Servono ancora le fiere del vino?

Servono ancora le fiere del vino?

di Andrea Troiani

Ho sempre avuto un rapporto altalenante con le fiere del vino. Ne parlavo, seppur ancora da quasi neofita, nel mio pezzo sul Vinitaly del 2017  (sembra passato un secolo e invece è bastato un lustro a cambiare il mondo).

Da una parte ne subisco il fascino irrazionale e forse primitivo: decine, o centinaia, di persone riunite nello stesso luogo fisico per condividere il medesimo interesse. Si tratta probabilmente di desiderio di appartenenza, di vedersi riflessi nelle passioni degli altri, capaci quindi di confermare e forse, intimamente, amplificare proprie convinzioni.

Un’esperienza ancestrale, una comunità riunita davanti al focolare di interessi condivisi, raccontati con un linguaggio iniziatico, sostenuti da regole non scritte e apparentemente oscure a chi non si sieda davanti a questo falò enoico.
Qualcuno potrebbe obiettare che questa digressione pseudo-antropologica possa essere valida per quasi tutte le fiere. Insomma, anche nelle esposizioni di giardinaggio, o in quelle dedicate alle biciclette da corsa, si radunano schiere di appassionati che parlano con tecnicismi incomprensibili ai più. Questo è vero, ma il prodotto dei nostri eventi non è neutro. A fare la differenza è proprio il soggetto intorno a cui ruota l’intera organizzazione.

A segnare il solco è il vino.

Il vino non è uno strumento che consente di tagliare più velocemente il prato intorno casa, e non aiuta il ciclista con i suoi polpacci ipertrofici e la magliettina aderente ricca di sponsor a massimizzare le performance delle faticose pedalate in salita. In effetti il vino non è uno strumento, ma è il fine. L’esperienza del vino, totalmente edonistica, è insita nella bevuta stessa.

Il vino è il fine e non il mezzo.

Ma le differenze non finiscono qui, di biciclette ne avremo una, magari un paio, rendendo quindi esclusiva la scelta del prodotto, di vino non ne avremo mai abbastanza. Il vino, a partire dal suo acquisto, non esclude mai e anzi, spesso invita a continuare esperienze in orizzontale, magari con altri vini della stessa cantina o delle stesse uve o in verticale, assaggiando annate diverse dello stesso prodotto.

La differenza non è banale.

Se a tutto questo aggiungiamo l’effetto sociale dell’alcol, con la sua capacità chimica ma anche culturale, di favorire la conversazione, la differenza non può che apparire netta anche ai meno esperti.

A tutto questo si contrappone, nella mia mente, il concetto di bere, assaggiare o degustare (termine che trovo sempre più lontano dalle mie corde) il vino.

Sono convinto che per capire davvero questo prodotto, non basti un fondo di bicchiere bevuto in piedi circondati da altre persone e magari con lo zaino in spalla.
Probabilmente sono io a non avere le capacità analitiche raffinate che molti invece sfoggiano, eppure credo che il vino abbia bisogno di tempo, di spazio e di una mente libera e concentrata per essere capito e, lasciate che lo dica, rispettato.
Aggiungiamo poi gli odori che si mescolano, il caldo di certi eventi estivi, la fretta e la stanchezza che si accumulano dopo i primi banchi, ne esce, a mio parere un’esperienza spesso molto ricca umanamente ma meno significativa dal punto di vista di conoscenza del prodotto.

Non nego di aver scoperto alcuni vini meravigliosi proprio durante i brevi e fugaci assaggi fieristici, ma ho sempre dovuto tornarci sopra con il giusto tempo, per capire veramente che cosa avessi bevuto e perché quello, e non altro, mi avesse davvero colpito.
Alcuni ritorni sono stati anche molto deludenti, forse per mia disattenzione o forse perché alcuni vini sono perfetti solo al primo bacio.

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Andrea Troiani

Nasce a Roma dove lavora a mangia grazie al marketing digitale e all'e-commerce (sia perché gli garantiscono bonifici periodici, sia perché fa la spesa online). Curioso da sempre, eno-curioso da un po', aspirante sommelier da meno.

