Punteggi ai vini e business. Basta, non se ne può davvero più

Punteggi ai vini e business. Basta, non se ne può davvero più

di Tommaso Ciuffoletti

Scrivere un pezzo così richiede un breve cappello introduttivo, che spazia dai mille umori che si agitano alle implicazioni di questa storia. Parti a mille col furore di questo è uno scandalo, dobbiamo denunciarlo!, rallenti all’idea che alla fine tutti sanno come funziona e a tutti va bene così e infine ti fermi accettando che non esiste realmente un’alternativa a tutto questo.

Poi smetto di pensarci, che tanto non serve a niente e vediamo questa ennesima storia di punteggi e fatture.

Jason Wilson e le sue premesse

Durante una conversazione telefonica della scorsa settimana, il presidente di un’importante agenzia di pubbliche relazioni, con una lista di clienti che comprende regioni vinicole, grandi marchi e importatori, mi ha detto che la sua azienda paga “circa 25.000 dollari all’anno” a una certa pubblicazione vinicola influente. Non per scopi pubblicitari, mi ha detto. Il compenso serve invece “a garantire che i vini dei nostri clienti siano recensiti” e ad assicurarsi che “i vini recensiti con bassi punteggi non siano elencati” nei rapporti di degustazione dei critici. Questo è ciò che ha affermato. Questo compenso di “circa 25.000 dollari” consente inoltre all’agenzia e al suo cliente di vedere le recensioni con due giorni di anticipo rispetto alla data di pubblicazione. Ha insistito sul fatto che la sua azienda non è l’unica a pagare questo tipo di compenso a questa pubblicazione.

Se state pensando che si tratti della solita denuncia anonima priva di riferimenti, fatta tanto per fare, sappiate che no, non è così, quindi pazienza e proseguiamo insieme.

In un’altra conversazione, il responsabile di un’altra società di PR ha affermato che a uno dei suoi clienti – una popolare regione italiana – è stato detto da un’altra rivista specializzata che i loro vini non sarebbero stati recensiti a meno che non avessero fatto acquisti pubblicitari. In poche parole: i vini di un’intera regione sarebbero stati ignorati se non avessero fatto pubblicità! Non solo, ma la stessa persona mi ha detto che una terza importante rivista di vino, ha imposto un limite al numero di vini, provenienti da una certa nazione di lingua tedesca, che avrebbe recensito, semplicemente perché l’ente di promozione del vino di quel paese non pagava per fare pubblicità.

Quanto vi ho riportato, tradotto in italiano, sono le frasi che aprono il pezzo che Jason Wilson ha pubblicato il 6 settembre sul suo sito www.everydaydrinking.com. Jason Wilson, oltre a curare il blog qui citato, ha scritto libri dedicati al vino e collaborato con testate come Washington Post, New York Times, New Yorker, Travel + Leisure e anche, come vedremo, Vinous, il sito fondato da Antonio Galloni dopo la sua dipartita dal team di degustatori di Robert Parker.

E così, mentre su Twitter la condivisione del pezzo di Wilson rimbalza su profili di produttori e altri professionisti del mondo del vino, che aggiungono le proprie note a conferma delle abitudini indicate da Wilson, il pezzo punta la propria attenzione proprio su Galloni.

A vinous experience

Wilson infatti racconta che i suoi ultimi report per Vinous sono stati per raccontare dei cabernet franc e degli chenin blanc della Loira, entrambi pubblicati a luglio del 2020. Poco dopo l’ultimazione di quei report, il rapporto tra Wilson e Vinous si interrompe, in un modo che Wilson attribuisce a differenze di vedute sul vino (naturale), oltre che sui compensi, ma che giudica del tutto fisiologico in un rapporto tra editore e scrittore. Fin qui tutto bene, ma diventa di particolare interesse quanto Wilson aggiunge dopo:

Poco più di due mesi dopo la pubblicazione dei miei report originali, Vinous ha pubblicato un report del suo fondatore Antonio Galloni, molto curioso, intitolato “Vinous Lockdown Special”, in cui Galloni scrive: “Ho pensato che sarebbe stato divertente fare qualcosa di diverso, scrivere un articolo su regioni e tenute che non tratto abitualmente e che sono mancate dalle nostre pagine”.
Nel reportage, Galloni tratta di 28 cantine apparentemente casuali della Borgogna, dell’Alsazia, dell’Austria, del Beaujolais e della Loira. In realtà, circa una mezza dozzina di produttori erano quelli che avevo già trattato nei miei report sul cabernet franc e sullo chenin blanc solo qualche settimana prima. Molti degli stessi vini vengono recensiti nuovamente. In alcuni casi, viene recensita un’annata più recente, per lo più con un punteggio più alto. In molti altri casi, la stessa annata è stata nuovamente recensita e ha ottenuto un punteggio più alto, di due, tre o addirittura cinque punti [rispetto a quelli dati da Wilson, ndr].

C’era qualcosa di strano. Ho esaminato più a fondo la mezza dozzina di produttori di cabernet franc e chenin blanc che Galloni aveva recensito – aziende famose come Huet, Pallus, Bel Air, Chidaine e altre – e all’improvviso mi sono reso conto che tutti quei produttori erano rappresentati dallo stesso importatore/distributore: Polaner Selections.

Quelle che a prima vista sembravano dunque aziende scelte – per dichiarazione di Galloni – per fare qualcosa di divertente, fanno venire qualche sospetto a Wilson. Il quale a questo punto ci informa che:

A fine 2021, un collega mi inoltrò una nota che Vinous aveva apparentemente inviato agli importatori e ad altri operatori del settore, a proposito di un nuovo pacchetto di abbonamento, chiamato “Vinous Preview”. Pagando per Vinous Preview, gli addetti ai lavori avranno la possibilità di “visualizzare le recensioni e i punteggi di Vinous circa 48 ore prima della loro pubblicazione”, l’accesso in tempo reale al calendario editoriale di Vinous e la “possibilità di inviare i propri vini per la recensione al di fuori delle normali tempistiche stabilite dal calendario editoriale”. Viene suggerito anche un quarto vantaggio: “Sono disponibili opzioni personalizzate e su misura“. Anche se non è mai stato confermato, sul forum di Vinous si diceva che Vinous Preview avesse un prezzo di 2.000 dollari al mese, o 24.000 dollari all’anno.
[…]
La ri-recensione di Galloni di quei produttori di Polaner Selections potrebbe essere stata una di queste “opzioni personalizzate e su misura”? Non ne ho idea. Forse non lo saprò mai con certezza.

La ri-recensione

Leggere di questa curiosa pratica della ri-recensione mi ha fatto venire in mente il ricordo di un’esperienza avuta quando lavoravo in una importante cantina toscana che (come alcune altre nello stesso periodo) ebbe l’occasione di veder ri-recensite tutte le annate del proprio vino di punta dagli anni ’80 fino all’ultima annata in commercio ad allora. A ri-recensire quei vini, che in anni passati erano già stati recensiti da Robert Parker, fu esattamente Antonio Galloni, che allora lavorava proprio per Robert Parker. Ricordo che mi incuriosì questa pratica della ri-recensione e mi chiesi se fosse così usuale.
Ma in fondo ero giovane e forse un poco ingenuo e non mi posi le domande che invece oggi si pone Wilson. 

Le reazioni su Twitter

Come accennato sopra, il pezzo di Jason Wilson ha dato il via ad una serie di reazioni online, principalmente su Twitter, che non possiamo non menzionare, dato che coinvolgono Master of Wine, giornalisti, produttori e professionisti del vino con nomi di assoluto livello.
Tra questi c’è Jamie Goode, che con sintesi estrema ed efficace scrive che il “pay to play” – pagare per far parte del gioco – è uno dei grandi problemi della comunicazione del vino.

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C’è anche chi non aggiunge alcun commento, ma si limita ad un retweet. Solo che a farlo non è uno qualunque, ma Tim Atkin MW.

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Nomi che pesano, dunque, come quello di Jeb Dunnuck (tra le altre cose, anche lui ex collaboratore di Robert Parker). Qui una selezione di alcuni suoi tweet, in cui ci va giù senza mezze misure. Tra le tante cose, scrive Dunnuck: “Credo che l’operato di Vinous sia il più significativo attacco all’indipendenza della critica del vino che io abbia mai visto nella mia carriera. Addomestica i critici e degrada la critica del vino. Costruire un business sulla fiducia dei sottoscrittori e poi, senza dir loro nulla, vendere i report agli operatori in anticipo rispetto alla pubblicazione, per me come critico è inconcepibile”.

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Ma c’è anche chi scrive che queste regole del gioco sono a tutti ben note. Chi decide di starci non fa che accettarle.

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Il giornalismo del vino, in soldoni…

Questa storia non è che un piccolo esempio in un mare di chiacchiere e dicerie su come il giornalismo del vino sia ridotto. Forse ci dà un’idea di quali domande porre. Forse no. La principale tra le mie domande: quanto valgono due o tre o cinque punti in più aggiunti al punteggio di un critico? In ogni caso, tutto questo è uno schifo per il numero sempre più esiguo di scrittori di vino che non offrono “opzioni personalizzate e su misura”.

Uso quest’ultima citazione dal pezzo di Jason Wilson perché ciò che non ho riportato del suo pezzo è una interessante riflessione sull’informazione del vino. Una riflessione amara che mi ha fatto rimbalzare pensieri in testa come fossero palline di obiezioni e controbiezioni, che hanno finito per scivolare tutte nell’unico cinico buco dove dovevano finire: così è se vi pare e se non vi pare così è lo stesso.

Meme di Italian Wine Drunkposting

Meme di Italian Wine Drunkposting

… Ma alla fine c’è da indignarsi, stupirsi o sperare in altro?

Esistono tanti modi di fare giornalismo ma certo, perché tale possa chiamarsi, ogni tanto sarebbe opportuno che vi fossero di mezzo anche delle notizie. E invece se penso allo scenario italiano, contemplo rarissime – le dita di una mano sono in eccesso per contarle – eccezioni alla regola che fanculo le notizie! Chi vuole le notizie?

Ad una domanda del genere è difficile rispondere. Pensateci bene.

A chi frega qualcosa delle notizie? In teoria dovrebbero interessare il pubblico, nel caso del vino dovrebbero interessare innanzitutto i consumatori. Consumatori che in teoria avrebbero interesse ad essere informati di ciò che accade nel mondo del vino. Ed informati da fonti autorevoli e indipendenti (ed autorevoli perché indipendenti).

Ma esistono davvero questi consumatori interessati ad essere informati in modo indipendente? A volte, a sentire certe lamentele, sembrerebbe di sì. Verrebbe a volte quasi da illudersi che sia pieno di consumatori desiderosi di quella informazione seria, autorevole, imparziale e indipendente da perfezione platonica. Il problema è che quando si passa alla realtà, quest’ultima impone che affinché si possa avere un’informazione libera e indipendente, il giornalista libero e indipendente (che non è esentato dal pagamento della bolletta del gas) possa anch’egli campare.

Per poter ambire a tanto, il giornalista ha bisogno che l’aspirante lettore di giornalismo libero e indipendente versi il proprio piccolo contributo, che insieme a quelli di tanti altri gli permetteranno di vivere una vita agiata e magari di pagarsi ogni tanto anche l’avvocato.

Ecco, questo mondo non è il mondo in cui viviamo.

E il meme di Italian Wine Drunkposting coglie un aspetto della realtà, senza dubbio. Ma tenendo la stessa immagine, così potremmo modificare i testi: nella parte alta, “Lettori di notizie gratuite, ancorché commissionate da consorzi, pr o altro” e, nella parte bassa, “Lettori pronti a pagare per notizie degne di tal nome”.

Questa è l’acqua*

Se chi paga sono le aziende, c’è davvero da stupirsi se poi i media hanno loro come committente? No.
Se le aziende tirano fuori dei soldi, avendo esse come fine la massimizzazione del profitto, è perché ritengono quelle spese funzionali al proprio business.
Per questo, se pagano tanto per alcuni servizi, è perché ritengono utili quei servizi.
Se pagano meno per altri – accontentatevi del pranzo e di un paio di omaggi – è perché ritengono meno utili quei servizi.

Ma certo non le si può biasimare se non rientra tra i loro interessi quello di finanziare una stampa libera e indipendente.
Perché non è il loro compito.
A far quello dovrebbero essere altri.

Che non lo fanno.
E questa è l’acqua in cui nuotiamo da anni.
Che forse non è delle più limpide.
Ma ormai ci siamo talmente abituati che se per un attimo uno si distrae quasi gli sembra di vedere che… no, niente, era solo un’impressione.

