Sono stata 9 giorni a New York e sono dimagrita: l’epilogo – Parte terza

Sono stata 9 giorni a New York e sono dimagrita: l’epilogo – Parte terza

di Lisa Foletti

Riprendo (e concludo) i miei racconti newyorkesi dal punto in cui li avevo interrotti (qui la seconda parte e qui la prima parte).

Giorno 4
Dopo una toccante visita al 9/11 Memorial e un’insalatina al limite del salutismo, è stata la volta del Racines. Consigliato da molteplici appassionati di vino, questo moderno bistrot gestito da due top sommelier francesi è, nei fatti, un ibrido tra un wine bar e un ristorante, con le immancabili luci soffuse, l’imprescindibile bancone bar, pareti di mattoni e una luminosa (quella sì) cucina a vista in fondo alla sala, guidata dallo chef pluristellato Paul Liebrandt. Stupite di trovarlo semideserto, ci siamo tuffate nel menu rilevando subito una certa “importanza” nei prezzi (le portate principali oscillavano fra i 30 e i 40$ cadauna).

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Abbiamo optato per due piatti a testa e un dessert in condivisione, piangendo miseria di fronte all’imponente e intrigante carta vini: il mio desiderio di bollicine si è atrofizzato leggendo i prezzi degli spumanti, inavvicinabili per le mie tasche come l’80% dei vini presenti. Fiduciosa nella competenza del titolare, Arnaud Tronche, ho chiesto consiglio per un vino naturale statunitense, possibilmente divertente. Alla domanda di quale fosse il budget, ho risposto (quasi con vergogna) 60$ circa.

Il cibo ha un po’ deluso le aspettative: dopo un antipasto piuttosto impersonale, è arrivato il mio Black Truffle Lobster Paris Brest (un lungo panino di pasta choux al carbone vegetale con astice e tartufo nero, a 40$) che mi è parso troppo pastoso, indefinito nei sapori e freddo di temperatura. Il vino consigliato era un Blanco de Tinto 2016 de La Onda, giovane produttore del North Yuba, Oregon: un cabernet sauvignon vinificato in bianco, con un naso pungente di muschio, more selvatiche, anice stellato, e una bocca estremamente snella, acida e salina. Piacevole e scanzonato, ma a mio parere overpriced (70$). Con il dessert al cioccolato fondente ci è stato offerto un calice di Petite Sirah 2016 di Coturri, Mendocino, Sonoma County: denso, materico, morbido, scuro e molto azzeccato. Nel complesso, 130$ a testa e un po’ di rammarico.

Giorno 5
Un tantino amareggiate per la serata precedente, abbiamo deciso di consolarci con una bella colazione in stile americano optando per il Bubby’s, locale frequentato da newyorkesi e rinomato per i suoi pancakes, alla modica cifra di 21$ cadauno. Abbiamo ordinato qualche litro di caffè americano (in effetti la tazza viene rabboccata a oltranza, proprio come nei film) e due pancakes che si sono rivelati monumentali: la porzione constava di tre dischi (tre!) da 12-13 centimetri di diametro e 3 centimetri di spessore ciascuno, sofficissimi, profumatissimi, con topping a scelta e una brocca di sciroppo d’acero da versare copiosamente e ripetutamente, vista l’inusitata assorbenza dei pancakes. Malgrado la fame, la gola e la squisitezza assoluta, non ce l’abbiamo fatta: mentre intorno a noi persone di tutte le età e di tutte le stazze ingurgitavano pantagrueliche porzioni di qualsiasi cosa, noi ci arenavamo a due terzi del piatto. Italians…

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Smaltito il brunch a zonzo per Brooklyn Heights, ci siamo fatte belle per la cena. Avevamo molte aspettative per questo ristorante, unico stellato che ci siamo concesse: il Blanca, due stelle Michelin, chef italoamericano (Carlo Mirarchi), soltanto 12 sedute a banco e un unico menu degustazione da 198$ senza possibilità di scegliere né modificare alcunché (ciao ciao allergici, intolleranti e schizzinosi). Ci viene dato appuntamento presso un locale di nome “Roberta’s”, e una volta arrivate sul posto, ci ritroviamo in coda all’ingresso di un ex capannone industriale sede di una pizzeria super affollata, rustica e disordinata, con un forno in bella vista che sputa fuori invitantissime pizze, dove una signorina ci informa che dobbiamo attendere una chiamata nei pressi del banco bar; quando finalmente qualcuno viene a recuperarci, un po’ stralunate attraversiamo una sorta di giardino sul retro e facciamo il nostro ingresso in un piccolo loft arioso e candido, occupato per metà da una cucina a vista di fronte alla quale è posizionato un bancone di marmo bianco con 12 comodi sgabelli in pelle.

