Tra Barolo e Barbaresco lavoro nero per sei euro l’ora: un reportage che fa pensare (e pure incazzare)

Tra Barolo e Barbaresco lavoro nero per sei euro l’ora: un reportage che fa pensare (e pure incazzare)

di Alessandro Morichetti

Che ci sia sfruttamento tra le colline di Barolo e Barbaresco è notizia che fa salire una discreta carogna a chiunque abbia un minimo di senso civico. Dei tanti aspetti marci che pur ci sono in un settore florido e portatore di benessere e ricchezza come la viticoltura in Langa, questo è probabilmente quello più intollerabile.

Ma andiamo con ordine altrimenti ci mancano dei pezzi.

Il periodo dell’anno in cui escono le guide del vino in Italia è uno dei più prolifici per trovare eccellenti incroci di pseudogiornalismo prestato alla vacua inconsistenza: spesso la distribuzione di premi e cotillon è talmente imbarazzante da meritare solo l’oblio ma per fortuna ci sono dei casi in cui è la cronaca di provincia a regalare le sorprese migliori. O purtroppo peggiori, come in questo caso.

Merita senza dubbio un plauso il reportage di Francesca Pinaffo pubblicato domenica 25 settembre sulla Gazzetta d’Alba, “dal 1882 il settimanale di Alba, Langhe e Roero”.
Il titolo purtroppo dice già tutto: “C’è un’Alba che lavora a sei euro l’ora in nero“.

C’è un’Alba che lavora a sei euro l’ora in nero (REPORTAGE)

L’articolo meriterebbe una lettura attenta ma siccome siete pigri riporto qualche stralcio significativo aggiungendo premesse, parentesi e le dovute considerazioni personali a margine.

Il punto di partenza, semplice e lineare, è che le colline vitate sono belle da guardare e raccontare ma starci in mezzo a sudare sotto il sole o col vento non è l’ambizione di nessuno. Fatte salve rare eccezioni, il lavoro in campagna attira come un calcio sui maroni e a testimoniarlo sono sia campagne molto povere (a basso valore aggiunto), sia zone molto ricche (ad alto valore aggiunto).
Questo tema mi è molto caro da anni, almeno sin dai Tre aspetti sostanziali (più uno) per capire la particolarità del successo di Barolo e Barbaresco, dove il +1 era:

4) Presenza massiccia di manodopera straniera. Paradossale o meno che possa sembrare, le colline più costose d’Italia sono quelle meno coltivate da italiani. Sembra incredibile ma un 70/80% della manodopera è costituita da macedoni, rumeni e albanesi (fonte: Coldiretti) infaticabili e operosi, spesso organizzati in cooperative (più o meno esemplari). Se da una parte, quindi, prosegue incessante la mappatura dei cru, o MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) in legalese, dall’altra non ci sono frotte di giovani vignaioli impazienti di coltivare Villero, Bussia, Cannubi e Vigna Rionda (“Guarda, quello pota agli Asili”) . Nella ricca e benestante Alba, girare con gli scarponi interrati non è ancora del tutto cool ma potrebbe diventarlo.

Scrive Francesco Pinaffo su Gazzetta d’Alba:

Le colline Unesco parlano inglese e tedesco, fanno affari oltreoceano e attirano persone da ogni dove. È un volto dell’albesità, la capacità di farcela, lavorando duramente, convintamente, sempre. Ma c’è anche un altro volto, assai meno radioso, eppure da mettere in luce. Chi sono gli uomini che popolano le colline nella stagione del lavoro? Quali sono i visi degli stagionali? Sappiamo che, senza di loro, non potremmo mantenere il nostro attuale tenore di vita? Li trattiamo in modo adeguato? Gazzetta d’Alba da tempo racconta le loro povere esistenze. Per incontrarli, è sufficiente camminare per le vie che circondano il centro di Alba, nel tardo pomeriggio. Sono africani, a piedi o in bicicletta, camminano veloce, con lo zaino in spalla. Alcuni si trovano alla fermata dell’autobus: hanno scarponi sporchi di terra e magliette sudate. Sono gli “invisibili” che lavorano i vigneti, appena tornati dalla vendemmia. Non è facile avvicinarli e tanto meno avere informazioni precise sulle loro condizioni di lavoro. A prevalere è ancora quasi sempre la paura di perdere l’occupazione.