PS: Finito di scrivere questo pezzo ho sottoscritto l’abbonamento annuale al sito di Jason Wilson.

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Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

128 Commenti

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Alberto

circa 2 anni fa - Link

In realtà il giornalismo indipendente avrebbe bisogno di editori... Questi, naturalmente, vorrebbero un ritorno economico. Il mercato dell'informazione del vino crea ritorno?
L'informazione a pagamento avrebbe pure un senso, ma - stante la qualità media dell'informazione - chi spenderebbe mai dei soldi, con il fondato sospetto di essere preso per il... fondello?
D'altronde il caso citato è esattamente di questa specie e cito: "Costruire un business sulla fiducia dei sottoscrittori e poi, SENZA DIR LORO NULLA, vendere i report agli operatori in anticipo rispetto alla pubblicazione, per me come critico è inconcepibile”.

Prima di prendersela con chi non vuole pagare, bisogna garantire che la merce in vendita non sia avariata...

Bisognerebbe che le aziende si rendessero conto che non ha alcun senso avere una informazione così deteriorata, che - ormai - chi compra il vino non ci crede più, che il passaparola ha ancora un peso enorme e che i veri "influencer" sono quelli che ci mettono la faccia e soprattutto i soldi...

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Caro Alberto,hai scritto un commento lucido, giusto, ben calibrato che coglie ancora più a fondo un nodo, forse quello decisivo, della questione. Un commento che integra il pezzo arricchendolo. Grazie.

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Antonio

circa 2 anni fa - Link

Esistono persone su ig, sui blog o altro che recensiscono vini in maniera onesta e sincera, Perchè non sono pagati da nessuno, e bevono vino che pagano con i loro soldi. Penso a@elsinawine e altri. Poi leggi riviste, guide, influencer o nomi autorevoli che fanno pubblicità ai vini. Come faccio a far loro credito? Quindi la domanda sorge spontanea. Un editore puó pubblicare sul vino rimanendo indipendente? La risposta è semplice, no. Perchè vive della pubblicità delle persone che recensisce

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...Antonio, hai scritto una cosa che ritengo straordinariamente ficcante e penetrante . Perchè trova una similitudine straordinaria con un "sistema di giudizio di Terza Parte" che ho sempre criticato in maniera quasi sanguinosa. Le Certificazioni di Sistema . Siano esse ISO , Certificazioni addirittura internazionali ( BRC - IFS ) , Ambientali ecc , ecc , ecc , ecc sono certificazioni che solo una "terza parte" , cioè gli enti certificatori , possono rilasciare dopo aver valutato la coerenza con modelli di riferimento inappuntabili ed inattaccabili : una forma di garanzia interaziendali che condiziona i rapporti commerciali fra le aziende . Ebbene , gli Enti di Terza parte sono tutti pagati dai committenti ... un sistema , quindi , drogato perchè tu puoi sceglierti, come azienda , l'Ente di Terza Parte che vuoi ... e vuoi che questo Ente non guardi con un occhio di riguardo chi ti sostiene economicamente? ... e questo dovrebbe essere l'esempio più eclatante di "indipendenza" ... Conosco aziende in catafascio strutturale ed organizzativo ( sono valutatore certificato e qualificato) che hanno più certificazioni che medaglie di un generale di Corpo D'Armata reduce da una guerra ...

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Samuele

circa 1 anno fa - Link

Esatto. E' pieno di esempi della stupidità di aziende che comprano i punteggi ma che non li meritano, e poi non vendono perché, guarda caso, i consumatori aprono e bevono ma non riscontrano quanto recensito. Un esempio è Luca Maroni, che è sul mercato delle recensioni da diversi decenni ma che dando punteggi alti ad aziende che non li meritavano ha perso ogni credibilità lui e le aziende sponsorizzanti. Oggi nessuno lo cita più a parte qualche supermercato per promuovere i suoi "vini" da battaglia.

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Ermezio

circa 2 anni fa - Link

Pezzo eccellente. Tommaso preciso

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Grazie prof!

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marcow

circa 2 anni fa - Link

È uno dei 10 articoli più importanti scritti su tutti i wine blog italiani negli ultimi 10 anni.
__
Gli spunti di riflessione sono moltissimi.
__
Secondo me, purtroppo, non cambierà di un millimetro la comunicazione e la critica eno-gastronomica italiana.
E, prima di tutto, perché non frega a nessuno che cambi.
E parlo, in primis, dei consumatori, dei bevitori che dovrebbero essere i più sensibili a voler un rinnovamento del sistema.
Quello che, ancora di più, mi ha meravigliato, frequentando i wine blog italiani, è che questa indifferenza colpisce anche la fascia alta degli appassionati, quelli, cioè, che sembrano i più preparati sul mondo del vino.

Complimenti, Tommaso C.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Grazie marcow!

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franco

circa 2 anni fa - Link

I consumatori interessati all'argomento sono solo i nerd appassionati, con diversi gradi.
La stragrande maggioranza dei consumatori di vino, azzardo, non sono appassionati.
Può essere?
Provocatoriamente chiedo: Se il mio business migliora e performa con pubblicità pagata-costruita e per qualcuno inutile, è un male?

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Franco, ognuno usa i termini a modo suo.
Io distinguo l'appassionato dal semplice bevitore.
Questo vale per tutti i settori. L'appassionato di bicicletta(ma si potrebbero fare altri mille esempi) dedica molto tempo alla sua passione e, in certi casi, ne è quasi ossessionato.
Sono d'accordo con lei(Franco le do del lei per evitare i fraintendimenti dell'altro dibattito) che si possono classificare gli appassionati distinguendoli in diverse categorie.
Per esempio Vinogodi è, per me, un appassiaato di fascia alta ma, contrariamente a quello che ho detto nel primo commento, ha espresso un commento denso di significati che condivido.
--
Sulla domanda rispondo che è più importante, secondo me, concentrarsi su quello che vogliamo noi consumatori bevitori di vino.
Il produttore che vuol superare in una classifica un collega o ricevere un punteggio più alto agendo in modo disonesto non lo rispetto.
Rispetto di più il produttore onesto e che non mente quando racconta ciò che fa
1 in vigna
2 in cantina.

Ma, poiché sappiamo come sono fatti gli uomini, io bevitore consumatore vorrei che ci fossero degli ESPERTI che mi dessero delle informazioni oneste sui vini che potrei acquistare.
È l'attività del critico, del recensore che scrive per il pubblico sui media.
È un'attività nobilissima purtroppo degradata e che va rinnovata(anche se molti sono gli ostacoli che il dibattito e l'articolo stanno evidenziando)
__
Franco la saluto sinceramente e cordialmente

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Invernomuto

circa 2 anni fa - Link

Purtroppo, in Italia come fuori, è più o meno così almeno da metà anni 00 (non posso parlare di prima perchè non lavoravo nel settore). L'unica fortuna è che oramai premi e voti alti non hanno più l'influenza e il peso commerciale di venti e passa anni fa (forse solo essere nei primi 5 dei Top 110 Wines di Wine Spectator può ancora far smuovere btl in Nordamerica, da noi poco meno di zero). Quindi sì, fa abbastanza schifo, ma non hanno più il potere di un tempo per cui se vuoi partecipi a questa giostra, altrimenti te ne sbatti.

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Filippo Ronco

circa 2 anni fa - Link

Approvo, promuovo e sottoscrivo.
Vergando anche con il sangue alla bisogna.

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franco

circa 2 anni fa - Link

bisognerebbe mettersi d'accordo su quanto agiata debba essere la tua vita di giornalista indipendente, posto che anche tu debba mangiare... yacht a Capri, oppure pandino nella periferia milanese?
Molto impegnativo... molto impegnativo anche non provocare un conflitto di interessi... a volte si fa peggio, o comunque si arriva a un punto morto, a ricercare a tutti i costi l'assenza del conflitto d'interessi.
Poi rimane che un conto è dichiararsi indipendente, altro è dimostrare di esserlo in ogni momento... mica facile neanche questo.
Bel pezzo, grazie Tommaso

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Cavolo franco, hai colto un refuso! Volevo scrivere "dignitosa" non "agiata". Lettore attento, hai colto subito la nota stonata!
Grazie per le tue parole!!

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franco

circa 2 anni fa - Link

Non cambia la sostanza del ragionamento...

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...mi unisco al coro di complimenti a Tommaso perchè è un vero esempio di articolo di giornalismo d'inchiesta , come se ne leggono pochi , nel campo specifico. Senz'altro tocca nervi scoperti di tanti e mette in luce una realtà risaputa ma che in pochi hanno il coraggio di sottolineare , soprattutto chi "ci campa" . Purtroppo, ma è magra consolazione, "non siamo soli nell'universo" e il capzioso e prezzolato naviga indisturbato in ogni campo . D'altronde, il critico enologico è considerato una specie di "consulente alla spesa" , alla stregua di un promotore finanziario : ti "guida" verso una distrazione di risorsa verso un bene non sempre accostato con competenza o pertinenza culturale, per cui la fiducia diventa un obbligo e una necessità per un ampio strato di popolazione ... fiducia, come si sottintende anche dall'evidenza dell'articolo , solitamente mal riposta.
Gli spunti e le considerazioni che si sono aggiunte hanno dato ulteriore spessore , come la necessità di creare indipendenza dove l'indipendenza è legata esclusivamente ad un riconoscimento economico , diretto ( emolumento) o indiretto ( bonus e benefit che un posizionamento adeguato permette) . Triste è che per avere oggi queste condizioni di indipendenza ... si debba fare un altro mestiere , perchè la passione non è sufficiente , soprattutto se tieni famiglia .
Purtroppo, e dico purtroppo e poi mi taccio, questa che è una sensazione generalizzata , avendo ulteriore e tristissimo conforto di chi è stato parte integrante di questi meccanismi ed ha scelto altre strade a furia di consumarsi le narici per eccesso di tappamento di naso .
Faccio , ahimè, grande parallelismo con la politica , catarsi del servizio pubblico per eccellenza . E della stampa che la sostiene . Chissà non si arrivi ai partiti "naturali" o "biodinamici" ...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 anni fa - Link

Articolo documentato, come usuale per l'autore. Purtroppo il problema non è nuovo, è comune ad ogni settore (auto, calciatori, ristoranti e via così) ed è stato oggetto di dossier dettagliati di denuncia da quando esiste la stampa. Senza che, per quanto ne so, sia stato trovato un rimedio. Forse la libertà di stampa non consiste nell'assenza di giudizi laudativi pagati, che non credo sia raggiungibile, ma nella possibilità da parte del lettore di scegliere le testate più affidabili tra tante. Forse questa è una utopia, però faccio presente che alcuni dei più spudorati (non faccio nomi per evitare denunce, ma si conoscono bene) sono spariti e nessuno se li fila più.

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Gianpaolo

circa 2 anni fa - Link

Ma ce ne sono tanti di spudorati, se ci pensi, che invece hanno un successo sorprendente!

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Samuele

circa 1 anno fa - Link

Sono spariti pochi spudorati che pensavano che il consumatore non capisce nulla mentre loro erano l'élite. Quando ti metti sul piedestallo sei tu quello che paga. Luca Maroni è l'esempio più classico, aveva il potenziale di diventare leader sul mercato dell'editoria delle recensioni ma oggi nessuno se lo fila più.

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IWDP

circa 2 anni fa - Link

Un sentito ringraziamento a Tommaso per avere ripreso uno degli ultimi meme di IWDP. Il problema dimostra di essere attuale anche qui in Italia con diverse situazioni: - Il caso Gambero vs Sangiorgi ha scoperchiato il vaso di Pandora
- Le guide non si sostentano senza roadshow e iscrizioni a pagamento da parte delle cantine che vogliono farsi recensire i vini. Immaginatevi una cosa del genere per la ristorazione...
- L'Espresso pensa di guadagnare in autorevolezza e indipendenza chiamando a gestire la baracca uno che già oggi, al tempo stesso, recensisce i vini di cantine e consorzi di cui è consulente o brand ambassador.

Che fare?

