Un grande piatto come un grande vino non si deve spiegare. Ma sarà vero?

Un grande piatto come un grande vino non si deve spiegare. Ma sarà vero?

di Alessandro Morichetti

Mi aiutate a riflettere su questo tema? Mi frulla in testa da quando ho letto che “Un grande piatto non si deve spiegare” perché temo che la frase sia tanto bella e perentoria quanto illusoria. Ci sono cose belle e buone e pure immediate come ce ne sono altrettante, forse ben di più, di belle e buone ma per nulla immediate. Lo stoccafisso puzza, il gorgonzola puzza, 2001: Odissea nello spazio è una noia colossale e potremmo andare avanti all’infinito con gli esempi.

Un grande piatto come un grande vino non si deve spiegare come se riconoscere il buono sia immediato, innato, naturale e non invece culturale, dicono. Ecco, il punto è tutto qui: scambiare per naturalmente buono qualcosa che in realtà lo è culturalmente. Motivo per cui, ad esempio, il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini è per alcuni il più grande vino bianco italiano e per altri il vino bianco italiano più sopravvalutato. Ne parlai tanti anni fa con Carlo Macchi, ad esempio, che non è di certo tra i fan ma che non si può dire manchi di esperienza e neuroni funzionanti.

Un grande Barolo classico è immediatamente buono? Ma nemmeno per sogno, anzi questo è uno dei casi che meglio spiegano la culturalità del buono. Ne parlavo pochi giorni fa con Fabio Alessandria (G.B. Burlotto) che stava consegnando all’Osteria sotto casa mia: venti anni fa, i vini suoi e di altri non erano buoni proprio per un cavolo ed andavano spiegati, eccome se andavano spiegati. Scarichi, chiari, senza profumi di legno, sembrava di andare controcorrente e si portava spesso a casa una gran frustrazione. Oggi è l’esatto contrario e il buono di allora non lo è mica poi più così tanto e sono altri i vini da spiegare.

Se poi ci fosse qui Pietro Stara, mi direbbe certamente una roba del genere:

La domanda, che tu rivolgi al vino, potrebbe essere estesa a tutte le arti in genere e riguarda:
1) la formazione storica del gusto e del “buon gusto” (nel tempo)
2) la formazione sociale del gusto (politica, economica, estetica, e quindi l’educazione al gusto….)
3) la formazione riflessiva del gusto (interazione simbolica): riguarda ciò che in ambito antropologico è la costruzione di un modello, qui ed ora, dato dall’interazione di più soggetti all’interno di una cornice (ad esempio una chiacchierata con degustazione tra amici; oppure una sessione di degustazioni guidate… )
4) la formazione col gusto (Perullo): dove il gusto diviene un mezzo di relazione e non più uno strumento di analisi.

Quindi: nelle discussioni informali possiamo continuare pure a ripeterci che le cose buone, vino come cibo, non vanno spiegate. Ripetiamolo purché, nei fatti, consapevoli che non è esattamente così.

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

7 Commenti

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Stefano

circa 6 anni fa - Link

Ne parlavo pochi giorni fa con Immanuel Kant, e sembra che sia del tuo stesso parere. Comunque il titolo dell'intervista a Visintin è la solita semplificazione, che nel testo non si trova; lui dice che non sopporta gli chef che ti spiegano perché stai sbagliando se non ti piace un loro piatto, il che mi pare incontestabile.
Precisini a parte, resta la tua domanda, assai interessante. Distinguerei tra un piatto e un vino: mangiare è un atto che compiamo tutti da millenni un paio di volte al giorno , in fondo non è così difficile fare il critico gastronomico e ho sempre diffidato di chi vanta un palato sopraffino. Poi certo c'è l'esperienza ad alti livelli che insegna come le tagliatelle al ragù di mia suocera superino per bontà perfino quelle dellla Trattoria Bolognese di Vignola (posso fare più il figo e dire anche che il fôie gras dell'Auberge de l'Ill é insuperabile rispetto a quello dei tristellati italiani). Il tutto al netto delle mode. Insomma, un piatto di spaghetti al pomodoro forse può essere giudicato da Italiani & resto del mondo senza nessuno che spieghi l'equilibrio acido-basico di pasta e pomodoro, la componente aromatica del basilico, etc. Partiamo dal principio che tecnicamente il piatto sia eseguito correttamente dal punto di vista tecnico, no?
Bere e bere vino è pratica meno comune e universale, anche per chi è appassionato, dunque l'educazione ha senz'altro un ruolo fondamentale.
O forse è vero tutto il contrario: più si è avvezzi a certi gusti, più è necessario qualcuno che ti spieghi, che ti faccia provare novità.
A scanso di equivoci, domenica vado a pranzo da mia suocera. Porto io il vino.

