Traslocare il vino stanca. Tanto vale berlo

Traslocare il vino stanca. Tanto vale berlo

di Pietro Stara

I traslochi marcano, eccome se marcano. Lo sanno tutti e tutti me lo dicono. È la terza causa di stress: per prima viene un lutto (a meno che non sia uno zio d’America mai conosciuto che ci lascia una cospicua eredità in denaro e un ranch con mandrie e cowboy nel pacchetto), seguito a ruota da una separazione che, pure lei, potrebbe non essere così negativa. Dipende. Quindi il trasloco balzerebbe serenamente al primo posto come vettore assoluto di ansia, nervosismo, gastriti, urla, sudore e polvere.

Un acaro, l’altro giorno, mentre stavo inscatolando dei libri, mi ha battuto il cinque: “Sei dimagrito dall’ultima volta che mi hai starnutito sul pavimento”. Un trasloco è una delocalizzazione georeferenziata di corpo, mente e anima ed una quantità insormontabile di oggetti che si sono accumulati negli anni. Alcuni di essi rinvengono miracolosamente alla luce dopo ritrovamenti fortuiti negli anfratti più reconditi degli incastri a coda di rondine dei cassetti: nei casi più lieti, sottoposti all’attenta valutazione della Congregazione delle Cause dei Santi, si compie il miracolo del ri-appaiamento dei calzini.

I contenitori, gli scaffali, le mensole, gli armadi rompono immancabilmente con i principi fisici della grandezza e della densità. Il rapporto tra la massa di un corpo e il volume che occupa viene e irrimediabilmente capovolto a favore del secondo termine della relazione. Il volume è discrezionale e i corpi, sospinti dalla nostra ferrea volontà, si adeguano progressivamente ad un’idea metafisica dello spazio: un po’ come nella preparazione della valigia prima della partenza e, poi, al ritorno da un viaggio.

E in tutto questo il vino? Lasciamo perdere le mie bottiglie, di assai esigua entità, che ho peraltro deciso di bere prima e durante il trasloco così da non permettere a loro e al sottoscritto di patire eccessivi sbalzi d’umore. Sappiamo bene che il vino è cosa viva, mutante e mutevole, e che si snerva, al nostro pari, per trasferimenti mal gestiti, sovraffollati, sballottati e in condizioni climatiche non adeguate. Soste prolungate nei porti o nelle stive, vibrazioni inconsulte, luminosità prolungate, packaging malfatti o di ridotte dimensioni che fanno dichiarare ad un importatore statunitense: “buono questo Barolo, non sapevo che i geniali italiani facessero rifermentare col fondo”.

Ma poi, mi sono sempre chiesto, e me lo chiedo sempre anche per la fontina, un prodotto nato e cresciuto sulle pendici di un monte che espressione di sé darà nella bruma padana, sulla battigia increspata dalle onde o nelle sordide stanze di un motel del grande raccordo anulare? Ma prima che dai dotti libri di cucina, l’ho imparato da Heidi che trasferirsi in città non è cosa da tutti e per tutti. E viceversa.

[Immagine – Crediti]

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

5 Commenti

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Sara

circa 7 anni fa - Link

Avrei voluto scriverlo io, questo pezzo. Hai ragione da vendere, i traslochi sono stressanti tanto per chi li fa quanto per le bottiglie che li subiscono. I miei vini, però, sono sempre stati grati della nuova casa dove li ho collocati a seguito del trasloco. Tieni una boccia per festeggiare il nuovo domicilio, dai retta! E in bocca al lupo.

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nicola barbato

circa 7 anni fa - Link

ma heidi mangiava fontina o gruyere? mi pare importante.

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Pietro Stara

circa 7 anni fa - Link

Grazie Sara. Caro Nicola, la letteratura non è unanime a tal proposito. La fontina no di sicuro. Il problema è che la gruyère è prodotta con latte vaccino. Potrebbe essere la raclette, ma anch'essa è prodotta con latte vaccino. Io ipotizzo, per deduzione, e per averne chiacchierato con mia moglie, che si trattasse di formaggio di capra. Quelle che facevano "ciao" ad Heidi

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Nelle Nuvole

circa 7 anni fa - Link

Il vino può traslocare, lo fa da secoli, basta creare le condizioni per un viaggio comodo e senza troppi scossoni o sbalzi di temperatura. Ai nostri giorni gli spedizionieri vengono pagati per questo, containers con aria condizionata e groupages di pallets montati per bene. L'importante è che il vino, una volta arrivato a destinazione, abbia il tempo di riposarsi. Come noi umani d'altronde. Mille auguri per il TUO di trasloco.

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Francesco Garzon

circa 7 anni fa - Link

Leggendo il post (anche se in questo caso il termine mi suona riduttivo perché mi sembra che lo allontani dal valore di un articolo vero e proprio) mi sono un po' preoccupato perché io, un paio di anni fa circa, il trasloco non l'ho percepito così duro come potrebbe essere ( forse anche perché non l'ho fatto io ... difatti l'ha sentito il mio portafoglio). In compenso però, libero dal vero trasloco, mi sono occupato personalmente di trasferire quel po' di bottiglie che ho accumulato. Però mi rendo conto solo ora che ho accatastato più di duecento bottiglie, tipo sur lattes, accatastandone anche 6-7 file una sopra l'altra.... Che ridere quando vorrò berne una di quelle in mezzo ...

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