Soave Preview. Mia sorella (garganega) è figlia unica

Soave Preview. Mia sorella (garganega) è figlia unica

di Adriano Aiello

Chi beve Soave oggi? Chi lo ordina al ristorante? Chi sa cosa aspettarsi quando ci infila dentro il naso? E chi ricorda che un paio di decenni fa era un mostro da esportazione capace di rappresentare da solo metà della produzione bianca italiana?

Troppe domande, ne sono consapevole, ma la Soave Preview, tra assaggi, cornici, comparazioni (non capita di frequente di bere il Trebbiano di Valentini in un’anteprima su un vitigno “concorrente”) e dibattiti sulla pergola o sull’esistenza o meno della mineralità, ha riacceso la mia curiosità sulla garganega. Sfruttata, repressa, maltrattata, odiata. Un po’ come il fratello figlio unico di Rino Gaetano.

A quanto pare per il Soave è «un bel momento, ma manca un’identità forte: una visione di insieme anche a livello di comunicazione». Così mi spiega il presidente del consorzio Arturo Stocchetti. Probabile. Il disordine in effetti emerge negli assaggi, la potenziale longevità anche, ma lo strombazzato terroir vulcanico mi pare generalmente il grande assente. Troppi i vini appesantiti dalla tecnica, troppi i nasi di pompelmo, lime e ananas per un’uva così neutra, troppe le riserve legnose, surmature e muscolari, troppi i finti sauvignon.

Si è comunque bevuto tanto, a sorpresa più 2015 che 2016. Ecco allora qualche segnalazione senza alcun intento esaustivo. Non cercate, insomma, Pieropan che non era in degustazione, Ca’Rugate che non mi ritrovo negli appunti, o quello che mi ha convinto di più tra i nuovi produttori, Canoso, semplicemente perché ho scelto di rappresentarlo a Milano.

Soave Preview

 

Castelcerino 2016 Filippi
Quello di Filippo Filippi rimane il Soave più vibrante e appassionante nel mio cartellino. Ancora non imbottigliato, il 2016 è ovviamente lontano dalla migliore espressione, ma ha un equilibrio tra corpo e salinità che già favorisce l’ubriachezza. A sorpresa la versione in magnum era più chiusa di quella in bottiglia. Il salto in azienda – con annessa rapida grandinata e selfie lisergici con i giapponesi – mi ha permesso di dissetarmi con un bel numero di annate vecchie in gran spolvero. Grandissimo Castelcerino 2014 (mi sa che la mineralità esiste…) e Montessori 2008, campione di terziari e integrità; solito amore per Vigne della Bra, con quel naso che sa trasportarti in Champagne.

Gini – Contrada Salvarenza 2013
Tanta ciccia e tanta (buona) tecnica nei vini di Gini, una coerenza e una qualità produttiva innegabile, che emerge soprattutto nelle vecchie annate prive di alcune grossezze eccessive delle nuove uscite. Bellissimo il Salvarenza 2013, in mirabile equilibrio tra florealitá, un corpo ricco e profondo e un’agilità innegabile. Idem il finale che ti costringe a stare lì a ripensarsi.

Garganuda 2015
Come in un indie minimalista americano il tentativo è quello di scarnificare e puntare all’essenza, spogliare la garganega dalle troppe pesantezze. Obiettivo raggiunto: da un paio di anni il vino spopola sui tavoli dei naturalisti e sulle bacheche dei postatori seriali di etichette (io), ma io qualche dubbio lo nutro. Con quella freschezza mirabile a tavola ha ragione lui, ma ho la sensazione che si accodi troppo a un’estetica naturalista che ormai tende allo stereotipo, quindi naso sottile, bella nota acetica, andatura nervosa, un po’ verdognolo.

I Stefanini – Il Selese 2016
Come capita spesso in molte aziende, la versione base straccia le selezioni dove arriva tutto il campionario fruttato a legare un vino che mi sembra pacifico immaginare come croccante ed essenziale. Qui la bocca è sapida e succosa e l’agrume iniziale lascia spazio a una bella chiusura mandorlata. Un vino semplice e concreto, che scende felicemente.

Coffele Ca’ Visco 2002
Siamo sul versante dei Soave importanti/opulenti/materici. Trovo i vini di Coffele faticosi in gioventù quanto affascinanti negli anni. Questo 2002 si conferma campione di evoluzioni peculiari: ha un naso in continua mutazione tra zafferano, oliva verde, fieno, cera d’api. Bocca grossa, ma anche molto viva, sostenuta da un’intensa acidità.

[Immagini: Ilsoave.com]

2 Commenti

avatar

gp

circa 7 anni fa - Link

Mi sembra quantomeno azzardato definire la Garganega "un'uva neutra".

Rispondi
avatar

Patrizia

circa 7 anni fa - Link

Salvarenza 1996, aperto qualche mese fa. Da mettersi in ginocchio e rigraziare l'universo. I vini di Sandro Gini sono come lui: grandi, silenziosi, indimenticabili

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.