Ebbene sì, a chi è cresciuto col Tenente Colombo e La signora in Giallo non sfuggirà l’incremento di africani a lavorare le vigne. Prima non c’erano o erano pochissimi, ora sono tanti di più.

Qualcuno, però, tra molti silenzi, sceglie di raccontare. «Ho appena finito la giornata in vigna», dice un ragazzo sui trent’anni, con gli occhi stanchi. «Vado a comprarmi qualcosa da mangiare e una bottiglia d’acqua, prima di tornare a casa». Chiediamo qualche informazione in più: «Lavoro tutti i giorni per una cooperativa, per nove o dieci ore, con una trentina di compagni. Guadagno sei euro all’ora, ma il mio contratto finirà a ottobre. La mia non è una situazione stabile: non è fissato un guadagno mensile, perché l’impegno non è garantito». Questo ragazzo è riuscito a trovare un alloggio insieme a due amici. «Uno di loro lavora in fabbrica e vive certamente meglio di me», precisa, per poi salire in bicicletta e andarsene.

Di fronte al cimitero, sempre alla stessa ora, si notano altri braccianti di origine africana. Arriva di colpo un’auto, scendono quattro persone: salutano, recuperano gli zaini dal baule e siedono sulla prima panchina libera. Sono tutti nigeriani, ma anche questa volta solo uno è disposto a parlare. «Anche noi lavoriamo sulle colline, ma arriviamo da Torino: ogni giorno prendiamo il pullman per Alba e la sera torniamo a casa», dice un ragazzo. «Quanto guadagno? Tra cinque e sei euro l’ora: è poco, ma a Torino non si trova niente da fare. Ci accontentiamo». Quando gli chiediamo se ha un contratto, diventa sospettoso e preferisce chiudere il discorso.

Pinaffo è una freelance che collabora a Gazzetta d’Alba da vari anni, non è la prima volta che si imbatte in questo genere di questioni e ho condiviso con lei una riflessione: non facendo nomi né dando riferimenti precisi il rischio è che la denuncia si risolva in un todos caballeros, dove tutti leggono ma nessuno si sente chiamato davvero in causa, men che meno chi alimenta un meccanismo marcio sulla pelle degli sfruttati.

A discapito di chi lavora bene – regolarizzando i dipendenti e offrendo buone condizioni di lavoro, tanto cooperative quanto soggetti privati – e a vantaggio di chi, per incuria o ignoranza, continua ad alimentare un sistema di sfruttamente perverso e irricevibile.

Un altro punto nevralgico rimane la stazione. Verso le 18.30, i braccianti africani si muovono tra la folla di pendolari e turisti. Le auto di alcune cooperative sono ferme sul piazzale e forse per questo è difficile trovare qualcuno disposto a raccontare. Fino a quando incontriamo un ragazzo che parla solo inglese: la sua terra è il Gambia, è sposato e ha un figlio di otto anni, che non vede da molto tempo. La sua storia è quella di molti migranti: arrivato in Italia su un barcone, si è spostato al Nord. A Bra ha lavorato per anni per una cooperativa. Poi, il contratto è terminato e ha dovuto lasciare anche la casa. La vendemmia gli è sembrata l’occasione giusta: «Il mio capo? L’ho conosciuto alla stazione. Guadagno cinque euro all’ora, ma senza contratto». È stato reclutato più di un mese fa, da quando è iniziata la stagione della raccolta, ma dice di non essere stato ancora pagato. Mentre camminiamo con lui verso via Pola, dove si trova il Centro di prima accoglienza della Caritas, apre una bottiglietta d’acqua. «L’ho comprata poco fa: il padrone mi fa pagare anche il cibo e l’acqua», precisa. La sua è certamente un’Alba molto diversa rispetto a quella che conosciamo: prima di approdare da don Gigi Alessandria, per tre settimane, ha dormito all’addiaccio, su una panchina, di fronte ai binari. «Una volta sono arrivati due poliziotti, i quali mi hanno detto che non potevo rimanere lì: quando se ne sono andati, sono rimasto».

Di questo tema, a dire il vero, si occupò anche Giancarlo Gariglio su Slowine ormai sette anni fa, nel giugno 2015, con l’articolo Schiavi nelle vigne a 3 euro l’ora: la nostra inchiesta sul caporalato, poi ripreso a novembre in Il caporalato nelle vigne spiegato a mia figlia: sfruttamento, evasione fiscale, incidenti sul lavoro.