42 Commenti

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Francesco Fabbretti

circa 3 anni fa - Link

"Il vino non è uno strumento che consente di tagliare più velocemente il prato intorno casa, e non aiuta il ciclista con i suoi polpacci ipertrofici e la magliettina aderente ricca di sponsor a massimizzare le performance delle faticose pedalate in salita. ". Interessante considerazione che però ai governi di mezzo mondo rimane del tutto indifferente: il vino è uscito da tempo dalle sagrestie dei suoi veneratori ed è entrato a pieno titolo all'interno delle dinamiche tipiche del consumiso. Tu parli di "tornare" sui vini dopo gli assaggi fugaci (che poi la fiera dovrebbe fare proprio quello: assaggio fugace, illuminazione, ritorno in un secondo momento con più calma) mentre la maggiorparte dei vini vengono acquistati a seguito di esperienze emozionali visive di pochi secondi che colpiscono più per il décolleté della modella di turno più che per le loro caratteristiche gustolfattive. Il mondo del vino insomma sta progressivamente rompendo tutti gli indugi per abbracciare le regole del marketing più spudorato, avendo scoperto che può diventare attraente (sexy, cool, figo... scegli tu) anche per un ignorante totale con la giusta campagna di comunicazione. Chi se ne frega se un top wine non sai nemmeno da che parte cominciare a berlo, l'importante è che ce l'hai e che puoi sfoggiare il tuo trofeo, e credimi, una volta rotta la diga dei top wines (e la stanno rompendo a passi da gigante) non ci sarà più argine che tenga per il resto della produzione.

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Andrea

circa 3 anni fa - Link

Francesco, grazie per la tua bella considerazione. Trovo molte ragioni nel tuo commento, al tempo stesso credo che il pubblico, o il mercato, siano anche in grado di scegliere, almeno uno parte di esso. Poi ci sarà prodotto giusto per tutti.

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Alle fiere si va per vendere e per comprare. Sono mercati. Ho come l'impressione che gran parte dei commentatori e dei lettori seguaci di Intravino, oltre ai talentuosi redattori, appartenga alle categorie appassionati/collezionisti/poeti. Io appartengo alla categoria mercantile, non me ne vergogno, quindi per me sì le Fiere del vino servono ancora. Dovranno essere riformulate e rimodellate, ma continueranno ad esistere. Sconsiglio vivamente la partecipazione di appassionati, ecc. a manifestazioni incasinate e inzeppate di odori extra large come per esempio il Vinitaly. Meglio dedicarsi ad eventi più piccoli, più mirati e meno "aperti a tutti" .

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Invernomuto

circa 3 anni fa - Link

Quelle si chiamano "bancarelle", le fiere serie non servono a vendere bottiglie alla spicciolata, ma a costruire rapporti commerciali. Cosa che non capita a Vinitaly da almeno un 15 anni, e che mi dicono non succeda più nemmeno alla Prowein. Al Vinexpo non è mai stata contemplata :)

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...la fiera di settore è fatta per vendere e per comprare, come dice Nelle Nuvole. Con questo assunto chi non compra o vende e si presenta ugualmente, è un rompiballe ... per chi deve vendere o deve comprare. È utile una fiera? Non solo per chi vende o per chi compra, anche per i rompiballe in gita " informativa". Chi opera nell' enoagroalimentare deve tenersi uno storico di contatti e contatti andati a buon fine per determinarne un costo- beneficio in base al costo di partecipazione. Oppure valutarne, ipoteticamente, un ritorno di immagine/comunicazione. Solo in base a queste valutazioni si può stabilire se una fiera è utile oppure no. Siano esse nazionali che internazionali... Chiaramente le fiere sono utilissime ai perditempo bevitori e mangiatori a sbafo, quindi la mia risposta è "si" , servono eccome per la stragrande maggioranza dei lettori...