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weareblind

circa 2 anni fa - Link

Nuova puntata please.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...ho letto in qualche citazione , e nel dipanarsi della discussione , bellissimi concetti , quali "conflitto di interessi" , ma anche un ribadire "indipendenza" , comunicazione, "servizio pubblico" che sembrano quasi in contrapposizione a "servizio privato" , managerialità (qualcuno pensa ... cosa centra? ... centra , centra...) , onestà intellettuale . Nel vino tutto ciò non è semplice da applicare per a) soggettività del giudizio b) frazionamento del bene preso in oggetto c) complessità del substrato ... cosa centra la managerialità o il frazionamento e complessità del substrato? Tento di spiegarlo : I più "tentati" in una organizzazione articolata sono i direttori acquisti , che devono fare delle scelte importanti che spostano buona parte delle risorse aziendali su pochi fornitori ... guarda caso , sono fra i manager più pagati , un motivo ci sarà ... l'articolazione e frazionamento del bene di consumo , relativamente al giudizio, comporta non sempre una operazione di " segnalazione" , ma anche di "omissione" : su milioni di articoli , che non posso giudicare in toto, la selezione ad alto livello la posso indirizzare ... in base a cosa? Boh , vedete voi ... poi La Tache e Monfortino avranno grandi giudizi a prescindere se qualcuno li assaggia per davvero , difficile sbagliarsi...

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Ruggero

circa 2 anni fa - Link

Primo Postulato: La critica enogastronomica è bugia. Secondo Postulato: il giudizio del critico è vero solo per coincidenza. Terzo Postulato: l'assaggio personale è il solo che conta.

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Franca

circa 2 anni fa - Link

Bellissimo articolo, ottimo esempio di giornalismo

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Salvo

circa 2 anni fa - Link

Ottima ricostruzione!! Bravissimo

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DePisis

circa 2 anni fa - Link

Funziona come segue.
01. Vinous: sono molto preparati, mediamente molto di più dei giornalisti delle guide italiane, come del resto vale per i redattori delle maggiori riviste anglosassoni, salvo eccezioni. Vedi punto 5;
02. Vinous: se gli scrivi e gli chiedi di potergli inviare i campioni, al netto che devi farglieli arrivare già sdoganati come per qualsiasi altra rivista o giornalista negli USA, se valutano interessante il tuo vino e la tua presentazione, accettano volentieri di assaggiare e valutarti gratuitamente. Poi se è un vino di denominazione, ti tocca attendere il report successivo, quindi la campionatura te la recensiscono anche dopo svariati mesi, all'interno del report sulla denominazione, mentre se sono vini diciamo fuori dalle denominazioni principali che ottengono report ad hoc, te li recensiscono negli articoli miscellanei. Certo se gli vuoi dare un vino senza territorio, senza distribuzione negli USA, ma che magari è al massimo in qualche canale di vini naturali in Italia... possibile che non ti si filino perché non le reputano così rilevante per il loro pubblico;
03. Mediamente è decisamente più facile farsi recensire da Vinous che da Wine Advocate, Wine Enthusiast o Wine Spectator.
04. La storia del "paga per" è un pacchetto di servizi aggiuntivi creati per le agenzie di PR (italiane in particolare) che pressano Vinous perché i vini più disparati o da sottozone più oscure vengano recensiti. Queste agenzie poi, spesso, chiedono una quota a ciascuno dei propri produttori interessati - che solitamente sono proprio quelli per i quali i consorzi (o da soli) non riescono ad attrarre riviste come Vinous - al fine di raggiungere tale quota. Quindi le agenzie di PR non ci investono granché: sono i produttori che spendono un extra rispetto a quanto già danno alle agenzie di PR (che magari chiedono articoli anche a qualche redattore di Intravino, come è giusto che sia. Ciò non garantisce punteggi più alti, anzi, so di produttori che hanno preso bastonate ugualmente (e lo stesso accade con James Suckling, che è ancor più random visto che non vi scrive solo lui e chi è per lui in Italia non pare così regolare di criterio...).
05. Un articolo su Intravino, come un premio di Gambero, Slow, AIS, Bibenda, Veronelli, Dr Wine etc serve relativamente. O diciamo che il più delle volte non serve a nient'altro che all'ego del produttore. Zero quindi. Invece un buon punteggio su Vinous o le altre riviste menzionate, con in più poche altre quali Suckling, Falstaff, Jancis Robinson, Decanter, Wine & Spirits, se lo sai usare, ti permette di vendere o far vendere molto vino. E quindi accrescere il tuo brand nei mercati dove tali riviste sono più popolari e seguite, ma anche in Italia. E non solo per i 100/100. Parliamo dai 93-94 in su. E per un vino base anche meno.
Forse è su questo ultimo punto che la stampa italiana (e anche francese) si dovrebbe fare delle domande, soprattutto se - sbagliando - giornalisti e blogger pensano di saperne più di gente come Antonio Galloni, Monica Larner, Kerin O' Keefe, Bruce Sanderson, James Suckling, Ian D'Agata, Jancis Robinson, Julia Harding per nominarne alcuni dei più noti. La volpe e l'uva.

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Invernomuto

circa 2 anni fa - Link

Chapeau, finalmente qualcuno che parla sapendo come funzionano realmente queste riviste. Unica cosa su cui non concordo: in Italia prendere 93 in su sulle citate riviste in pratica ha utilità zero per il fatturato, a meno che il vino recensito provenga da un areale "popular" o sia un acclamato campione già di suo (ma anche li dipende sempre dalla zona). In Nordamerica buoni voti su le riviste da te citate (o in Germania-Austria - Svizzera con Falstaff) di sicuro fa bene, ma non smuove numeri enormi, a meno che il vino/produttore non faccia parte delle categorie descritte da me poco sopra. Ripeto, forse solo essere nelle prime 5 posizioni sulla classifica dei Top 100 di Wine Spectator a qualcosa serve in termini di vendite.

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Ciro

circa 2 anni fa - Link

Però è giusto che alcuni di questi possano fare insider trading?

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Samuele

circa 1 anno fa - Link

Su decanter non appari se non sono loro a cercarti, ma comunque devi pagare 200 sterline per ogni vino recensito. Galloni recensisce i vini importati negli USA perché è sponsorizzato dagli importatori. La Larner.... vabbè, lasciamo stare. Eccetera. Un'azienda vinicola deve produrre alta qualità per rendersi forte e non "farsi fare" dalle riviste vinicole. O pagare solo se merita un eventuale buona recensione, perché se non la merita danneggia se stessa.

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DePisis

circa 2 anni fa - Link

Aggiungo semmai una riflessione. Le agenzie PR italiane possono fare il loro gioco su territorio italiano, quando ci sono eventi organizzati per i consorzi, o quando riescono a invitare a qualche pranzo per la stampa dei giornalisti e influencer italiani. Le stesse agenzie PR faticano molto di più a farsi ascoltare dalla stampa internazionale che conta, proprio perché è più indipendente e non si fa indottrinare da nessuno. E non facilmente risponde al produttore emergente di turno che quindi si affida a tali agenzie per arrivarci. Come detto, tali agenzie PR ribaltano costi extra come questo di Vinous ai produttori, sopra quindi la loro quota prestabilita. Semmai dovreste aiutare produttori e consorzi a questionare il valore del lavoro di tali agenzie fuori dai confini nazionali. --- Curioso il caso di una giornalista europea di stanza in Toscana, pure molto brava e simpatica, ma che nel suo paese è quasi sconosciuta dagli operatori e dal pubblico appassionato. Qui però la si manda in giro a destra e a sinistra come fosse in qualche modo la firma per eccellenza per quel paese. Beata lei. --- Non passi il messaggio che si paga per essere ben recensiti da Vinous o da altre riviste straniere importanti perché non è assolutamente vero. I giornalisti nominati in precedenza si affidano spesso ai consorzi o agli organizzatori di eventi importanti (recentemente vi è stato Campania Stories, per esempio) per richiedere campionature da consegnare presso la sede del consorzio di turno o l'abitazione in Italia del giornalista. Durante il Covid, sono partiti anche molti campioni per gli USA, con un trasportatore specializzato toscano che si è occupato dello sdoganamento. Poi se ti recensiscono i vini, bene o male, lo hai fatto alla sola spesa delle bottiglie e dell'eventuale costo di spedizione. Capisco che chi è fuori dai radar si affidi ad agenzie PR che fanno il loro lavoro, o provano a farlo, chiedendo di essere prese in considerazione per i vini che hanno da presentare.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...CITO DEPISIS : " Funziona come segue. 01. Vinous: sono molto preparati, mediamente molto di più dei giornalisti delle guide italiane, come del resto vale per i redattori delle maggiori riviste anglosassoni, salvo eccezioni."
RISPONDO premettendo , a differenza della perentoria affermazione in citazione , che è una mia opinione personalissima: Nel mondo del vino , che frequento da quando sono nato ... e forse prima , ho imparato a non avere certezze , quindi ammiro fortemente chi ha la sicumera, più che sicurezza , di avere una verità in tasca come palesa l'affermazione di cui sopra. Né posso rispondere , perchè conosco tanti critici in Italia ma non quelli di Vinous. Però mi sembra , a naso , una boutade e non una verità oggettiva . Credo nella critica indipendente e di servizio , anche se difficile ottenerla , ma solo perchè non ci sono le condizioni per favorirla. Ci fosse un editore illuminato appassionato , si circonderebbe dei migliori e farebbe una guida con i controca**i , retribuendoli il giusto , perchè di guide serie c'è ancora bisogno , che siano cartacee o informatiche. Non è perchè è in crisi l'editoria su carta che personalmente non leggo più libri o quotidiani o mi piace leggere e discettere di vino. Inoltre sono fortunato , anzi , fortunatissimo : conosco appassionati che per censo (che ci vuole) , talento ( veri gascromatografi umani , con quantità e qualità di bevute inimmaginabili) e bravura ne sanno più dei Antonio Galloni, Monica Larner, Kerin O' Keefe, Bruce Sanderson, James Suckling, Ian D'Agata, Jancis Robinson, Julia Harding ma non gliene frega un "beep" di fare il mestiere di critico perchè hanno attività imprenditoriali ben più remunerative ... PS: sembra quest'ultima una affermazione piuttosto perentoria? ...diciamo che mi adeguo...

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Sul CHE FARE? di IWDP di cui condivido il commento specialmente sulle ultime vicende dell'Espresso.
______
1- È un po' difficile da realizzare, poco realistica ma c'è un esempio che vorrei immettere nel dibattito.
Premetto che non sono un seguace di questa TV. Parlo di Byoblu. Ebbene senza il contributo volontario di migliaia di ascoltatori non potrebbe esistere.
Perché non farlo con un wine blog?

2- Ci sono cose da fare semplici che non richiedono investimenti.
A) Adottare il metodo di degustazione alla cieca che aumenta la credibilità(anche se non garantisce al 100 %) delle recensioni.
B) Evitare tutta una serie di comportamenti che possono mettere a rischio l'indipendenza e la credibilità di chi recensisce(v il commento di IWDP e altri)

Su questo punto riprendo il commento di DePisis che è una grande lode di Vinous e di Galloni. Attenzione, io non conosco questi ambienti come sembra DePisis quindi mi limito a soffermarmi su un punto da lui riportato.(Su cosa dice Wilson di Vinous e Galloni leggete l'articolo) Sul fatto di ricevere dei campioni.
Su questo mi ero già espresso:
il vino va acquistato anonimamente.
E qui rientra il discorso dei costi sui quali ho tentato di proporre, nel primo punto, un'ipotesi che obiettivamente è poco realistica.

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Omikelet

circa 2 anni fa - Link

Non se ne esce fuori perché 1) chi fa le guide a pagamento perché così giustifica la “qualità” poi si fa pagare le marchette dalle cantine e diventa inattendibile; 2) chi fa la critica gratis magari lavora su Instagram dove genera comunque profitto con le interazioni (e quindi deve sottostare a meccanismi di feedback che premiano nomi o tag che attirano più utenti) e magari è pilotabile comunque nelle sue scelte dalle aziende con regalie sottobanco. Mi viene da dire che l’unico modo di avere una guida attendibile è darla in mano a un editore serio che però la mantiene per hobby, avendo i profitti da in altra parte… in pratica al mondo dell’informazione del vino servirebbero i mecenati?

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Quella di Omikelet e di Vinogodi può essere una soluzione ottima ma se finora nessun mecenate (appassionato di vino) (e con tanti soldi) (e che si vuol anche divertire in questo modo intelligente) sia uscito dall'ombra per creare un nuovo gruppo editoriale che fa dell'INDIPENDENZA la sua bandiera significa che anche questa proposta è poco realistica.

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Lanegano

circa 2 anni fa - Link

Continuate così, nessun altro scrive queste cose. Da inguaribile appassionato di Champagne mi piacerebbe che qualcuno scoperchiasse qualche magagna anche lì....