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Musica leggera diffusa da un giradischi, la testa imbalsamata di un enorme tonno sulla parete laterale, tre persone a gestire la sala e quattro in cucina, tutti molto informali. Siccome il wine pairing risulta un po’ oneroso (98$ a persona) scelgo dalla carta una bottiglia che adoro, lo chardonnay ouillé 2014 di Étienne Thiebaud, appellation Arbois, Jura: mineralità vagamente sulfurea, un frutto profumato ma non dolce, tipo un mango verde, poi cedro, cera d’api, tanta salivante freschezza, e una sapidità quasi salmastra.

Quando tutti i commensali prendono posto, ecco che iniziano le danze, sotto la direzione di uno chef in braghe corte e cappellino da baseball (che non è Mirarchi): 18 piccole pietanze perfettamente cadenzate, 18 bocconi entusiasmanti per concentrazione e nettezza dei sapori, niente barocchismi né virtuosismi, grande rispetto delle materie prime, suggestioni italiane, americane, orientali. A colpire di più sono le tre paste (agnolotti con latte di capra, pici con i ricci di mare, ravioli con ‘nduja e arancia), che non ridicolizzano bensì esaltano le origini italiche dello chef. Da sogno il pane di pizza servito caldo (con burro salato) e strappato con le mani da una pagnotta intera. Non mancano acidità, contrasti, spigolature, sempre dalla parte del gusto e dell’ingrediente. 316$ a testa, le tasche più leggere ma l’anima decisamente più ricca.

Giorno 6
Dopo l’esaltante esperienza al Blanca, eravamo ben disposte nei confronti di qualsiasi cosa. Per quella sera avevamo prenotato all’Olmsted, sempre nel distretto di Brooklyn: un bistrot che il giovane chef Greg Baxtrom ha ricavato da un magazzino, tra caffè e vecchie lavanderie automatiche. Ciò che distingue questo locale curato ma semplice è il livello di dettaglio, abilità, estro misurato, unito a prezzi assolutamente ragionevoli che invogliano ad azzardare un po’ di più. Anche qui troneggia il banco bar (pare che a NYC non si possa vivere senza), ci si vede a malapena, e l’atmosfera è piacevolmente informale. Tre portate a testa più un dessert in condivisione (baby melanzane fritte, mousse di fegato d’anatra, ravioli fritti ripieni di granchio, pancia di maiale, anatra arrosto con le prugne, maialino iberico con i porri, mousse di cioccolato) tutte golose e davvero ben eseguite, accompagnate da un Trousseau 2016 di Harrington Wines, California, meravigliosamente servito fresco (applausi a scena aperta per la sommelier!), da 71$. Nel complesso, 118$ a testa e un discreto senso di appagamento.

Giorno 7
Dopo una giornata trascorsa nella decadente e anacronistica Coney Island, culminata con una crociera al tramonto per ammirare l’iconico skyline di Manhattan, l’intravinico Salvatore Agusta (residente a NYC) ci dà appuntamento a La Compagnie des Vins Surnaturels, dove rischiamo di non arrivare a causa di un improvviso nubifragio. Qui si può bere e mangiare fino a tarda notte (rarissimo a New York), la penombra e il banco bar non mancano, i tavolini sono bassi e scomodi, il vociare è disturbante, ma tutto sommato il locale è bello. Stavolta prevale la voglia di chiacchiere, quindi ci limitiamo a qualche stuzzicheria, lasciando a Salvatore l’onere di scegliere un vino dall’ampia carta: si finirà su un fresco riesling proveniente dalla zona dei Finger Lakes, gradevole ma senza guizzi. A fine serata, 44$ a testa e la nascita di una bel sodalizio umano e professionale.

Giorno 8
Alle ultime battute della nostra vacanza, non potevamo farci mancare un brunch presso il celebre NoMad Restaurant, ristorante del lussuoso NoMad Hotel concepito dallo chef Daniel Humm come alternativa “casual” al suo blasonato Eleven Madison Park (tre stelle Michelin). L’effetto è un po’ straniante: una corte interna coperta da una vetrata, con uno splendido bar, una schiera di tavolini molto ravvicinati e un servizio da altissima ristorazione, dove clienti di tutte le nazionalità pasteggiano a brioches (splendide a vedersi), uova in mille maniere, sandwich, ostriche, patate fritte, caffè e Champagne, abbigliati in modo decisamente informale, alcuni con ancora la piega del cuscino sulla faccia, tra uno sbadiglio e un sorso di Krug millesimato.