Alla frase di Gariglio “In Langa e nel Monferrato se non ci fossero i macedoni si fermerebbe tutto” andrebbe oggi solo aggiunto “In Langa e nel Monferrato se non ci fossero africani e macedoni si fermerebbe tutto”.
Il problema dal 2015 rimane invariato e nemmeno affrontato, come dimostra la perfetta aderenza tra i numeri dell’articolo di Slowine e le cifre menzionate da Francesca Pinaffo su Gazzetta d’Alba: “Da un incontro sotto falso nome col direttore di una cooperativa considerata virtuosa e dalle tabelle che ci ha fatto vedere un vignaiolo, sappiamo che il costo orario “ufficiale” e fatturato di un manovale delle cooperative è di 10 euro più Iva l’ora (tutti i prezzi sotto riportati si riferiscono a un’ora di lavoro).
Sempre la cooperativa “virtuosa”, dietro nostra precisa richiesta, ci ha fatto sapere che in nero potevamo spendere 8 euro tutto compreso. Alcuni produttori ci hanno fatto capire che se l’azienda in questione è grande e richiede molto lavoro si può arrivare a 6 euro.
Nel caso di lavoro regolare, il manovale macedone percepisce 6 euro orari se è esperto e 4 euro se invece è alle prime armi. Questo ce l’ha rivelato un ex dipendente di una cooperativa, che ora lavora per un vignaiolo.”

Che fare, quindi?

Documentare, spiegare e fare luce sui fenomeni circoscritti di marcio nell’agricoltura mi sembra un dovere morale che per ora pochi altri oltre Gariglio e Pinaffo si stanno prendendo in carico.
Commenti del tipo “Mettete in cattiva luce un settore virtuoso, in cui la maggior parte delle aziende lavorano bene” o “Fate un danno a livello di immagine e ingigantite il problema” vanno rigettati convintamente. Perché se il 99,99% della comunicazione sul vino è volta proprio ad esaltare le positività del settore, questo non esime dal mettere in rilievo le criticità che pur ci sono, anche e soprattutto in una zona “fortunata”.

Da questo punto di vista, in conclusione, mi ritrovo perfettamente nelle parole di Francesca Pinaffo, che ho interpellato in merito a questa vicenda.

Proprio perché un settore è virtuoso, dovrebbe affrontare con decisione ciò che non va, soprattutto se si parla di diritti delle persone. E credo che, con la sua lunga storia basata sull’etica del lavoro, la zona di Alba possa davvero fare la differenza, portando avanti pratiche esemplari. Alcune settimane fa, in città, si è svolto il Forum Mondiale dell’Enoturismo: dal palco del Teatro Sociale, Carlin Petrini di Slow Food ha condannato le “piccole sacche di caporalato che purtroppo esistono”, invitando il mondo del vino ad affrontare il problema. Fuori, in contemporanea, un gruppo di attivisti e tre lavoratori africani erano impegnati in un sit-in pacifico: in sostanza, hanno distribuito agli ospiti del Forum un foglio – scritto in italiano e inglese – per accendere i riflettori sul problema e per chiedere maggiore attenzione. Avrebbero voluto anche loro salire su quel palco, per dare voce a un giovane lavoratore che ha vissuto in prima persona lo sfruttamento in vigna. Ovviamente, la risposta è stata negativa: per tutto il territorio, spero che a breve possano avere lo spazio che giustamente chiedono, magari in un momento pubblico organizzato in sinergia ai vari attori del mondo vitivinicolo. La conoscenza, la condivisione e il fare squadra sono elementi essenziali per combattere l’illegalità.

[Foto cover: Giancarlo Gariglio]

 

 

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

28 Commenti

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Antonio

circa 1 anno fa - Link

Ecco, per me una guida quando va a "controllare" una cantina, più che contare i grammi di solforosa o misurare lo spessore dei filtri, è di queste cose - ben più importanti - che si dovrebbe occupare. Controllare i contratti di lavoro, e una cantina che fa di queste porcherie venga immediatamente esclusa dalla guida. Semplice, no?

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andrea celant

circa 1 anno fa - Link

più che dalle guide andrebbero, oltre che essere sottoposti alle normali sanzioni di legge, esclusi dai vari consorzi doc, docg,ecc.

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Alessandro Morichetti

circa 1 anno fa - Link

Semplice proprio no, a meno di non vivere sulla luna. Auspicabile semmai, ma non è una guida che deve occuparsi di questo, in primis.