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Giuseppe Costantino

circa 3 anni fa - Link

Sono un appassionato di vino e quindi catalogato nel commento di vinigodi come" perditempo bevitore e mangiatore a sbafo". Per me le fiere sono utili perchè mi permettono di approfondire la conoscenza di territori vinicoli e di produttori che mi interessano (magari perchè ho letto un articolo interessante su Intravino)e che sarebbe spesso impossibile conoscere diversamente. Per fare questo pago un biglietto di ingresso spesso sostanzioso e mi accollo delle trasferte anche queste onerose. L'unica cosa che mi chiedo è :come è posssibile che alcuni operatori nel campo del vino non capiscono che alla fine vendono il loro prodotto, tramite le enoteche e la ristorazione, proprio a gente come me? Comunque se Vinigodi mi dice quali sono i suoi interessi specifici farò in modo di evitarlo accuratamente nelle prossime ,spero vicine, occasioni.

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Andrea

circa 3 anni fa - Link

Mi sa che sono un perditempo anche io. 😁

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...allevo gatti trovatelli come prima occupazione. A tempo perso mi guadagno da vivere lavorando. Mio malgrado frequento fiere del settore, sia vino che agroalimentari, anche internazionali, da almeno 35 anni. Almeno una decina all'anno. Il fatto di non frequentarci in codeste occasioni, non mi toglierà il sonno...

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bevo_eno

circa 3 anni fa - Link

di gente che beve a sbafo nelle fiere non ne esiste nessuna, visto che le persone normali pagano la quota richiesta. Comunque le fiere solitamente sono fatte per il mercato, che è fatto dalla massa di persone con i loro gusti personali, i fenomeni che credono di mandare avanti "loro" da soli il mondo del vino bevendo P2 e basta forse è meglio che evitino le suddette fiere.

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

... la quota richiesta viene pagata all'Ente Organizzatore , non ai produttori . Che a loro volta pagano fior di quattrini per esserci, è per questo che le aziende oculate fanno , per partecipare, un meditato calcolo di costo - beneficio . Dove la quota parte di "promozione" agli sfaccendati ( tanti , tantissimi , sotto la veste di "appassionati - potenziali clienti , compresi i vomitatori seriali post adolescenti che hanno sempre pullulato in queste manifestazioni, Cibus e Vinitaly in primis ) deve essere controbilanciata da un effettivo ritorno quantificabile , almeno sulla carta e una quota parte importante di contatti "positivi" . L'appassionato ci sta , eccome , quello si è un cliente potenzialmente alto spendente , da sommarsi alle attività professionali presenti come ospiti o promotori . Chi dice il contrario , che cioè che la maggioranza degli oggi pascolanti nell'area fieristica (di vini soprattutto) siano elementi attivi nell'attività commerciale-promozionale-produttiva : a) non ha mai conosciuto alcuno facente parte l'organizzazione delle fiere - b) non ha mai lavorato per aziende che partecipano attivamente alle fiere - c) Non ha mai letto le statistiche reali emesse dagli enti organizzatori delle fiere sulle affluenze sia quantitative che "qualitative" dei partecipanti.

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bevo_eno

circa 3 anni fa - Link

ricordati che la catena alimentare degli alto spendenti ha sempre un gradino più alto...

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...come in tutte le classi merceologiche , siano esse di prima necessità , siano esse oggetto di approfondimento passionale ( dalla Panda vs Bugatti/Pagani/McLaren , al Tavernello vs Romanée Conti al Casio MQ 24 vs Frank MullerAeternitas )

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la modella di turno

circa 3 anni fa - Link

Avendo un dècolletè esplosivo riesco a vendere anche la nafta a 100 euro a bottiglia a chiunque mi capiti a tiro e sono strasicura che neanche un vecchio marpione come Vinogodi riuscirebbe a resistermi, figuriamoci tutti gli altri teneri pollastrelli fieraioli... Prima o poi vi intorto tutti quanti, rassegnatevi... kisses!!!

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Andrea

circa 3 anni fa - Link

Marketing 3.0 🤣🤣🤣🤣

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franco

circa 3 anni fa - Link

Esci il numero che il resto è già fuori

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

A parte tutto, le fiere rimangono un occasione per rivedersi con amici produttori e non; per ritrovarsi con coloro che purtroppo si riesce ad incontrare solo in quelle occasioni. Dopodiché, andare come semplice "avventore" al Vinitaly è una cosa, andarci come addetto ai lavori o in compagnia di un rappresentante è tutt'altra. Si vive un'altra fiera e un altro "dopofiera" Non è il massimo ma è così.