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DePisis

circa 2 anni fa - Link

Non può passare il messaggio che Vinous o Wine Advocate o Wine Spectator etc. sono dei venduti, perché sono riviste serie, molto meglio di tanta stampa italiana (e vinogodi, stacci al tavolo con Monica Larner, poi vedi se ne sa più o meno dei tuoi amici). Qui la questione che pone questo ex editor di Vinous riguarda i servizi extra che Vinous offre alle agenzie PR che candidano aziende di territori oscuri o comunque che apparentemente sono poco rilevanti a livello editoriale per la redazione del magazine. Se queste agenzie PR spingono per ottenere visibilità per qualcosa che altrimenti non sarebbe presa in considerazione, allora paghi e ti recensiscono, e non è affatto detto - questo è importante - che ti diano voti alti. Ho conosciuto aziende che hanno preso legnate tra i denti, anche da Suckling o da Wine Spectator, che pure avevano l'agenzia di PR. Invece aziende di denominazioni più note, non solo non pagano, ma non hanno bisogno del filtro dell'agenzia PR per farsi recensire. Basta partecipare alle attività dei consorzi. D'altronde non ho ancora visto Andrea Gori o Romanelli fare report sulle anteprime del Rosso Piceno o del Cesanese del Piglio. La stampa italiana si deve domandare cosa ha sbagliato e continua a sbagliare per far sì che un James Suckling qualunque - si fa per dire - abbia più rilevanza di loro tutti messi assieme. Questo è il punto di partenza.

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Andrea

circa 2 anni fa - Link

Okay, diciamo che hai denudato il re. Sul fatto che un punteggio straordinario di tutte le nostre guide nostrane messe insieme sul mercato internazionale non sposti neanche lontanamente quanto uno singolo dei mostri di cui sopra non ci piove. E attenzione perché in Francia la situazione è abbastanza simile. Mi trovo con B+D quasi sempre, e con rvf abbastanza, lasciamo stare gli altri. Ma fuori dall' Esagono non contano nulla. E così il vino quasi base di Chapoutier che prende 13,5-14/20 per gli altri nominati è variabilmente sopra i 90. Ecco forse la Robinson a questi marchettoni si presta un po' meno. Dopodiché invita alla riflessione che cose veramente sfacciate sul vino Italiano ce ne siano abbastanza poche mentre in quello francese per quel che ho provato molte di più.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

DePisis, con la sua sicurezza e abilità comunicativa, mi ha un po' confuso le idee. Come ho detto, non ho dimestichezza con gli argomenti in cui DePisis si muove come uno che, invece, li conosce bene. E questo, sul piano della comunicazione, lo rende forte: tanto è vero che nessuno ha finora replicato. E ha ricevuto apprezzamenti. Praticamente le parole di Jason Wilson sono state fortemente ridimensionate da DePisis mentre sono stati esaltati Vinous, e Galloni. Ai quali ha aggiunto Parker e altre famose riviste a livello mondiale. ____ Allora sono andato a leggermi l'intero articolo di Jason Wilson e qualche articolo sul web su Parker, che comunque conoscevo, e Suckling. Jason, nel suo articolo, non nasconde la controversia personale con Galloni che lo ha portato a uscire da Vinous. Ed è ricco di particolari. Questo potrebbe fare pensare che tutto quello che scrive nasca dal risentimento personale. Ma un'attenta lettura di TUTTO il suo articolo mi ha spinto a dare valore alle opinioni che sostiene e la fine del rapporto di lavoro con Vinous è stata soltanto l'occasione per trovare il coraggio per parlare di argomenti scomodi. Ci sono fatti precisi descritti da Wilson che rafforzano le sue tesi. Questo è tutto. Non sono in grado di contrastare con altre argomentazioni i discorsi di DePisis per i limiti che vi ho detto. Mi piace concludere con queste parole di Jason Wilson: "All of this suggests that a lot of wine media and many in the wine industry don’t have much respect for the consumers who pay to read their publications. Maybe, back in Robert Parker’s heyday, in the 1980s and 1990s, you could say that wine magazines were reader-supported consumer advocates. That doesn’t seem to be the case anymore. Follow the money. Scores drive distributors and retailers to stock the selections you’ll end up buying at your local store. Scores are more important than readers” (Jason Wilson)

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franco

circa 2 anni fa - Link

ho timidamente domandato, sullo spunto di uno degli abbonati a vinous menzionato nell'articolo, se qualcuno fra i citati non sia responsabile di insider trading, data la posizione in cui si trova...

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Gianpaolo

circa 2 anni fa - Link

Quello che dice Wilson alla fine è interessante e apre molti spunti (segui i soldi), però in qualche modo si contraddice (i lettori non contano, contano solo i voti). La parte interessante è che il mercato americano ha un altro attore, che manca in altri paesi in quella forma, ovvero il distributore. Per via del cosiddetto Three Tiers system in quasi tutti gli stati US il mercato è controllato da distributori dalla forza economica che in Italia non esiste (più grosso in Italia Meregalli, €80m, che è il fatturato di un medio-piccolo in US). Però senza lettori non ci sarebbe leverage e quindi business per le riviste.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Aggiungo che, per me, le abilità di Andrea Gori e di Leonardo Romanelli sono fuori discussione.

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Lorenzo

circa 2 anni fa - Link

È pubblicità, e come tutte le pubblicità si paga, è stato sempre cosi anche in molti casi in Italia-
Negli Stati Uniti un buon punteggio attribuito da una testata rispettata può muovere migliaia di casse nella grande distribuzione. In Italia sono più magnoni, scrocconi e arroganti ma non avranno mai il potere sul mercato come lo hanno negli Stati Uniti-

I consorzi e le aziende italiane li hanno finanziati da anni investendo centinaia di migliaia di euro di fondi europei ocm basti guardare quante sono le pubblicità seguite da redazionali con il logo ocm -
non mi piacciono ma , fino a quando troveranno produttori, consorzi o enti che li supporteranno pagando fior di quattrini perché dovrebbero smettere? È comunicazione

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Gianluca Bianucci

circa 2 anni fa - Link

Mi stupisce che l’Autore si stupisca di una pratica che è comune al mondo del vino e a quello della ristorazione e che anzi quest’ultimo ha fatto da battistrada.

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Paolo

circa 2 anni fa - Link

Il battistrada di questo complesso intreccio, storicamente, è quello del settore moda. Non quello della ristorazione.
Per quanto riguarda la domanda di Franco, sullapossibilità di insider trading, mi sembra che siamo fuori contesto. L'insider attiva gli sforzi su altre dimensioni economiche (fatturati), quelli finanziari, di diversi ordini di grandezza superiori a qualunque global trading.

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franco

circa 2 anni fa - Link

Però di fatto questi soggetti sono in possesso di informazioni che hanno effetto sulle quotazioni... mi riferisco al servizio per fare vedere i giudizi sui vini 48h in anticipo, di cui lamentava un abbonato citato nell'articolo del Wilson: “You are helping the wine trade to maximize their profits by adjusting wine prices before the reviews are visible for the other paying customers; this will all be at the expense of the end customer,” wrote one angry reader. “So you are basically picking the wine trade over your end customer.”. Potenzialmente un trader in possesso di info non ancora rilasciate ha la possibilità di guadagnare di più di quello che decide di comprare una volta diffuse le informazioni. Non saprei che nome dargli... di certo questi soggetti hanno la possibilità di smuovere le quotazioni in un mercato, anche se piccolo. Lei cosa direbbe a proposito della citazione dell'articolo sopra-riportata? Grazie

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Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

Il vantaggio di chi conosce i punteggi 48h prima sarebbe quello di accaparrarsi quante piu` bottiglie possibili (se reputa che i punteggi siano meritevoli al punto da scatenare una "corsa all'acquisto") per poi rivenderle quando i prezzi saranno lievitati?
Secondo me il punto saliente, lo dici anche tu, e' proprio la dimensione del mercato in cui avvengono queste pratiche diciamo non proprio virtuose.
Trattandosi non delle denominazioni importanti e conosciute e cmq del fatto che, in questo caso, bisogna fare compravendita di bottiglie fisiche perche` gli strumenti finanziari esistono solo per le denominazioni top, ecco per me si tratta di un fenomeno poco rilevante.
Diciamo che conoscere i punteggi di qualche vino con 48h di anticipo non e` come conoscere i tweet di Elon Musk con lo stesso anticipo ;-)
Buona giornata a tutti

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Anche io credo che il problema non sia tanto quello di un possibile insider trading...anche se in effetti come chiave per spingere il servizio strizza un po' l'occhio al "ti do 48h di anticipo su una notizia che può incidere su un prezzo".
Io credo che però una scelta del genere lasci una brutta sensazione agli abbonati di Vinous che non hanno quel tipo di interessi speculativi, diciamo così. Ed infatti l'affaire 48h in Advance è diventato oggetto di un ampio dibattito su forum e siti dedicati e ha portato ad un declino sensibile (così pare al guardare i dati) delle visite a Vinous. Ma non anticipo troppo, perché mi piacerebbe tornare sull'argomento con un pezzo ad hoc.

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franco

circa 2 anni fa - Link

certo parliamo solo di un mercato da almeno 300 miliardi/anno di volume... bruscolini, come gli F35. Poi, il fatto che non sia rilevante perchè avviene in un mercato relativamente più piccolo, non assolve/non deve assolvere chi adotta queste pratiche. Cioè mi state dicendo che: si d'accordo sta sbagliando perchè adotta pratiche poco limpide, però c'è chi fa peggio... dai ragaz

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Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

Tanto la dimensione di questa questa "nicchia" quanto la difficolta' di fare compravendita speculativa pensavo bastasse a rendere il fenomeno poco significativo (non stiamo parlando delle grandi D.O e dei nomi top) pero' nella mia analisi dimenticavo com'e` strutturato il mercato estero, anglosassone e asiatico in particolare. In effetti l'intermediario, se a conoscenza del punteggio in anticipo, puo` "aggiustare" il prezzo del suo listino ricavandoci un guadagno extra su questo avete ragione. Ma avverra` davvero cosi`? Di sicuro concordo con Tommaso sulla sensazione poco bella che viene data

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Aggiornaci perché è interessate sapere cosa succede nei dibattiti all'estero

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Sapete che questo tema, proprio questo tema relativo alla possibilità di insider trading, è stato molto dibattuto proprio sul forum di Vinous e su altri dove si discuteva proprio di questo topic? ... secondo me qui c'è materiale per tornarci con un articolo.

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gummenome

circa 2 anni fa - Link

E poi c’è l’enorme problema che le bottiglie inviate in degustazione sono ‘preparate’ Visto coi miei occhi una barrique ‘speciale’ che serviva ad affinare le bottiglie da mandare alle guide. Inutile combattere coi mulini a vento

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Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

questa cosa mi ha sempre incuriosito... a meta' tra leggenda e pratica comune io (da esterno al mondo professionale del vino) non sono mai riuscito a capire quanto sia diffusa. Mi piacerebbe avere qualche vostro parere in merito. Buona giornata a tutti

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Gianpaolo

circa 2 anni fa - Link

Sono quasi in tutto d'accordo con DePisis. Sulla critica italiana o estera, più che parlare di preparazione o meno, parlerei più di rilevanza. Un critico è importante per un produttore tanto quanto è rilevante nel suo mercato di riferimento. Ci sono fior di critici in Italia, li conoscete tutti, ma hanno rilevanza solo per il mercato italiano. Lo stesso vale per i Francesi e quelli di lingua tedesca. Con il limite che nei paesi produttori di vino l'acquisto è generalmente meno mediato e influenzato dalla stampa. Questo è il motivo per cui i critici di lingua inglese e soprattutto americani (per l'influenza dei critici UK al di fuori del loro mercato andrebbero fatti parecchi distinguo) sono importanti per i produttori italiani e francesi, perché aprono le porte, o le chiudono, al mercato più importante e lucrativo del mondo per il vino, in particolare per quello italiano. Per quanto riguarda l'Asia, non essendo emersi ancora critici locali di solida reputazione (e andando a vedere le cose sono ancora meno trasparenti lì dal punto di vista dell'integrità), si fa riferimento alla critica anglosassone, e soprattutto americana. Non è una questione nemmeno di scrivere le recensioni in lingua inglese, è una questione di affinità culturale: il consumatore americano si affida al critico (o quantomeno alla pubblicazione) americano. Altra considerazione è che i produttori generalmente non sono interessati all'informazione, ma solo a vendere, e quindi non li si può biasimare se perseguono quella strada. Il pubblico dovrebbe essere quello che decide su chi è rilevante e credibile per lui, e al grosso di episodi più o meno opachi, direi che ha deciso chi seguire.