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Nicole

circa 1 anno fa - Link

Credo che siamo tutti responsabili del nostro pezzetto di mondo, Alessandro. Se una guida può fare la differenza lanciando un messaggio forte, perché non dovrebbe farlo? Se poi il proprio slogan è "Buono, pulito e GIUSTO", non c'è molto da girarci intorno (certo, si può sempre cambiare slogan)

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Alessandro Morichetti

circa 1 anno fa - Link

Nicole, è semplicemente infattibile, tutto qua. A meno che di non assoldare ispettori del lavoro, far durare le visite una giornata e far uscire una guida ogni 10 anni. Poi se davvero vogliamo raccontarci che la verifica delle condizioni lavorative reali spetti ai guidaioli facciamolo pure ma non è così perché impossibile da ogni punto di vista. Bravo fu Giancarlo Gariglio a parlarne, lui. E non altri, quindi in qualche modo ti/ci ha risposto secondo me.

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Omikelet

circa 1 anno fa - Link

Vero che è infattibile, ma è anche infattibile spesso verificare la reale attenzione al biologico / biondinamico/ sciamanico di una cantina, che spesso finisce ad autocertificarsi, è il consumatore può solo fidarsi. A questo punto sarebbe un punto d’onore che le cantine, oltre che professarsi “naturali”, si professino anche “etiche” nei confronti dei proprio lavoratori/dipendenti . Starà a noi fidarci , e nel caso spernacchiare su pubblica piazza chi viene colto in flagrante a non rispettare le sue dichiarazioni. Non credi che già sarebbe qualcosa ?

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Nicole

circa 1 anno fa - Link

Mi sta benissimo. Allora togli il Giusto dal tuo slogan. Easy peasy (e ne guadagni in coerenza, questa sconosciuta) 🙂

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Paolo

circa 1 anno fa - Link

Vero, Morichetti, che il controllo "di polizia" esterno non può funzionare. Ma quello che mi viene in mente è il contrario, una possibilità di farlo funzionare "dall'interno", come succede con la certificazione di qualità Iso-9000, quello ambientle (nonr icordo se 15000 o qualcheccosa), e tutti i cucuzzari addentellati. In pratica il sistema garantisce i processi solo se sono garantiti a valle e a monte. Ecco allora che una forma di certificazione diq ualità dei flussi di servizi lavorativi potrebbe essere implementata usando strumenti già ben noti e presenti nelle aziende.

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...SA 8000 ...

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Giuseppe

circa 1 anno fa - Link

verissimo quel che dici e mi sembra anche ingiusto dare addosso a Slowfood come leggo in alcuni commenti, certo non saranno "la Bibbia" e avranno pure qualche scheletro nell'armadio ma va loro riconosciuto il grande lavoro di sensibilizzazione su tante tematiche compresa quella dello sfruttamento lavorativo nel comparto agricolo

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...la situazione di sfruttamento dei migranti è sempre odiosa a prescindere . Lo è esageratamente di più quando il valore aggiunto del bene oggetto dello sfruttamento è infinitamente grande . L'uva da Nebbiolo , con destinazione finale Barolo e Barbaresco , non è pomodoro da industria che produce passata a 30 centesimi + IVA al litro franco fabbrica e meno di un Euro sullo scaffale . Stiamo parlando di beni al limite dell'immateriale , senz'altro di lusso, mediamente da 50 Euro a bottiglia con buona propensione ai 100 Euro ed oltre . Con profittualità paragonabile all' industria farmaceutica ... si , è veramente odioso , tutto ciò...

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Lanegano

circa 1 anno fa - Link

'La terra trema' pubblica le schede di come si muovono rispetto alla gestione del personale le varie (micro) cantine che espongono durante la loro fiera. Ovviamente sono autodichiarazioni, nessuno va a controllare, anche perchè non ne avrebbe titolo, però già il fatto che un produttore si 'smarchi' dichiarando la sua politica relativa alle prestazioni lavorative terze potrebbe essere un piccolo sassolino nello stagno...... Forse.

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Alessandro Morichetti

circa 1 anno fa - Link

Le autocertificazioni hanno più rilievo nelle comunità piccole, in cui c'è controllo sociale di qualche natura, in cui cioè barare porta un discredito simbolico - manifesto o taciuto - alla propria figura. A livello generale non hanno praticamente alcun valore, se vado da qualcuno di cui non so nulla e di cui non conosco niente, l'autodichiarazione vale per quel che è, cioè solo parole.