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Andrea

circa 3 anni fa - Link

Vero, c'è il piacere di incontrarsi e quello di conoscere appassionati e produttori. Non ultimo, sono anche l'occasione per gli incontri Intravinici.

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1 come tanti

circa 3 anni fa - Link

I consumatori di vino più esigenti e selettivi non sono mai, e sottolineo mai, amici dei produttori. Non devono esserlo. Ne possono apprezzare o meno il lavoro ma evitano accuratamente di lasciarsi coinvolgere emotivamente dalle persone. Deve piacermi il vino, non chi lo produce. Non visito mai cantine e non compro mai direttamente dal produttore. Non vado mai alle fiere o similari, anche perchè dopo dieci minuti di assaggi il mio povero palato non è più in grado di distinguere un vino da una zuppa di fagioli, chi passa intere giornate ad assaggiare questo e quello mi fa tenerezza, a volte ribrezzo. Non assaggio mai rosati o bollicine, tanto non mi piacciono. Non rompo mai i coglioni ai miei conoscenti parlando di vino se a loro non interessa. Vivo e lascio vivere, bevo e lascio decidere agli altri se bere o meno.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Il mondo è bello perché è vario. Con alcuni produttori, rappresentanti, agenti, o capiarea inevitabilmente si diventa amici. Non è ovviamente l'amicizia come la intendeva Cicerone, ma è qualcosa in più della semplice conoscenza. Per me che vivo il vino come gioia e come qualità della vita, è un piacere ed un privilegio, potermi confrontare con alcuni produttori, che magari sono in ben altre faccende affaccendati, e condividere un punto di vista su una bottiglia, su un'annata o su un modo di intendere il vino. Con alcuni si condivide una visione del mondo, si sta dalla stessa parte della barricata, se vogliamo parlare di cose più importanti del vino, e proprio per questo, quando "toppano" farglielo presente diventa un dovere. Speriamo di vederci tutti al MWF. Alle terme ovviamente.

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marcow

circa 3 anni fa - Link

1 come tanti: "I consumatori di vino più esigenti e selettivi non sono mai, e sottolineo mai, amici dei produttori. Non devono esserlo. Ne possono apprezzare o meno il lavoro ma evitano accuratamente di lasciarsi coinvolgere emotivamente dalle persone. Deve piacermi il vino, non chi lo produce. Non visito mai cantine e non compro mai direttamente dal produttore". (1 come tanti) __ Il commento è rivolto ai consumatori, ai bevitori, ai clienti, agli appassionati ecc... Ma, secondo me, è perfetto per i CRITICI ENO-GASTRONOMICI sui quali, come sapete, mi sono soffermato più volte nei dibattiti. Ho insistito anche su altri 3 o 4 argomenti che sono, comunque, stati espressi, in primis, da Sisto. Il rinnovamento della critica enogastronomica, che è il mio pallino fisso, è, comunque, correlato alle tematiche espresse da Sisto in questo blog. __ Direi che il commento di --1 come tanti--esprime molro bene quello che NON DOVREBBE FARE un critico eno-gastronomico. __ Per ESSERE e APPARIRE... indipendente. __ Signori, sapete benissimo che, in Italia, siamo lontani da questi comportamenti e il critico eno-grastromico è diventato... un ruffiano. PS "Tanto la retorica quanto l'arte culinaria sono branche dell'arte della ruffianeria, in quanto ambedue fanno più appello alle emozioni che alla vera conoscenza" Robert M. Pirsig: "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" 1974.

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...corretto , Marcow : il vero critico di motori sa riconoscere la marca di motociclette alla cieca , solo ascoltandone il rombo del motore , anche solo all'accensione , così da emettere il suo insindacabile giudizio sulla messa a punto , cavalli erogati e la proiezione prestazionale che tanto ci emoziona...