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Gurit

circa 6 anni fa - Link

Invece va spiegato perché istintivamente la mente cerca la risposta più semplice e non quella più articolata. Mi piace si o no. Se invece lo spieghi in un certo modo, il pensiero viene indirizzato verso una serie di decisioni che ti portano a dare una serie di riposte positive, che sommate ti fanno dire di si. Tutto si riduce a come ti viene comunicato/venduto.
Paradossalmente se sei generalmente ottuso o in serata scazzo è probabile che la tua impressione rimanga integra, mentre se sei più aperto, potresti anche cambiare la tua prima opinione.
Aggiungo che non tutto ciò che oggigiorno è disponibile (il cibo arriva da ogni parte del mondo), possa essere compreso o noto a livello inconscio o di DNA.

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Salvo

circa 6 anni fa - Link

In realtà, Alessandro, la frase che hai citato non è del tutto incorretta. Talvolta le "cose buone" sono piuttosto complesse da spiegare e l'esercizio del commento non risulta mai appieno soddisfacente. Provo a spiegarmi meglio; un conto è riconoscere l'aspetto tecnico di un piatto o di un vino. In tema di vino potremmo descriverne la struttura, l'acidità, il livello dei tannini, l'equilibrio delle note ma tutto questo non è sufficiente a comunicare quello che il vino produce in noi. Allora, come spesso accade, ricadiamo in figure retoriche e metafore che secondo il mio modesto parere sono un errore. Chi legge non ha in mano il tuo stesso calice e difficilmente potrà seguire con genuina umiltà la tua descrizione. Allora cosa si dovrebbe fare? Be' descrivere un vino vale per me tanto quanto commentare una opera d'arte, e l'arte genera reazioni profonde che dipendono dalla sensibilità e dall'animo di chi la osserva. Allo stesso modo, descrivere un vino come un piatto è esercizio complesso quanto personale. Io sono dell'idea che i vini vanno consigliati piuttosto, ossia si dovrebbe condividere la sensazione provata invitando semplicemente alla medesima esperienza. Ma questo è solo il mio personale parere.

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vittorio cavaliere

circa 6 anni fa - Link

Non sopporto i precisini ciò nonostante preferisco il racconto del piatto. Mi è utile anche per capire quanto è articolato il tentativo di prendermi in giro o meno.

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biotipo

circa 6 anni fa - Link

tutto giusto, eccetto che 2001 è il più grande film della storia del cinema. punto. p.s.: stefano, "ne parlavo on immanuel kant" è geniale. hai letto bulgakov per caso?

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FP

circa 6 anni fa - Link

Secondo me il gusto evolve, segue delle dinamiche che potremmo chiamare semplicisticamente mode, leggi barrique o macerati. Oggi magari vanno gli everyday wine e domani qualcosa altro. Ed è anche giusto pensa che noia bere le stesse cose per 40 anni.

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Denis Mazzucato

circa 6 anni fa - Link

Sono indietro come la coda del cane anche coi commenti però ho vissuto sulla mia pelle una metamorfosi che risponde forse alla domanda.
Fino a 15 anni fa circa, gli unici formaggi che mangiavo erano la mozzarella e il parmigiano. Stop. Gli altri bene o male puzzavano tutti. Era chiaro, evidente, palese, quanto puzzassero. E se a lorsignori piace mangiare cose che puzzano, si accontentino.
Poi mia moglie mi ha salvato, lei che con i suoi 45 kili vestita vivrebbe di lampredotto, pane c'a meusa, finanziera e formaggi puzzoni, pian piano mi ha preso per mano e mi ha condotto sulla retta via.
Ci ho messo un po'. E' davvero una questione di cultura e di abitudine, ma ora il gorgonzola (quello tradizionale, duro, verdissimo e un po' piccante) con un bicchiere giusto, sono una delle godurie più goduriose che esistano.
Non è tanto questione di "spiegare", ma di dare fiducia, continuare a bere finché non si capiscono, e quando succede è un bel giorno!
Birre Lambic e Orange wine sono i miei prossimi passi.

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