anni fa - Link

Grande Gaja che ha voluto invitarLa per chiarire. Non è da tutti. Ma faccio tanti complimenti anche a Lei perché ridimensiona il suo contributo per il territorio in maniera molto umile... anche questo non è da tutti!

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

L'impressione è che oggi si diverta. Anche a prendere in contropiede l'interlocutore e ad apparire paradossalmente anticonformista. Ha raggiunto uno status ed una saggezza, da potersi permettere mattinate come quella descritta da Casalis. Dopo che ci hanno lasciato Bartolo Mascarello, Beppe Rinaldi, Baldo Cappellano, Beppe Colla, Bruno Giacosa ed Aldo Conterno (i primi che mi vengono a mente), è lui il patriarca e la memoria storica delle Langhe. Perciò, Lunga vita ad Angelo Gaia. Dopodiché, Il barbaresco con le fragole, neanche me lo consigliasse il padre eterno. P.S. Preferisco i vini che fa oggi,va quelli che produceva vent'anni fa. De Gustibus.

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Hélder Pessoa Câmara

circa 3 anni fa - Link

Credo cha alla fine di qualsiasi analisi, giudizio, opinione sui temi che riguardano lo sviluppo in senso ampio si rischi di distrarsi e dimenticare molti aspetti che sono cambiati e cambieranno ancora nel tempo. Uno di questi è la giustificazione che ogni impresa porta sviluppo per il territorio. Di sicuro se funziona porterà economia e darà lavoro, ma il concetto di sviluppo infinito deve finire, è arrivato il tempo di considerale lo sviluppo e l'impresa un bene comune non di una sola persona o famiglia. Provate a pensare il prodotto finale di Gaja, bottiglie da 200-300-400 euro, qualcuno di voi conosce qualcuno che recentemente ha acquistato un Sori' Tildin o un Darmagi ? Chiaramente le vende, secondo me non tutte, ma con quei prezzi non è un problema, azienda agricola la cantina, le società di distribuzione sono delle srl o snc, comunque poche tasse pagate in cambio di un margine di guadagno altissimo. Non è più giusto avere una ragione sociale che permette alle cantine di pagare non in base al venduto ma sul valore catastale e domenicale dei terreni. Questo è un fatto, ma il concetto di base dello sviluppo infinito è quello di non avere il senso del limite. Io ho grande ammirazione e riconoscenza, non di persone come Gaja, (dal quale anche avessi i soldi non comprerei una bottiglia) ma di persone che hanno messo le proprie capacità visionarie in progetti che hanno coinvolto generazioni di giovani lasciando poi a loro di continuare facendo lo stesso nel corso della propria vita. Le problematiche ambientali e di sviluppo demografico ci devo interrogare su quale sviluppo economico vogliamo, quello che c'è stato fino a ieri non va più bene, ci ha portato, si a stare quasi tutti meglio di una volta (anche se nel mondo 2,2 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua potabile e nel 2018 il numero di persone senza cibo a sufficienza è salito a 820 milioni, pari al 10,8% della popolazione mondiale) pagando però un prezzo ambientale senza precedenti e forse senza ritorno. Per cui mi chiedo, di cosa stiamo parlando.... ? «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista.»

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