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Gianpaolo

circa 2 anni fa - Link

Ultima postilla: a fare la differenza sul mercato, difficilmente è il singolo voto. Quello può servire per accendere un faro sul produttore, ma la differenza la fa lo consistenza nelle annate e un consenso orizzontale nella stampa. È questo è un po' più difficile da manovrare.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Queste mi sembrano notazioni condivisibili. Perché parlare di rilevanza - per le ragioni rilevate - mi pare appropriato. Parlare di preparazione mi pare poco appropriato.

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Mattia Grazioli

circa 2 anni fa - Link

Caro Tommaso…
Tu ed io siamo mossi da passione.
Abbiamo un lavoro che ci piace e ci da da mangiare e abbiamo un hobby remunerato nel vino.
Nel mio percorso sono inciampato più volte in professionisti a cui piaceva quello che stavano bevendo ma non ci vedevano business…
È un mondo fantastico, pieno di preconcetti, dove se non sei di un certo punto del mondo, spinto da media e/o politica, non sei nessuno.
Sarebbe bello se si riuscisse a misurare la felicità senza descrivere nemmeno il vino. La descrizione sarebbe puramente soggettiva e lasciata ai consumatori.
C’è uno spin off di intravino che fa un lavoro del genere, no? Io spingerei…

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Giampaolo: "Il pubblico dovrebbe essere quello che decide su chi è rilevante e credibile per lui, e al grosso di episodi più o meno opachi, direi che ha deciso chi seguire" __ Concordo e, chiaramente, ognuno avrà un suo CRITERIO PERSONALE di Valutazione dei Critici e Recensori che scrivono sui Media per il Pubblico. Se parlo spesso di RINNOVAMENTO della Critica Italiana ci saranno dei motivi. __ Lei ha spiegato perché i Critici di lingua inglese hanno un forte potere di influenzare le scelte dei consumatori e di orientare il mercato del vino. Vedi Parker e Altri menzionati. Ma quello che non è stato dimostrato è che questi Critici, grandi e potenti nell'influenzare i mercati, siano I MIGLIORI del mondo. Nel senso 1 delle Abilità Degustative. 2 dell'INDIPENDENZA Chiaramente per lei, come per DePisis, Wilson non è da prendere in seria considerazione. Ma la Parabola di Parker dovrebbe fare riflettere chi si spella le mani per i Critici di Lingua Anglosassone. Possiamo tranquillamente parlare di DANNI COLLATERALI ENORMI provocati dai decenni di DOMINIO COMUNICATIVO di Parker da cui il mondo del vino sta uscendo imboccando nuove vie. E dopo che sappiamo come è andata a finire ...stiamo ancora a glorificare Parker e i suoi epigoni?

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Gianpaolo

circa 2 anni fa - Link

Quello di cui parlavo infatti non e' ne' competenza, preparazione o integrita', ma semplicemente rilevanza. La rilevanza e' l'unico criterio che conta perche' un critico abbia successo, ed e' come la fama, o sei famoso o non lo sei. Perche' questo avvenga si dovrebbe sperare che c'entrino anche le doti di cui sopra, ma non e' detto. Parker ha avuto successo ed e' stato capace di influenzare il mercato esattamente perche' e' stato rilevante per il suo pubblico. Non credo che in origine avesse l'intenzione di influenzare le decisioni dei produttori su come fare il vino, semmai sono stati loro a voler accedere a quel mercato (estremamente lucrativo per alcuni) e a modificare i loro stile di conseguenza.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Gianpaolo, raffinata e interessante replica.
Ma che non condivido totalmente
__
Gianpaolo
13 settembre 2022
Ma ce ne sono tanti di spudorati, se ci pensi, che invece hanno un successo sorprendente!

Giampaolo non so se lei è lo stesso di questo commento.
Ebbene, su questo concordo.
Ma non posso fare di i nomi di due spudorati famosi che tutti conoscono.
Ora se andiamo a vedere le classifiche o le recensioni di questi 2 critici ci sono anche locali che meritano di stare in una classifica ma quello che non quadra è la posizione all'interno della classifica o l'esclusione di locali che sono fuori dalla classifica e che meriterebbero di starci.
E lo fanno spudoratamente.

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Gianpaolo

circa 2 anni fa - Link

È vero (ed ero sempre io), e anche io faccio fatica a spiegarmi il perché. Ma per rimanere alla stessa analogia, spesso non mi spiego perché uno sia famoso. Diciamo che ci sono alcuni che sono molto bravi a vendersi presso il loro pubblico, ma ormai io in quanto boomer mi devo abituare al fatto che tante cose non le capisco più.

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Giuseppe

circa 2 anni fa - Link

il signore in questione, a mio modesto avviso, ha anche grandissimi meriti nell'aver portato sotto i riflettori mondiali il mondo del vino delle guide e annessi e connessi.
E, ultimamente, viene quasi sempre citato con connotazioni negative, spesso esagerate (come lo erano le lodi in passato del resto)

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 anni fa - Link

Temo di conoscere piuttosto bene, di persona e da una vita tutti i più importanti critici giornalistici di vino italiani e stranieri. Mi sono seduto a tavola con Monica Larner, svariate volte, e anche con James Suckling, Burton Anderson e tutti loro. Personalmente tutta questa differenza nella capacità di valutare un vino non la vedo, sono tutti molto bravi e professionali esattamente come molti giornalisti italiani. La differenza sta nel "peso", i giornalisti stranieri che cita scrivono su grandi riviste distribuite straordinariamente bene e lette da un numero enorme di lettori. La differenza sta nel modello editoriale, in Italia ci siamo concentrati sul nostro ombelico e le nostre riviste si sono sempre limitate al micro-mondo vinicolo nazionale, mentre i grandi giornali parlano di tutti i vini del mondo e, ovviamente, interessano un numero enormemente più ampio di lettori. Forse a suo tempo abbiamo perso una occasione d'oro, non abbiamo evoluto quando era possibile una stampa meno iper-specializzata e più aperta al mondo. Naturalmente per tutti questi vale in potenza il discorso di Ciuffoletti, competenza professionale non vuol dire necessariamente correttezza.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Questa lettura mi trova molto più concorde di quanto letto sopra.

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DePisis

circa 2 anni fa - Link

Io trovo verosimile che Galloni abbia voluto rivedere i punteggi dati da questo Jason Wilson ad alcuni vini importati da Polaner (signor importatore, che sicuramente non ha bisogno di pagare per il servizio extra che invece ripeto, è rivolto principalmente alle agenzie PR, alle aziende più corporative, non certo ai produttori medio piccoli del catalogo di Polaner dove per dire figura per dire anche un Muraje, mi pare), che magari può aver fatto notare a Galloni "hey, ma sicuro che questo ci capisce qualcosa?". Riassaggiando, Galloni ha cambiato voti ma eticamente ha lasciato i precedenti già pubblicati, che se fosse stato in malafede avrebbe facilmente potuto cancellare dal sito. Per altro per molti anni su Vinous ha scritto di Italia un certo Ian D'Agata, una delle persone più preparate e incorruttibili del mondo del vino. Ora c'è Eric Guido al suo posto, un ragazzo molto in gamba, che magari non può avere la stessa profondità e conoscenza dei territori di Ian, ma che tutto gli puoi dire meno che è un prezzolato. Anzi, ho amici che gli hanno scritto, da NON-denominazioni e con pochissima distribuzione in America, e lui si è reso disponibilissimo a valutare i vini, ovviamente gratuitamente. --- Il discorso dei soldi alle testate giornalistiche è vecchio quanto il cucco e questo articolo/post tocca la questione solo di lato, anche un po' ingenuamente. Sono i consorzi i primi peccatori. Ma sono gli stessi consorzi, assieme alle agenzie PR e ai produttori, a non far capire ai magazine (online e cartacei) italiani dove stanno i loro limiti, ovvero perché il loro servizio vale poco fondamentalmente. Ma ripeto, state sicuri che sono molto più indipendenti queste grandi riviste internazionali di quelle italiane. Soprattutto quando ad andare in giro sono blogger, influencer o giornalisti della domenica improvvisati che vengono invitati agli eventi di anteprime dei consorzi e degustazioni in azienda.

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Gianpaolo

circa 2 anni fa - Link

se guardi su Vinous gli assaggi di diversi critici dello stesso vino sono abbastanza frequenti. Basta vedere Bordeaux, dove il critico principale di Vinous e' Neil Martin, ma i vini spesso li assaggia anche Galloni e i loro punteggi sono spesso separati anche di diversi punti.

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Invernomuto

circa 2 anni fa - Link

COnfermo quanto scritto su Eric Guido, tecnico e assolutamente professionale (no foto, no social media durante le visite, zero chiacchiere, degustazione in silenzio, zero commenti, appena finito un cordiale saluto e arrivederci). Il problema sono i blogger e gli improvvisati, che hanno trasformato sto mondo nel circo Togni. In Italia, ma in parte anche nei mercati interessanti come USA e UK.

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BT

circa 2 anni fa - Link

il punto non é se pagando si ottiene la attenzione della prestogiosa rivista/critica/recensione.

il punto é se pagando si ottiene un giudizio influenzato e falsato dal pagamento.

depisis sostiene di no.

e io posso anche crederci.
(e del resto, dico io, se non fosse così succederebbe che uno compra un vino magnificato dal critico americano e poi lo beve trovandolo fiacco… alla lunga smette di credere alla rivista/critico).

lo dico perché odio moralismo e puritanesimo in qualunque ambito.

é ben possibile essere recensiti pagando (in sostanza si é visibili) ma non é possibile essere recensiti bene pagando.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Scusate, DePisis fa a pezzi Wilson e non c'è nessuno, che conosca almeno quanto lui gli ingranaggi della critica anglosassone, che ha da dire qualcosa? Ed è importante perché le tesi dell'articolo, che molti commentatori hanno apprezzato, sono articolate attorno alla vicenda di Wilson.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Beh, da quanto ho letto ho potuto trovare una serie di affermazioni perentorie. Esprimono un punto di vista piuttosto netto. Poi a supporto di quelle opinioni mi pare ci sia più la perentorietà dell'affermarle ("funziona come segue") che altro. Ma è comunque interessante. E del resto se la struttura (per dirla alla Marx) funziona è pure giusto e non ci trovo niente di strano, che ci sia chi sovrastrutturalmente argomenti a suo sostegno.

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DePisis

circa 2 anni fa - Link

Io ho l'abbonamento a Vinous (come anche di alcune altre riviste anglosassoni menzionate). Secondo me l'articolo parte con la sentenza già scritta - il titolo è già esaustivo - e senza aver approfondito abbastanza la propria tesi. Invece, per fare un articolo di questo tipo, che alza dei forti dubbi su una rivista enologica molto nota, mi aspetterei che l'autore avesse potuto leggerla. Invece pare di no. Allora di cosa stiamo parlando? Che inchiesta è? Su Vinous ha scritto per anni Ian D'Agata, vi collabora ancora oggi Masnaghetti, vi scrive Neil Martin, c'è Galloni... ci sono alcune delle firme più competenti del mondo del vino!!!!! L'autore poteva almeno sentire il parere del Masna, se ha difficoltà con l'inglese. O osare scrivere direttamente a Galloni. Così si fa giornalismo. --- In tutto ciò non è che Vinous o tutto questo mondo sia immune dal peccato, ma se non c'ero io e un altro paio di utenti a commentare, ne veniva fuori un quadro parziale e molto superficiale. Contenti voi... --- Il tema che invece andrebbe affrontato, e lo dico nuovamente, è il perché la stampa enologica del vecchio continente - a parte quella tedesca e quella inglese - ovvero dove si fa il vino, cioè Francia, Italia e ci metto anche Spagna e Portogallo i cui vini sono in fortissima crescita nelle carte dei ristoranti importanti (o che puntano ad esserlo) in giro per il mondo, non riesce più a produrre guide o portali che siano in qualche modo rilevanti per gli operatori e gli appassionati, almeno all'interno del vecchio continente. Non mi dite che è solo una questione di lingua perché 01. è un problema che volendo si risolve in vari modi; 02. la Germania ha Falstaff, Merum e Vinum che sono lettissimi e sono scritti in tedesco. Sto dicendo che Gambero, Slow, AIS, Dr. Wine etc. sono poco rilevanti? Sì. Non è come 15-20 anni fa che entrava in cantina lo svizzero con la guida del gambero sotto l'ascella per comprare il vino che aveva preso Tre Bicchieri. Quello non esiste più. Allora la domanda è: perché abbiamo perso rilevanza? E cosa dovrebbe fare la stampa italiana per recuperarla?