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Caro Vinogodi, la degustazione alla cieca è soltanto una delle condizioni necessarie per ridare CREDIBILITÀ alla critica. Sisto ne ha qui discusso in modo ampio e dettagliato. Ma, come indicato nel commento di 1come tanti, ci sono altri punti che contribuiscono a dare ai lettori, ai consumatori, ai bevitori ecc... più garanzie che quel CRITICO sia... INDIPENDENTE. Ti prego di rileggerli: non parlano di degustazione alla cieca. Forse non ti piacciono, forse conosci dei critici che non adottano quei comportamenti. __ Sulla degustazione alla cieca, purtroppo me lo fai ripetere, per me si può incominciare da un livello base per poi arrivare, gradualmente, alle modalità più rigorose descritte da Sisto. E cioè partiamo da una cieca non assoluta: si conosce la tipologia dei vini da degustare ma l'etichetta è oscurata e non si conosce chi produce quel vino. Quello che dici mi ha fatto sorridere ma non c'entra nulla con la degustazione alla cieca NON ASSOLUTA che ho appena descritto. E ripeto per l'ennesima volta che non si tratta di INDOVINARE il tipo di vino(perché si conosce) o il produttore ma di valutare con la degustazione sensoriale quel vino che è stato versato da una bottiglia bendata. Qualcosa che sapresti fare. E sanno fare anche i critici. __ E allora, per concludere, che ne pensi delle regolette che 1 come tanti ha descritto nel commento? I critici dovrebbero adottarle? PS I semplici consumatori sono più liberi di accettarle e, attenzione, in questo senso, la mia opinione non è diretta a Sancho P che saluto ma ai critici che svolgono un RUOLO PUBBLICO sui MEDIA al SERVIZIO dei lettori, dei consumatori, dei bevitori ecc.... Che influenzano l'OPINIONE PUBBLICA. La critica senza INDIPENDENZA diventa CLAQUE. Saluti

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...mi piacerebbe intervenisse Andrea (Gori) e dicesse la sua sulle tue considerazioni ... PS : ma il critico , essendo un mestiere non riconosciuto e un poco negletto dal punto di vista retributivo , come fa a campare? Me lo sono sempre chiesto . Per raggiungere la completa indipendenza , per una serenità di giudizio scevra da condizionamenti di nessun genere , dalle pressioni editoriali per chi scrive , agli interessi economici dei potentati enoindustriali ... ecc ...dovrebbe: a) Essere pagato a peso d'oro per la sua prestazione di critico b) Essere benestante di suo ( quindi lontano dalle sirene ammaliatrici dei produttori ) c) Fare un mestiere che gli rende parecchio e , di conseguenza, fare il critico esclusivamente per passione e a tempo perso , oltre a smenarci un sacco di soldi ... considerazioni scevre e al netto dall'aspetto tecnico o tecnocratico del modus operandi delle valutazioni alla cieca o della professionalità acquisita (esperienza) oppure del talento individuale ...

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Paolo

circa 3 anni fa - Link

Ma allora conosci anche tu "quel gran genio del mio amico..."!

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...siiii , viaggiareeeee..."

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Nicola Micheletti

circa 3 anni fa - Link

A intervalli regolari rileggo le mie note di degustazione di vini assaggiati Vinitaly. Noto che spesso con il passare del tempo cambio idea (e anche parecchio), magari a una seconda bevuta più meditata. Per cui sì, concordo che le fiere servano fino a un certo punto, e le nostre impressioni con il caldo e la fretta sono spesso fallaci. A memoria mia però mi è mai successo di aver bocciato un vino in fiera e averlo riscoperto a posteriori, semmai mi è successo il contrario. Credo che il primo impatto, per quanto in condizioni "ostili" possa essere comunque utile per scremare un vino che ci piace (da riassaporare al più presto in condizioni più rilassate) da uno che non ci ha convinto. Ho personalmente conosciuto tante mie cantine di riferimento attuale tramite un paio di bicchieri e una chiaccherata in fiera... per cui in definitiva ritengo che sia comunque una esperienza utile.