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...le autocertificazioni sono scemate cosmiche: come dire "io sono onesto" , oppure "io sono bravo" , oppure "io sono intelligente" . Le certificazioni hanno senso se un ente di terza parte ti valuta , mediante verifica ispettiva , il requisito che richiedi di essere certificato in base ad una norma di riferimento ... punto ...

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Omikelet

circa 1 anno fa - Link

In linea di massima sarei d accordo con te. Ma nel mondo moderno, in cui una azienda può perdere milioni per un tweet o una pubblicità riuscita male, non sottovaluterei l’effetto di una autocertificazione sbugiardata pubblicamente, tanto più se l’azienda che m questione fosse di un certo rilievo e soprattutto nel giro del vino “di lusso” come può essere appunto Barolo e Barbaresco.

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Lanegano

circa 1 anno fa - Link

Sottoscrivo. In questa società lo spu**anamento è sempre dietro l'angolo e nessuno ha voglia di beccarselo....

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Paolo

circa 1 anno fa - Link

Ma... Ne siamo tanto convinti? Quanto dura una shit storm alimentata sui social? Mi sembra che non si vada molto oltre i 15' di wharoliana memoria Senza cercare esempi lontani: una primaria azienda produttrice di pasta fu trascinata nel fango distorcendo artatamente una infelice dichiarazione del presidente. Dopo avere mosso la polvere delle tastiere dei paladini del politicamente corretto, davvero avranno venduto un pacco di pasta in meno? Ecco, la gogna social è all'incirca ol drappo rosso che si agita davanti agli schermi dei telefonini, e nulla di più. Far credere che sia efficace, questo si che è il vero genio dei mestieranti del settore :#

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Paolo Cianferoni

circa 1 anno fa - Link

Bravo Alessandro. Questi argomenti dovrebbero essere affrontati molto più frequentemente in questo cazzo di mondo incravattato dove lo sfruttamento e la non ben minima consapevolezza della durezza del lavoro in vigna e in cantina. Mondo dove tutti si ergono a insegnanti ma che poi a lavorare davvero sono (siamo) sempre meno. Anche qui in Chianti stiamo assistendo a una sorta di esodo di tanta manodopera, ma soprattutto l’invecchiamento generazionale accompagnato da poca voglia di sporcarsi le mani dei giovani nostrani, sempre più scarsi, creano diversi dubbi sul futuro.
Vivere in borghi isolati sta diventando impossibile per i giovani. Radda in Chianti conta un numero incredibile di turisti, ma il Paese è ormai disabitato.
Altro aspetto è la responsabilità del consumatore che pretende il prezzo più basso per il cibo ma che favorisce lo schiavismo in agricoltura.
Insomma di argomenti che si intrecciano con il tuo articolo sono molti. Dovrebbero essere trattati quanto le elucubrazioni sui vini.

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MP

circa 1 anno fa - Link

Quello che a me fa incazzare, è la semplicità con cui i giornalisti riescano ad essere sulla notizia (che è sotto gli occhi di tutti), mentre le istituzioni pare stiano a guardare... anzi, manco guardano. Se reclutamenti e smistamenti illegali avvengono alla luce del sole nel civilissimo, borghesissimo centro di Alba, ed i lavoratori in nero operano nei vigneti delle Langhe, dove tutto è estremamente "raccolto" e visibile, parrebbe così semplice un intervento degli enti preposti al controllo... e invece no. Tutti sanno e nessuno agisce. Almeno così pare. Sarà impopolare in questo momento ma "colpirne uno per educarne cento", mi sembra appropriato

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Vinologista

circa 1 anno fa - Link

Sarebbe ora di fare i nomi e i cognomi dei produttori che sfruttano le persone per poi vendere bottiglie a cifre esagerate....altro che autocertificazioni e minkiate simili...

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Massimo Benevelli

circa 1 anno fa - Link

Posso fare una precisazione? A sostegno di tutti i produttori di vino, che come me, fanno regolare contratto di lavoro con la cooperativa, che ci manda gli aiuti nelle vigne, durante tutto l'anno: 17 euro all'ora + Iva. Prezzo aggiornato 2022. I produttori seri non sfruttano nessuno. Saremo pochi (voglio sperare di no) ma esistiamo.