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

... provo a risponderti , umilmente io , DePisis citandoti : " ...E cosa dovrebbe fare la stampa italiana per recuperarla?" Mio personalissimo pensiero: a) riacquisire credibilità . E la credibilità la si acquisisce scegliendo le persone migliori sulla piazza ( parlo professionalmente ... e umanamente) e per attrarle , ritagliargli un ecosistema adeguato , tale da creare appeal di autosufficienza e gratificazione , sia pubblica ( comunicazione , visibilità ) che privata ( economica, motivazionale) . Come tutte le strutture organizzative , sono le persone che valorizzano tale struttura e quindi come tali essere considerate , il vero valore aziendale. b) Coerenza interpretativa : predisporre e comunicare i criteri di valutazione e palesarli in prefazione . Nessuno lo fa ... sbagliando ( ES: la storiella dei voti relativizzati e altre amenità . Se io leggo su una guida italiana 98/100 a Cervaro della Sala o alla Cuvée Bois di Cretes e leggo su una guida francese 93/100 oppure 15/20 al Montrachet di Olivier Leflaive oppure al Puligny Montrachet "Les Enseigneres" di Coche Dury , dopo averli assaggiati vicino rido come minimo per due mesi ininterrottamente...) c) Chiarezza valutativa . Frequentemente, anche su questi lidi, ironizzo o sbeffeggio quando leggo di fondamentalismi metodologici ( avendone esperienza diretta per lavoro) : poi ci rifletto e ... do ragione a chi tenta di ridurre la soggettività ai minimi termini rispetto al mare magnum giudicandi dove è sdoganata qualsiasi corbelleria dietro al paravento del "de gustibus" . Altrimenti si ritorna al concetto che non è il "voto Wine Advocat" ma il "voto Parker" ... quindi l'apoteosi del soggettivismo empirico sensoriale ... d) Altre ed eventuali...

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DePisis

circa 2 anni fa - Link

Rispondo a Vinogodi che ha risposto al mio quesito portando spunti interessanti. 01. Giusto cambiare un po' le firme. Tuttavia spesso in Italia chi firma è anche il titolare della rivista o chi ha l'ultima parola e quindi il filtro finale, quindi difficile che cambi qualcosa su questo fronte, occorre qualcosa di nuovo (vedi dopo punto 6); 02. Metodo di rating. Tra faccini, vino top, vino slow, tre bicchieri, i 5 grappoli, le 4 viti, le 3 perecotte, da fuori la confusione è tantissima. Se vi dicessi che in America è più utilizzato Maroni che Gambero o Slow, vi mettereste a ridere, e fareste bene, ma vi assicuro che è la verità. Perché? Perché ha scelto numeri, come anche Raffaele Vecchione (di scuola Suckling), e quelli si intendono ovunque. 03. Grafica moderna e snella sia su tablet che su PC, facilità di ritrovare i contenuti...vallo a spiegare a Dr. Wine, Slow Wine o Gambero Rosso. Sono delle babilonie i loro siti... ma questo richiede investimenti che evidentemente neanche le marginalità date dai tour e dalle premiazioni riescono ad essere sufficienti...?; 04. Possibilità di traduzione istantanea o addirittura versione in inglese: assumere dei traduttori mi sembra un buon investimento; 05. Una frammentazione più drastica del mondo vino: ha senso valutare nella stessa guida Velenosi e Oasi degli Angeli? O Pasqua e Monte dei Ragni? Io non credo. Se Bibenda riesce a premiare entrambi, che dire, bravi. Ma per me la credibilità la ottieni se non fai una rivista troppo panoramica. 06. In Italia le guide hanno perso il senso della misura: si premia troppo, tanto che i premi hanno perso valore - tranne, di nuovo, che per l'ego dei produttori /// Forse è maturo il tempo che dall'Italia, anche dalle voci di Intravino, nasca una rivista con questi criteri che si discute, e che possa essere rilevante intanto per il mercato italiano, e di riflesso, nel tempo, anche fuori. I temi di attualità ok, le news, e quello che fa già Intravino, ma ecco, i report da come sono fatti al volo ora, possono diventare qualcosa di più strutturato e rileggibile. Manca solo un editore. Ma trovare almeno degli sponsor per un progetto ben pensato, secondo me si trovano, soprattutto se dietro si va ben oltre il banner sponsorizzato. OK, Vinous è in America ed è partita con un finanziamento di circa 5 milioni di euro (dato online, provenienti da investitori che poi ne chiedono le quote di guadagno, che evidentemente c'è... e da qui si può già intuire il fatturato almeno bramato), che le ha permesso di coinvolgere firme top come Ian D'Agata, Masnaghetti, Neil Martin e altri MW. Tuttavia anche da qui può nascere una rivista indipendente che si faccia un nome credibile oltre confine. -- @TommasoIno Se vuole avere prova dell'abbonamento a Vinous, domandi pure. Posso dire che conosco moltissimi produttori in Italia che vi sono abbonati. Gente che magari legge anche Intravino.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

DePisis, se ci si parla in modo civile a me fa solo piacere (quindi niente battutine sul parlare inglese che lasciano il tempo che trovano o altro). Anche perché trovo che al netto della perentorietà (che tradisce il fatto che lei sia uno del settore, ma a questo punto capisce bene che l'anonimato è del tutto evitabile e potremmo parlarci tranquillamente con nome e cognome) trovo che i suoi interventi offrano spunti di dibattito. Anzi, mi hanno fatto venire voglia di approfondire e tornare sulla questione. Del resto questo è stato un articolo che ne riprendeva un altro e aggiungeva qualche considerazione a margine. Ma si può andare più a fondo. Nel frattempo mi permetto di dire che in Italia ci sono tante esperienze di giornalismo forse non esattamente compiute,ma certo interessanti. Spero sia d'accordo anche lei.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Dottor DePisis, con calma e per favore. Noi non mi pare che ci conosciamo e lei viene qua, con grande libertà ch questo sito concede, e liberamente commenta in modo anonimo, ma molto perentorio. Dicendo - sulla base del fatto che lo dice lei (il che è un po' tautologico) - che le cose stanno come dice lei. In poche parole i critici stranieri son bravi, quelli italiani son fessi, Galloni è bravissimo e gli altri no. Il che va bene, benissimo. Ma non è che adesso questo fa di lei altro che un anonimo commentatore che porta a supporto della propria tesi altro che la propria perentorietà d'affermazione. Va tutto bene, finché non s'avventura nel prendersela con chi, a differenza sua, scrive e ci mette una firma, in fondo a ciò che scrive. Quindi, il mio consiglio è che continui pure a godere della grande libertà che qua si usa dare a chiunque, che è quella di liberamente commentare e se si vuole, di farlo anche in modo anonimo. Continui pure a dire che lei a ragione per l'evidente motivo che è lei a dirlo. Perché mi avesse portato un dato che sia uno a supporto della sua tesi. Ora il fatto che lei sia abbonato a Vinous, va benissimo, mi fido sulla sua parola di anonimo commentatore. Ma per curiosità: lei sa quanto sono gli abbonati a Vinous? Per poter parlare di grande successo di questo sito, a fronte di quello che lei ritiene lo schifo delle testate italiane, mi potrebbe portare qualche numero? quello, anche se anonimamente riportato, potrebbe avere qualche interesse a supporto della sua tesi. Se vorrà farlo. Altrimenti va benissimo così. E se vuole continuare a liberamente e anonimamente commentare faccia pure. Eviti soltanto di ingaggiarsi in discussioni e men che meno a dare lezioni di giornalismo. Che quelle son sempre pronto a prenderle da chiunque, ma faccio un po' fatica a prenderne da chi nemmeno si firma. Tutto qua. Buona cose.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

"Allora la domanda è: perché abbiamo perso rilevanza? E cosa dovrebbe fare la stampa italiana per recuperarla?"
___
Perché non inizia lei a spiegare perché la stampa di settore italiana non ha la stessa RILEVANZA di quella anglosassone.
___
Poi bisognerebbe spiegare il nesso tra RILEVANZA e QUALITÀ della stampa tecnica di settore anglosassone.
Ma questo nesso è "rilevante" in ogni settore: film, libri, ecc ...
La Qualità(INDIPENDENZA e Abilità di Analisi Sensoriale in primis nel caso della stampa che si interessa di vino) può starci, può accompagnare la Rilevanza ma, attenzione, non è automatico.
Può anche non esserci collegamento conseguenziale tra Rilevanza e Qualità.
Gli esempi sui libri, sui film sono tanti.

Nei miei limiti, perché, come ho detto, non conosco la materia, ho portato nella discussione la storia della parabola di Parker
È una vicenda (la Parkerization e il suo declino) che potrebbe illuminare, visto come è finita, la comprensione del
1- perché 1 uomo è stato così RILEVANTE...PER DECENNI... e
2- perché la conclusione del suo Dominio Mediatico ci può dire molte cose sulla sua...autorevolezza...obiettività e ...indipendenza.
PS
DePisis ha dato un grande contributo al dibattito e, senza di lui, non avremmo riflettuto su concetti importanti.
E lo ha fatto con grande stile.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

marcow, se posso permettermi, la rilevanza sta principalmente nel pubblico di riferimento. Quello di Galloni è piuttosto piccolo, ma è molto concentrato in USA e - immagino - tra professionisti del settore. La sua parola raggiunge il target giusto di persone che muovono denaro e la cosa, effettivamente, è rilevante. In questo parlare al principale mercato del vino del mondo ha un suo peso e comunque l'inglese raggiunge tutto il mondo e la forza di sintesi di un punteggio è ancora più efficace. L'italiano va bene per noi e per carità, ha un suo rilievo, ma in termini di business, effettivamente, i big money si fanno altrove. In questo senso, non si può negare che Galloni abbia una sua innegabile rilevanza. Del resto è il motivo stesso per cui siamo qui a parlarne.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Sta passando l'idea che tutto il marcio è in Italia e nel mondo anglosassone c'è una realtà paradisiaca.
Con Critici
1- incorruttibili
2- onestissimi
3- indipendenti
4- obiettivissimi
5- e insuperabili nella degustazione

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bevo_eno

circa 2 anni fa - Link

in italia c'è doctor wine che dovrebbe chiedere qualche soldo in piu a quelli dei banner visto che ha una grafica ferma al 97...

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...poveri ma onesti ...( e belli...)

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...beh ... devi testare , di persona , quelle di Armando Castagno , Giancarlo Marino , Luca Furlotti , Luca Mazzoleni , Daniele Cernilli ecc . ( che sono personaggi pubblici ) ... e alcuni amici (che non posso nominare se no mi denunciano ) che oltre a bere lo scibile umano ti sanno distinguere alla cieca un Les Milandes da un Clos des Ormes e da un La Riotte , cosa non credo riescano a fare i Nostri Mediatici Eroi della Critica Anglosassone ...

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Francesco Annibali

circa 2 anni fa - Link

Tommaso non ho il tempo di leggere i commenti, quindi probabilmente scriverò cose già scritte. Alcuni giornalisti hanno certamente responsabilità, così come ce l'hanno alcuni editori e molti lettori che pretendono informazione qualificata, moralmente ineccepibile e soprattutto a sbafo (esattamente come lo sbafo che hai postato in foto).

Poi c'è una categoria di lettori che a parole chiedono informazione ma in realtà vogliono marketing/storytelling spacciato per informazione, e quando si imbattono nell'informazione vera si mettono in posizione insinuatoria/denigratoria.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Caro Francesco, grazie del tuo commento. Anche io la penso come te! ;)

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Una curiosità: c'è qualcuno qui abbonato a Vinous?

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...ci mancherebbe ... se lo venisse a sapere DePisis ...

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Samuele

circa 1 anno fa - Link

Io ho interrotto con vinous e con wine advocate un anno fa.

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Paolo Cianferoni

circa 2 anni fa - Link

Tutto questo è lo specchio della nostra epoca e degli umani che la vivono. Vorrei semplicemente aggiungere che i vini si possono anche andare a giudicare autonomamente nei luoghi tra i produttori e nelle zone di produzione, senza farsi (troppo) trascinare da esterni. Una visione pratica e anarchica se volete, ma molto più autentica di tante interazioni economiche che nel bene e nel male influenzano la comunicazione.