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Montosoli

circa 3 anni fa - Link

Il vero problema delle fiere sono i vini”Crema della Crema” che i produttori ti fanno degustare, e poi dopo un mese quando ti arriva il tuo ordine ti accorgi che la qualita era solo in fiera. Ma forse questo richiede un altro articolo…a parte. 🍷

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Servono ancora le fiere? (È una domanda che vale per tutte le fiere) __ 1 Ci sono ancora dei buoni motivi per organizzare fiere e andare alle fiere. Nel dibattito sono state efficacemente illustrati i vari punti di vista che concordano sul fatto che le fiere bisogna farle e si va alle fiere per diversi buoni motivi. È inutile che li ripeta. 2 Ma, l'avvento del WEB, secondo me, ha cambiato il mondo e ha avuto dei riflessi anche sul mondo del vino e sulle fiere del vino che è l'argomento del dibattito. Sinteticamente dico che INTERNET ha, secondo me, diminuito l'importanza delle fiere(di tutte le fiere) Attenzione, parlo non da operatore del settore ma da semplice consumatore di vino. Questo concetto lo potrei esprime anche per altre fiere specializzate in settori in cui ho una mia personale passione. Con internet si è praticamente aggiornati tutti i giorni delle novità che riguardano i prodotti di un certo settore. Vorrei comunque specificare che conviene andarci almeno qualche volta per averne un'idea più precisa. __ In particolare vorrei soffermarmi, sempre come semplice utente, semplice consumatore, su un aspetto: la visita alle fiere(vale per molte tipologie di fiere) accresce la CONOSCENZA? Certamente qualcosa che non sapevi prima la apprendi andando in fiera ma, secondo me, il web offre delle possibilità di accrescere la conoscenza su un argomento, su un prodotto inimmaginabili prima di internet. Direi che le fiere sul vino possono dare la possibilità di poter assaggiare in modo semplice e veloce quasi tutta la produzione nazionale: è stato detto molto bene da altri commentatori come interpretano questa possibilità. E questo può essere un buon motivo.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

@ Marcow: se devi, periodicamente, ricordare che assaggiare alla cieca (1 dei 10-15 requisiti di una prova sensoriale codificata e normata, e poi cieca di livello 1, 2 o 3?) non è "indovinare", su uno spazio frequentato da gente che assaggia, siamo messi male... Mi riconosco con il lettore che dice che, dopo poco che è dentro la fiera, non riconosce più nulla: è ampiamente dimostrato, quindi -negli altri casi-siamo a livello di bevuta per fare ancora più male al fegato (e aumentare vieppiù la probabilità di cancro per etanolo). Io vado alle fiere solo per assaggiare vini impossibili per me da provare (lo spumante prodotto in Zimbawe-e non è una battuta-oppure il produttore che ha un vitigno locale di quelli sull'orlo dell'estinzione, ad esempio). Un'altra tentazione forte: il banchetto perennemente senza visitatori, con il povero espositore con sguardo tra il rassegnato e il supplicante. PS marcow: solo perché mi hai citato (titolo: marketing e autosuggestione da conoscenza vs prova sulla base di misurazioni in condizioni ripetibili e riproducibili). A settembre condurrò 2 esperimenti (con la metodologia conforme), anche ispirato dai recenti dibattiti qui: vino da monovitigno prodotto in territorio italiano X (che dovrebbe conferire talune caratteristiche secondo certa vulgata) insieme ad altri vini (5 o 6) da monovitigno di altri territori (stessa annata, stesso protocollo produttivo). Panel: 100% giudici addestrati. Scheda OIV + scheda con aromi (I e II livello, per chi vuole aggiunta di descrittore specifico), ivi compresa la serie del biochimico. Stessa cosa ma specifico di un vino di un di una certa microzona di una nota denominazione francese che produce spumante, che dovrebbe esprimere "note gessose" (si va per sinestesia, analogia e similitudine, dato che il gesso non sa di nulla). 50% giudici addestrati, 50% persone consumatrici di vino con capacità sensoriale ordinaria (precedentemente valutata). Scheda OIV + scheda con tavola aromi (I e II livello, per chi vuole aggiunta di descrittore specifico), ivi compresa la serie del biochimico. Ti farò sapere i risultati.