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Elia

circa 1 anno fa - Link

Spero che la cifra vada direttamente al lavoratore e non alla cooperativa, che poi paga chi va in vigna. Te lo dico perché ho lavorato molti anni in una grande cooperativa che, per una mia ora di lavoro, riscuoteva 20 euro, a me ne davano 7 e spiccioli. Come educatore professionale, con laurea e master...e approcciarsi a persone con disabilità psichiche e fisiche è molto faticoso, ti assicuro!
Ragazzi, alcuni tipi di lavoro, in Italia, non vengono pagati un ca**o!!! Soprattutto quelli dove ti fai il cu*o ma non ti vede "nessuno"...
Con tutto il rispetto per il produttore che, come lei, fa tutto a norma di legge.

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hakluyt

circa 1 anno fa - Link

Una domanda sorge spontanea: ma se, come ci ricorda lo scandalizzato autore di questo post, già nel 2017 tal Gariglio denunciò la cosa, dove siete stati nel frattempo tutti voi che qui sopra scrivete indignati ???

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Vinogodi

circa 1 anno fa - Link

Ero distratto..

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gummenome

circa 1 anno fa - Link

Volete protestare? Non comprate più Barolo e Barbaresco

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marcow

circa 1 anno fa - Link

Secondo questa LOGICA non dovremmo andare neppure più in una pizzeria (o ristorante ecc...) o in un negozio dove camerieri/e e commessi/e non sono spesso retribuiti adeguatamente. Cioè non facciamo di tutta l'erba un fascio. Il fenomeno esiste in Italia. Ma non solo nelle vigne del ricco Barolo. Esiste in tutti i settori dell'agricoltura. E su alcuni specifici settori agricoli ho conoscenza diretta. Ed esiste, come ho detto, in molti altri settori. Ho un caro amico commercialista e consulente del lavoro che mi dice come funzionano le retribuzioni nel commercio e nell'artigianato. Ma, ripeto, non si può generalizzare. _____ Né sì possono pretendere da un wine blog le indagini per risolvere il problema. Non è la prima volta che Intravino fa sentire la sua voce su argomenti scottanti. Avete già dimenticato le critiche che riceveva il Direttore di Intravino per alcuni articoli di denuncia coraggiosi... ma impopolari? Andavo sempre a controllare i Grandi Wine Blog Italiani e rimanevo scandalizzato dal loro silenzio. ____ Mi sembra che siano emersi dal dibattito molto interessante alcune proposte intelligenti che non risolveranno il problema ma sono utili per far migliore le cose. Complimenti all'articolo che continua una "linea editoriale" coraggiosa. Mi sono piaciuti tutti i commenti e, in particolare, quelli di Vinogodi e di Paolo Cianferoni che con Massimo Benevelli ha portato nel dibattito la voce dei tanti produttori che rispettano le regole.

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DePisis

circa 1 anno fa - Link

Pezzo importantissimo. Questo mi aspetto da Intravino se non ci è ancora arrivato Slow Wine che continua a dare chiocciole chi ha in vigna squadre di poveri Bengalesi, Pakistani, Domenicani, Moldavi pagati a 4 euro l’ora ciascuno. In Toscana, Marche e Umbria questo è un fenomeno altrettanto grave che in Piemonte.

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marcow

circa 1 anno fa - Link

Alcuni commenti hanno evocato, e giustamente, Slow Food. _______ Se leggiamo fino in fondo l'articolo di oggi dedicato a Don Fiorino Marengo, se leggiamo fino in fondo le parole che nel 2006 gli dedicò Celestino Vacca: _____ "Qui oggi siamo per commemorare altri valori, morali ed etici: quelli che, inavvertitamente forse, ci siamo portati addosso per la vita e ora, per quanto ci sia difficile, dobbiamo cercare di nascondere. Nel nostro mondo non esistono più anche se come tali sono indicati sui “vecchi” vocabolari"_____ ci accorgiamo che quel mondo non esiste più. Ma non esiste non solo tra le colline del Barbaresco, non esiste più anche in tutte le altre regioni d'Italia. ___ I Cambiamenti, che sono sempre Più Veloci e Continui, interessano Tutto e Tutti. Il Web è cambiato profondamente in pochi anni e L'Intelligenza Artificiale cambierà il mondo più del Web e tra pochi anni. E noi, come persone, cambieremo. ____ Anche Slow Food non è più quella delle origini. Quella Slow Food, come il mondo di Don Fiorino Marengo e Celestino Vacca, non esiste più. Ed è inutile cercare nella Slow Food attuale la risonanza a ...certi valori..che non si "coltivano" più.

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