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Davide Bruni

circa 2 anni fa - Link

Esatto. Concetto ineccepibile. Direi tanto facile da non essere preso in considerazione. Chi non legge guide e santoni della degustazione è più libero e più franco: beve con serenità le sue etichette e non tradisce alcuna aspettativa. Lo facessero tutti ....😘

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weareblind

circa 2 anni fa - Link

Concordo. Anzi, attendevo finalmente un tale commento.

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Rolf Cordes

circa 2 anni fa - Link

Saluti dalla Germania. Perdonate gli errori, spero che il traduttore (che ho pagato) faccia un buon lavoro. Rispetto per il coraggioso articolo.
Sapevo già che il denaro scorre in relazione alle degustazioni. Chi nel mondo del vino vive solo di idealismo, aria, amore e vino? I punti sono uno strumento di marketing comune per i produttori di vino. Perché non pagare?
Ho iniziato ad occuparmi di vini italiani 29 anni fa. Il Gambero Rosso è stato importante per me. Tuttavia, ho sempre ignorato la valutazione più alta, i vini da due e tre bicchieri mostravano più carattere. Si è sempre dato per scontato che il denaro circolasse. In ogni caso, per me è stato un modo per scoprire buoni produttori.
Negli anni successivi è aumentato il numero di "guide del vino" e di "degustatori dal palato sopraffino". Trovo irrispettoso valutare il vino con dei punti. La varietà del vino è infinita, chi siamo noi che abbiamo bisogno di "punti" e "guide"? Ho riso dei viticoltori che hanno cercato di dissuadermi da un difetto che avevano trovato con le parole "Il vino ha 98 punti di...".
La nostra percezione personale del vino varia di giorno in giorno, a volte di ora in ora. Umore, temperatura, occhiali, ambiente, persone che ci circondano, cibo, luce, preferenze.... .
Abbiamo necessariamente bisogno di "opinioni sul vino" da parte di estranei che sono esposti agli stessi fattori?
Non è forse vero che i bevitori dipendenti di vino hanno migliorato i degustatori nel corso degli anni, dando loro il potere di richiedere denaro?
La paura di prendere un vino non proprio perfetto spinge le persone a fidarsi di perfetti sconosciuti. Deve essere sempre il miglior vino con oltre 95 punti, abbiamo forse dimenticato come ci si possa accontentare di un vino buono e senza difetti?
Dove si colloca ognuno di noi, come essere umano, in una scala da 0 a 100?
Buona serata!
PS. Se siete già arrabbiati per questo, non dovete leggere il rapporto di ricerca sull'acido suberico e riflettere su di esso. I giornalisti coraggiosi potrebbero farsi avanti ;-)

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Rolf Cordes

circa 2 anni fa - Link

Breve appendice: Non conosco nessun degustatore che tenga conto della persistente influenza sensoriale dell'acido suberico degli agglomerati. Per questo motivo, la percezione dei vini successivi è distorta e la descrizione/valutazione è priva di valore. Vedete, gli ascolti a pagamento sono l'ultimo dei problemi!

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Vincenzo Bonomo

circa 2 anni fa - Link

Complimenti per il grande articolo. La stessa situazione avviene nel mondo dell'olio. Secondo me il vino o l'olio vanno acquistati in modo anonimo e vanno degustati alla cieca. La degustazione e la valutazione di un prodotto non possono essere la base di una campagna pubblicitaria. Ci sono tante degustazioni dove molte bottiglie inviate sono "preparate". Se scelgo di fare una campagna pubblicitaria, vado in agenzia e commissiono un lavoro adeguato. Come ha scritto Giampaolo: "è che i produttori generalmente non sono interessati all'informazione, ma solo a vendere, e quindi non li si può biasimare se perseguono quella strada." ed aggiungo o scegli la giostra, altrimenti te ne freghi. Come azienda, abbiamo deciso di non partecipare più a concorsi ed a selezioni di guide del settore. Anche sostituendo il prodotto dentro una tua bottiglia con un prodotto ultra-recensito e pluri-medagliato, non ti calcolano di striscio (prova fatta che non posso documentare). E allora mi chiedo, con quali criteri viene fatta la degustazione? In base alle pagine di pubblicità? Fortunatamente il mondo è vario, ci sono tanti professionali giornalisti che valutano autonomamente ed indipendentemente i prodotti.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

A proposito di cosa dovrebbe fare la stampa italiana per aumentare la sua RILEVANZA.

Ma voi pensate che basta prendere, per esempio, un campione di gare di sommelier, metterlo alla GUIDA di una testata storica (in declino come la parkerizzazione)... e non preoccuparsi della sua... INDIPENDENZA... per aumentare la Rilevanza?

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Ehhhhhh, ma qui anticipi un articolo che a breve andrà scritto! Così non vale!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 anni fa - Link

Con buona pace di chi scrive che un punteggio onesto e corretto andrebbe formato su degustazioni di sole bottiglie acquistate, ho fatto un calcolino facile facile. Le guide maggiori dichiarano da degustare da 20.000 a 25.000 bottiglie di soli vini italiani, se ipotizziamo un prezzo medio di acquisto (tramite provider internet, per risparmiare e per averle a domicilio) di € 25 (stiamo parlando di vini top, consegnati a casa), si supera ampiamente il mezzo milione di Euro di spesa. Impossibile recuperare anche solo questa spesa con una guida. Se poi si vuole allargare il tiro al mondo, come fanno i grandi giornali internazionali, occorre ipotizzare una analoga quantità in Francia ma con prezzi medi non inferiori a € 40, la stessa quantità per il resto di Europa con prezzi sui € 20, 10.000/15.000 bottiglie dalle Americhe con prezzo medio tra quello francese e il nostro e altrettante dal resto del mondo con prezzi inferiori ai nostri. In totale dai due milioni e mezzo ai tre. Insostenibile per chiunque.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Vorrei mettere in evidenza due dati importanti emersi , secondo me, dal dibattito.

1- Che si può fare a meno di guide, classifiche, punteggi ecc... e scegliere i vini con diversi e semplici criteri personali.
Sono diversi e ottimi contributi ma ne ricordo soltanto 2: Paolo Cianferoni e Rolf Cordes che dalla Germania ci ha inviato un ottimo commento.
Anche se mi vedete attivo sul tema del rinnovamento della critica italiana...la penso così.

2- In alcuni commenti, anche se non in modo molto esplicito, è stata espressa INDIFFERENZA verso i produttori, che in vari modi, cercano di valorizzare i propri vini sul mercato. Ora le modalità possono essere diverse. Da quelle consentite dalla legge a quelle vietate.
La zona grigia, in questi casi, è molto ampia.
___
Io penso che per ridare RILEVANZA alla stampa di settore italiana ...sia...RILEVANTE... la trasparenza e l'indipendenza di chi fa critica.
Penso, e l'ho già detto, che alla maggioranza dei bevitori( semplici i appassionati) italiani non interessa molto avere una critica indipendente e rilevante. Lo stesso avviene in politica(per altri versi)

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Antonio C

circa 2 anni fa - Link

Salve Marcow, nel suo post cita il commento di Paolo Cianferoni come quello di un produttore che sostiene si possa fare a meno delle recensioni e della stampa di settore. Sarei curioso di capire se e quanto abbiamo influito sulle vendite negli USA e in generale all'estero, le ottime recensioni(meritate fuori da ogni dubbio) di Galloni sui suoi vini: Articolo 2021; 94, 93, 91. Articolo 2022; 96, 95, 92

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Paolo Cianferoni

circa 2 anni fa - Link

Le recensioni di Galloni, per quanto mi riguarda, provengono dalla richiesta di campionature rivolte al Consorzio vino Chianti Classico, come tanti altri giornalisti internazionali e nazionali fanno. Non sono certo io a richiedere che i giornalisti testino i miei vini. L’ultima campionatura l’ho data a Carlo Macchi proprio pochi giorni fa, sempre tramite Consorzio. Ora dico questo: se un Consorzio lavora (bene) nella promozione che colpa ne ha un produttore se riceve buone recensioni? Ad ognuno il suo lavoro.
Alcuni anni fa nel mio blog avevo intitolato un post: una folla che si affolla intorno al mondo del vino… questa è la vera realtà. Dopo 40 anni di vini e dopo 56 vendemmie, ormai quasi stronco, la comunicazione io la faccio a Caparsa e tramite i mezzi telematici in autonomia e senza ungere nessuno. Il lavoro vero (e faticoso) rimane quello del campo. Chi crede che il vino si faccia senza il sangue di chi lavora sotto il sole e il gelo, libero di crederci.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...parole santissime di un bravo e onesto produttore. Poi c'è chi si sa muovere e promozionare anche diversamente o , perlomeno , sfruttare un marketing comunicativo assai mirato ...

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Antonio C

circa 2 anni fa - Link

Paolo, evidentemente mi ha frainteso. Lungi da me il sospetto che lei possa "ungere" qualsiasi giornalista, ho sottolineato che i suoi vini meritano ampiamente quelle recensioni. La mia domanda era se e quanto quelle recensioni, ripeto meritatissime, abbiano o meno influito sulle sue vendite negli USA. Tutto qui

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Paolo Cianferoni

circa 2 anni fa - Link

Beh, tutto fa. ;)
È chiaro che i buoni risultati della critica e dei consumatori si rafforzano con la somma nel TEMPO dei buoni risultati (scusate la ripetizione). Un buon voto occasionale non serve a nulla. Occorre dunque mantenere negli anni buone qualità di produzione che prima o poi saranno riconosciute.

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Rolando

circa 2 anni fa - Link

Mi chiedo spesso quanto peso abbiano le recensioni su riviste e siti di riferimento e quante invece ne abbiano le recensioni del semplice consumatore sui alcuni marketplace. Faccio l'esempio di quando cerco un albergo per le vacanze: non vado a leggere riviste di turismo, leggo i commenti di altri vacanzieri su Booking, Expedia e simili.
Il mondo vinicolo è fatto da tante nicchie, ma quella più grande sono i clienti delle GDO, che forse non sono iscritti alle riviste/siti di recensioni. Certo, per il prestigio vale tanto la valutazione dai 90/100 in su, ma per il fatturato?
A proposito, bell'articolo Tommaso, link e riferimenti che arricchiscono.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Grazie Rolando, e spunti molto interessanti.

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franco

circa 2 anni fa - Link

sarebbe un anonimo però...

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Anonimo, si, ma che non usa l'anonimato per andare sul personale.... che poi, a parte tutto, ma non è che poi sia così facile mantenere davvero l'anonimato sul web. E infatti...

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Rolando

circa 2 anni fa - Link

no no, Rolando è davvero il mio nome

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franco

circa 2 anni fa - Link

anche senza andare sul personale, Tommaso, ad esempio nell'articolo delle presunte cantine di putin, hai sfoderato la polemica verso l'anonimato

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Non solo lì franco. Io su questo sono piuttosto netto da sempre. Ne discutevo con Antonio Tomacelli fin dal primo giorno. Io sono per un modello di libertà di commento che responsabilizzi gli utenti e ... che responsabilità ci può essere se manca l'impegno a firmarsi con nome e cognome. Ti faccio un esempio che sta proprio qui. Se un giornalista regolarmente iscritto all'albo trova opportuno venire qui a commentare anonimamente ci sta che si lasci scappare qualche scivolone (tipo la critica velenosetta e gratuita alla giornalista straniera di stanza in Toscana che in casa sua non la considera nessuno oppure mettersi a dare lezioni di giornalismo e deontologia professionale nel mentre che sta commentando anonimamente ... il che è un paradosso in sé). Sono tutte cose (e ve ne sono mille altre pure peggiori ... pensa d esempio a quei commenti che possono essere oggetto di querela) che si possono evitare o almeno arginare semplicemente chiedendo una registrazione per poter commentare. È una cosa di cui sono convinto da sempre. Certo si ridurrebbe il numero dei commenti e delle interazioni, ma credo ne guadagnerebbe il tono del dibattito e la sua correttezza. Ma è una convinzione che, fino ad oggi, non sono riuscito a far passare all'interno di Intravino. Ma continuerò a tenere questa posizione.

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franco

circa 2 anni fa - Link

vediamola anche da altra angolazione: esisterebbero i whistleblower se non fossero protetti da anonimato? Si, ma sconterebbero vendette salate da cui difficilmente possono difendersi. Non mi sembra così facile, sia l'una che l'altra posizione.
Comprendo il fastidio dalla tua posizione, tu hai nome e cognome visibile a tutti... Potrebbe essere anonimo anche il giornalista?
io invece sarei per responsabilizzare di più, quelli che da un commento (o uno sputtanamento sacrosanto) sul web arrivano a una querela.
Mai metterò nome e cognome qui sopra, se l'avessi fatto sull'articolo di putin ad esempio, sarei finito in prima pagina del corriere della sera ;)
Inoltre, battute a parte, chi commenta come anonimo potrebbe non voler lasciar traccia di se sul web o nei cloud di proprietà di google, amazon and co. Aspetto sconosciuto ai più e a cui si da troppo poco peso. Perdonami ma io non c'ho proprio voglia di "essere ricordato".