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Sisto, cerca di organizzarti per pubblicare, poi, sul web in qualche blog o testata, ecc... come si è svolto l'evento da te organizzato. Mi sembra molto interessante. Scusami se, nei miei commenti, sostengo le mie argomentazioni tirandoti spesso in ballo. Il risultato è che potresti finire con me... nella lista dei rompic...... :--) ____ Il disprezzo per la degustazione alla cieca, cercando di intorbidire il discorso con definizioni assurde e ridicole, la dice lunga su quanta strada c'è da fare per rinnovare la critica eno-gastronomica italiana. ___ Sisto, tu vai alle fiere principalmente per assaggiare vini costosi o particolari. Abbiamo saputo, in questo dibattito, che i critici... poiché prendono poco nelle testate dove lavorano... sono giustificati... se... in qualche modo... si arrangiano. Lascio ai lettori che non commentano mai la libertà di farsi un'opinione. Saluti

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...Marcow, non metterti fra i rompic*****, eddai...mettiti fra i " pedanti" o , allegramente, fra i " seriosi". "San" Sisto dice cose sacrosante dal punto metodologico, ma talmente ridondante nelle sovrastrutture operative da renderlo poco praticabile. Infatti tutte le degustazioni descritte anche da queste parti, sono metodologicamente scorrettissime, nella teoria, per cui non legittimate ad essere rese pubbliche, ad un' analisi "Sistomarcowiana"...direi un poco di relax edonistico, suvvia... PS: faccio outing ...io predico bene ( sul " liberi tutti" sensoriale) ma poi ricado , nel lavoro e ...per lavoro, ad obblighi metodologici codificati, visto che devo produrre evidenze oggettive su scelte sensoriali che vanno ad impattare pesantemente su scelte e livelli economici delle aziende ...

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

@marcow. No, anzi, mi fa piacere: solo che mi fa specie che talune banali ovvietà, che noi sosteniamo qui sui 2-3 temi scottanti, siano oggetto di meraviglia o negazione o acceso dibattito. Lo sanno tutti (basta leggere libri diversi da queli editi dagli specializzati nel servizio del vino al ristorante) che "degustazione" (termine abominevole e ampiamente deprecato in ambito scientifico) non c'entra nulla con l'analisi sensoriale. Boh! Il resto è "bere": io rigetto la fuffa che sta in mezzo. Stammi bene.

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DERBINI

circa 3 anni fa - Link

L'uomo non è un computer. L'assaggio di vini ciechi in batteria è deleterio. E' sufficiente perdere concentrazione per travisare quello che si sta valutando. Provate ad immaginare un Brunello di Biondi Santi, oppure un Barbaresco di Bruno Giacosa, messi in una batteria di assaggi vicino ad omologhi concentrati e magari barriccati. Ci sono dei vini che richiedono un certo tipo di assaggio e trovo che abbia ragione Armando Castagno, quando sostiene che assaggiarli alla cieca insieme ad altri, sia deviante per una valutazione oggettiva. Nell'assaggio comparativo, cè una naturale predisposizione a preferire i vini più pronti e più concentrati. Più intensi aromaticamente. Solo la conoscenza preventiva di quello che abbiamo davanti, può salvarci dal naturale errore di valutazione. Semplicemente perchè non siamo macchine. Il grande Bartolo Mascarello lamentava che le guide non capivano i suoi vini, perchè non riuscivano a coglierne le capacità evolutive o li assaggiavano in una fase di esterma giovinezza e austerità. Provate a pensare ad un Barolo di Bartolo Mascarello assaggiato alla cieca, dopo aver avuto nel bicchiere l'omologo che ha il rinoceronte in etichetta.

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...non ci crederai ma concordo...

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Comodo..., così è capace anche mia zia.

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Maurizio

circa 3 anni fa - Link

Le degustazioni alla cieca hanno senso solo su vini della stessa tipologia e dello stesso areale e soprattutto della stessa annata. Assaggiare alla cieca vini di zone diverse , annate diverse (anche la stessa annata in territori molto distanti è diversa) e stili diversi è un qualcosa che non ha il benché minimo senso logico. Sarebbe come mettere insieme una scultura di boccioni, una di canova e un colosso egizio e poi pretendere di giudicare quale sia il migliore. Al massimo si può fare nell'ambito specifico, quindi per esempio, nell'ambito della scultura futuristica, fare confronti e analisi tra le varie opere e così per il vino se lo scopo è il giudizio: stessa annata, stessa tipologia, stesso territorio. Oppure stesso identico vino, diversa annata. Tutto il resto, anche se apparecchiato in modo analitico, è fuffa inconcludente.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