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Quanto a noi, sveglie già da ore e affamate, abbiamo optato per capesante marinate con yuzu e pistacchi (rinfrescanti), tartelletta con storione crème fraîche e uova di trota (perfetta, a parte i due spicchi d’aglio a fette, che ho dovuto rimuovere chirurgicamente), hamburger di manzo (un classico, pane e carne squisiti), pan brioche con pollo tartufo nero e foie gras (pane fatto benissimo, farcitura troppo asciutta).

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Carta dei vini ragguardevole: da tempo non mi capitava di vedere una tale summa di etichette e annate francesi, ovviamente inaccessibili, ma emozionanti da leggere tutte assieme. Ci siamo accontentate di due ottimi cocktail, seguiti da due calici di vino (un rosato còrso di Domaine Zuria e un cabernet franc 2014 di Aurélien Revillot, entrambi gradevoli ma non memorabili). Forse la colazione o la cena ci avrebbero regalato maggiori emozioni, ma nel complesso questo piacevole brunch ci ha fatte sentire molto cool e molto international, per circa 100$ a testa.

Sono rientrata a Bologna con la sensazione di essermi persa troppe cose, con due chili in meno addosso e una voragine nel portafogli. Ma a New York ci tornerei domani, dopodomani, e ancora e ancora. Ci vorrebbero tre vite, e una bella vincita al Superenalotto.
Magari potrei sposarmi un uomo ricco: qualcuno si candida?

 

Sono stata 9 giorni a New York e sono dimagrita – Parte prima
Sono stata 9 giorni a New York e sono dimagrita – Parte seconda

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Lisa Foletti

Classe 1978, ingegnere civile, teatrante, musicista e ballerina di tango, si avvicina al mondo del vino da adulta, per pura passione. Dopo il diploma da sommelier, entusiasmo e curiosità per l’enogastronomia iniziano a tirarla per il bavero della giacca, portandola ad accettare la proposta di un apprendistato al Ristorante Marconi di Sasso Marconi (BO), dove è sedotta dall’Arte del Servizio al punto tale da abbandonare il lavoro di ingegnere per dedicarsi professionalmente al vino e alla ristorazione, dapprima a Milano, poi di nuovo a Bologna, la sua città. Oggi alterna i panni di sommelier, reporter, oste e cantastorie.

5 Commenti

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Marco

circa 6 anni fa - Link

A Londra avevo bevuto un becchiere in un posto dal nome identico "La Compagnie des Vins Surnaturels": succursale?

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Lisa Foletti

circa 6 anni fa - Link

Ce ne sono tre: Parigi, Londra e NYC.

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Conni

circa 6 anni fa - Link

Brava molto interessante il tuo racconto newyorchese!

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Vittoria

circa 6 anni fa - Link

Interessante articolo su "Intravino" scritto dall'amica Lisa Foletti. E' una piacevole lettura, non solo per gli addetti ai lavori (degustatori professionisti e/o appassionati) ma, secondo me, anche per tutte le persone come me, che semplicemente sono curiose per natura e amanti del buon vino e dei buoni cibi. Io l'ho trovato non solo istruttivo ma anche molto divertente, scritto con mano abile e con quel pizzico di ironia (ed anche auto-ironia), che riesce a dare un tocco di leggerezza a quello che rischiava di diventare un "mattone" noioso e leggibile solo da pochi. Pur sempre professionale diventa, invece, il racconto spigliato e garbato di una persona che ha voglia di renderci partecipi di qualcosa che va al di là della mera descrizione dei piatti e dei locali visitati. Così le sue esperienze personali, che qui Lisa ci descrive dettagliatamente, con parole e con tante foto stupende, diventano un valore aggiunto. Uno spaccato di vita di una città (..."Insomma, NYC non è una città, è una moltitudine di città - già solo il distretto di Manhattan lo è -, per cui “andare a New York” non significa nulla: ci sono infiniti modi per viverla e altrettante esperienze da fare, anche per quanto concerne la gastronomia, che è sempre manifestazione dei fenomeni sociali, culturali e storici di un luogo"...), e che con l'aiuto di scatti stupendi ci rivela anche la "particolarità" di una città come New York. Uno fra i tanti (almeno per me), la descrizione della Metropolitana. Ma ce n'è per tutti i gusti. Buona lettura!

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Samuel

circa 6 anni fa - Link

Ottimo racconto. Città splendida e poliedrica. Una cosa è certa: visti i prezzi anche se amante del vino mi sa che farei qualche giorno da astemio (blasfemia su questo sito) ;-)

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