@Vinogodi. "Sovrastrutture operative" mi piace parecchio. Ti racconterò un fatterello che ho comunque ho riportato qui 2-3 anni fa. Nel 2016 ho partecipato ad una "degustazione" di Pinot nero (rosso, fermo) organizzata da una delle associazioni della sommelerie. Borgogna, Alto Adige, Oltrepò, altro. Questi non hanno fatto niente di complicato, solo hanno infilato la bottiglia in un sacchettino di stoffa durante il servizio. In platea 50 persone, tutti "qualificati" e oltre (non sono ironico). "Vincitore": vino dell'Oltrepò. Un sig.re, molto umile e sereno, nell'occasione del post mi rispose, più o meno: "occorre palato raffinato per capire i grandi borgogna, eravate tutti scarsi". No sig.re: occorre solo saper leggere l'etichetta, accendere il pappagallo, autoconvincersi e circondarsi da gente così.

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...Sisto, semplicemente, oggi, chi parla o straparla di Pinot Nero, semplicemente non conosce il Pinot Nero: un po' perché non se lo può permettere economicamente, ai massimi livelli, oppure perché millantare sul web è uno degli sport più praticati e semplici da praticare. Così i presunti esperti, sparano improbabili scemenze elargendo fantasiose classificazioni , che non reggono neppure al cospetto del salomonico " de gustibus" . Regolarmente nelle bicchierate di Pinot Nero , alla cieca , inserisco confronti con i presunti top italiani(altoatesini, toscani oppure triveneti). Il risultato è esilarante. Ma a partecipare è gente che da del tu a Vosne Romanee e Gevrey Chambertin. E ha discriminante sensoriale conseguente a esperienza diretta continuativa e non occasionale. Quando sento (scusate se faccio nomi) che a " quella degustazione famosa..." Civettaja o Hofstatter hanno bastonato Rousseau e Comte Ligier Belaire , il moto di riso si fa irrefrenabile... E di compatimento...

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Nicola Micheletti

circa 3 anni fa - Link

Concordo su tutto. Nella mia modesta esperienza ho comunque bevuto praticamente tutti i Pinot Nero top italiani. I più buoni erano meno interessanti di un buon Village della Cote d’ Or. Credo che dovremmo come paese prendere atto che non abbiamo clima, terreno e competenze per fare dei Pinot Nero di qualità.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Ma certamente. E sono gli stessi produttori italiani a riconoscerlo. A cominciare da Martin Foradori di Hofstatter. Ci mancherebbe altro. Non scherziamo.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

C'è una bellissima intervista fatta da B. Petronilli a Martin Foradori(che fa ottimi vini, sia bianchi che rossi), veramente illuminante. Su esquire se non ricordo male.

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DERBINI

circa 3 anni fa - Link

La suggestione conta eccome. Basti assaggiare il medesimo vino in cantina, in compagnia del produttore, e poi da soli a casa. Vi assicuro che non è la stessa cosa. La consapevolezza di bere un etichetta importante, ci porterà a trovare nel calice i pregi di un vino, anziché i suoi difetti. Almeno ai più. Non siamo dei computer, il nostro palato non è un laboratorio di analisi. Contano le suggestioni, il contesto, la capacità di concentrazione, la preparazione, e non da ultimo l'onestà intellettuale. Parlando di vini bevuti ciechi, ribadisco che non si può valutare correttamente un vino fatto in un certo modo, se viene servito dopo una batteria di vini concentrati, affinati in barrique nuove, o che magari hanno fatto salasso. Sarebbe come provare a cogliere tutte le sfumature di un carpaccio di manzo, dopo essersi abbuffati di salsicce alla brace. La degustazione cieca, non va mitizzata, perché non è garanzia di un bel niente. Cio' non toglie che se uno non sa distinguere uno Chambolle Musigny, da un modesto Pinot Nero dell'OP, forse farebbe meglio a limitarsi a berlo il vino, anziché preoccuparsi di valutarlo. E non c'è bisogno di essere Carlo Ferrini, che i Borgogna, li prende al buio anche per annata. Quasi sempre.

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