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Twentythree twentythree

circa 2 anni fa - Link

Pensa come vuoi ma pensa come noi....

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...non arriviamo a 100 interventi?

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franco

circa 2 anni fa - Link

detto fatto

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DePisis

circa 2 anni fa - Link

Una cosa che sicuramente ha fatto bene Intravino è quella di aver smesso, ormai non da ieri, di postare i vini premiati dalle altre guide italiane. Stavo leggendo i primi premiati col Tre Bicchieri 2023 per le regioni già uscite. Madonna che scempio. --- Quanto aiutano i rating-premi si domandava. Dipende dal rating e dalla tipologia di vino. Visto che abbiamo parlato di Vinous: recentemente è uscito un 100/100 al Carnasciale 2018 mi pare. Chiaro che il vino è andato a ruba presso le enoteche sia italiane che straniere che comprano i punteggi e rivendono online o con newsletter. Ce ne sono tante in Toscana, Lombardia, alcune a Roma, Umbria, Piemonte, Veneto. In UK, Germania, Francia (qualcuno ricorda vente à la proprietè ora di Tannico...), figuratevi negli USA. Ma se hai una DOC nota e prendi anche un 92-93, e magari hai il prezzo giusto, e perdipiù presenti l'annata punteggiata a un buyer di questi, in un mercato dove ancora non è stata venduta, hai buone possibilità di venderla. E' chiaro che i produttori senza territorio e senza grande brand, quindi con vini IGT da zone poco note, faticherà comunque, anche fosse buonissimo il vino, anche se il 93 fosse in realtà 95. Da 96 in su e più ti avvicini al 100, se ci sai fare, il vino è venduto sempre e comunque, anche negli anni...

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Non sono abbonato a Vinous ma il dibattito e l'articolo ruotano molto attorno a Vinous per cui sono stato stimolato a leggere quello che si può trovare sul web per i non abbonati.
____
L'ultimo articolo è del 15 settembre 2022 di Neal Martin

Swings and Roundabouts: Chablis 2020/2021

BY NEAL MARTIN | SEPTEMBER 15, 2022 
___
Vi riporto un estratto dell'articolo che parla del metodo adottato da Neal Martin per valutare lo Chablis.
Come potete vedere è un metodo misto.
(Non ho le conoscenze per dire qual è la metodica di tutti i redattori di Vinous e se applicano sempre questa metodica mista)

Dall'articolo
"This year’s Chablis report examines the 2020 and 2021 seasons - vintages with little in common. Spending several days in the region at the end of June, I conducted a wide-ranging blind tasting at the offices of the BIVB, samples corralled according to status and climat. The wines that were tasted blind, approximately half in this report, are indicated as such at the end of respective notes. As usual, this was augmented by numerous tastings with producers that included a couple of maiden visits to the likes of Château de Béru and Domaine Pinson"(Dall'articolo di Neal Martin)

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Secondo me, la metodica mista di Neal Martin può avere degli aspetti positivi ma... può avere anche...dei risvolti negativi.

Che rischiano di indebolire il concetto di INDIPENDENZA sui cui si fonda anche l'AUTOREVOLEZZA di cui tanto si è parlato... e che forse non siamo riusciti, pur essendoci stati ottimi contributi nel dibattito, a DEFINIRE con più precisione.

Sia Neal Martin che Galloni hanno lavorato con Parker, si sono formati da Parker e possiamo dire che sono stati partoriti da Parker come tanti altri Parkerini nel mondo della comunicazione del vino.

A parte le critiche, ma Parker ha sempre sbandierato l'INDIPENDENZA e l'importanza del BLIND TASTING.
Siamo noi in Italia che non sappiamo ancora cosa sono.

Altra cosa è vedere come i Critici e i Comunicatori hanno applicato e applicano i Valori a cui dicono di ispirarsi.

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Elia

circa 2 anni fa - Link

Buonasera a tutti,
prendendo spunto da questo interessante articolo vorrei porvi alcune domande:
La critica enologia può essere separata del mercato del vino? È necessariamente, e legittimamente, un suo strumento?
Mi chiedo, in sostanza, quale è lo scopo di valutare la bontà di un vino se quella di indicare al consumatore quale è il vino migliore da comprare.
A che serve altrimenti fare classifiche?
A mio parere una critica enologica che non si curi del mercato sarebbe necessaria (poi dovrebbe trovare comunque un suo contesto culturale e una metodologia propria).
Trovo, ad esempio, che il metodo Intravino sia un buon punto di partenza per una critica collettiva, inclusiva e contraddittoria.
Non è facendo una guida che si rende giustizia al vino, l'indipendenza di chi valuta è un falso problema secondo me, il problema è il senso della valutazione. Dovremmo costruire percorsi di autonomia e non discutere tanto di quale Guida seguire.

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Tommaso Ciuffoletti

circa 2 anni fa - Link

Ottimi spunti Elia. Tu punti la tua attenzione sulla "critica enologica". Io ancora mi illudo ci sia spazio per fare informazione (il che considera che ogni tanto almeno - se non proprio sempre - ci dovrebbe trovare occasione per dare notizie e approfondimenti), ma certo il tuo spunto è ottimo. La critica, così com'è, è uno strumento del mercato.

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Vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...la critica , secondo me, NON e' uno strumento del mercato. Non concettualmente. Che sia un potenziale ricettacolo di marchette, quello si, per i motivi ampiamente esposti. La critica enologica e' consimile a quella del cinema o dell'arte. Teoricamente e' il mercato che deve seguire la critica. Ma la biunivocita' della realta' fattuale, porta alle distorsioni che portano alla manipolazione della critica che fin quando non avra' una sana boria di autosufficienza economica, non si affranchera' mai dal vassallaggio verso i potentati eno-economici...

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Elia:
"Mi chiedo, in sostanza, quale è lo scopo di valutare la bontà di un vino se quella di indicare al consumatore quale è il vino migliore da comprare.
A che serve altrimenti fare classifiche"

Condivido.
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Poi c'è questo passaggio che non ho capito bene: "l’indipendenza di chi valuta è un falso problema secondo me, il problema è il senso della valutazione"
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Sull'INDIPENDENZA di chi valuta per il consumatore che vuole scegliere un vino(o un film, un libro, ecc...) anche leggendo ciò che dicono gli ESPERTI del settore vorrei dire che è, invece, importantissima.
Non è sufficiente che il critico o chi valuta abbia delle ottime capacità tecniche nella degustazione del vino (o di un film ecc...) ma che sia anche indipendente.
È un dato inconfutabile in tutti i discorsi che parlano di CRITICA.
E per apparire ed essere indipendente dovrebbe evitare alcuni comportamenti e, in primis, adottare una metodica di degustazione che garantisca il bevitore sul fatto che sia Indipendente nelle sue valutazioni.
È un concetto che fa fatica ad essere accettato in Italia mentre Parker e gli altri Critici Influenti e Rilevanti del mondo anglosassone cercano di attuarla anche adottando il blind tasting.
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Abbiamo visto Neal Martin, su Vinous, valutare lo Chablis adottando il blind tasting.
E poi ripetere gli assaggi e le valutazioni andando nelle aziende dei produttori.
Su questa modalità mista ho espresso dei dubbi. Anzi non ho alcun dubbio nel dire che i vantaggi del blind tasting vengono annullati.
Si potrebbe obiettare che con il metodo misto si perfeziona la valutazione evitando i limiti delle due metodiche usate separatamente.
Secondo me, invece, il blind tasting viene sminuito.
Bisognerebbe, comunque, avere delle conoscenze più approfondite di come i redattori di Vinous svolgono le loro degustazioni.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...io sarei per estendere il blind test ( parziale) anche ai concorsi cinematografici : guardarli senza conoscere l'autore per essere il meno condizionato possibile . Sarei addirittura per quello totale ( senza vederli né sentire la colonna sonora) ma qualcuno ha alzato obiezione al festival di Venezia dove ero in giuria e mi hanno incomprensibilmente allontananto ... PS: ho suggerito a Quattroruote anche di testare le auto senza sapere la casa produttrice ... mi sembrava una proposta sensata , però il sonoro di risposta ( mi sembravano pernacchie o , comunque, molto disturbato) non sono riuscito a salvarlo ...

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Michele Rossi

circa 2 anni fa - Link

Bell'articolo e davvero tanti spunti. Prima dell'era Michelin, TWA aveva una policy molto stretta sull'indipendenza dei giornalisti che non potevano accettare pranzi o pernotti da parte dei produttori. Una domanda che forse va fuori tema rispetto all'articolo o forse no... cosa accade alla doppia bottiglia che quasi tutti i giornalisti chiedono? Una volta vinous e WS le vendevano per beneficenza; ma tutti gli altri cosa ci fanno? Le vendono? Ci si fanno le cantine?

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

... Michele, io sono un ingenuone , per cui ti faccio una domanda ( magari retorica) : per alcuni l'assaggio dal produttore no , perchè sei condizionato nel giudizio dalla sua presenza ... hai voglia mai che lo venga a sapere Marcow che così ti accusa di accasciarti sul divano del produttore, azione questa già predisponente se non all'aggiottaggio per lo meno all'accondiscendenza o alla captatio benevolentiae ...ok ... quindi il campione da qualche parte va mandato , ... e se la bottiglia non è a posto per enne motivi ( viaggio, conservazione , tappo , 'sti ca**i vari ed eventuali) che faccio, non lo giudico e salto ? Per quale motivo? Che giustificazione do ? La verifica sia per i giudizi cattivi , ma anche per quelli altissimi è necessaria . Oppure attendo tempi biblici spiegando al produttore la rava e la fava attendendo un altro campione? Non stiamo parlando di un cartone per tipo , ma la seconda bottiglia rimane una garanzia " di buon giudizio" . Solo De Villaine e Madame Leroy non capiscono questa esigenza ... sai che fatica farsi mandare la doppia bottiglia di Romanée Conti e Musigny ? ... quei taccagnoni spilorci...( risatina ... ma mica tanto...)

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...aggiungo : " ...e il secondo campione , se il primo va bene, cosa ne faccio? Chiaro , viene rivenduto , solitamente cedendolo alle aste specializzate , quali Soteby ( LOndra) o Pandolfini ( in Italia) , fonte di arricchimento , effettivamente, indebita . Avrai notato nell'ultimo catalogo delle varie aste in aggiudicazione "Bottiglia singola di Malvasia di Valtidone " oppure di "Lambrusco di Sorbara" a basi d'asta esorbitanti...

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Elia

circa 2 anni fa - Link

Quello che voglio dire è che è molto importante, secondo me, fornire degli strumenti per poter essere indipendenti nel giudizio. Ovvio che l'indipendenza intellettuale di chi assaggia deve essere la base, ma , mi chiedo, come può un consumatore imparare a discernere tra un giudizio onesto e un giudizio "pilotato"? Per questo trovo molto interessante un approccio che vada oltre la semplice valutazione numerica

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Elia è interessante la tua replica ed è un aspetto che non era stato trattato nei dibattiti. Comunque inizio a dire qualcosa. Il critico che degusta alla cieca mi dà più garanzie di indipendenza ma non risolve tutti i problemi. Come hai detto, è alla base del discorso del rinnovamento della critica poi si valutano anche gli altri aspetti da te accennati che, in qualche altro dibattito, potresti ulteriormente articolare in una proposta ancora più chiara e completa. Comunque, Elia, i numeri, i punteggi, hanno una grande forza comunicativa e hanno un grande successo presso il pubblico. Semplificano ed evitano di mettere sotto sforzo il cervello. Leggevo su qualche articolo che uno dei motivi del successo di Parker sono stati proprio i numeri. Elia, fatti sentire più spesso. Saluti

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marcow

circa 2 anni fa - Link

Metto insieme 2 commenti di 2 illustri amici di Intravino.
1
Stefano Cinelli Colombini
14 settembre 2022
Con buona pace di chi scrive che un punteggio onesto e corretto andrebbe formato su degustazioni di sole bottiglie acquistate, ho fatto un calcolino facile facile. Le guide maggiori dichiarano da degustare da 20.000 a 25.000 bottiglie di soli vini italiani, se ipotizziamo un prezzo medio di acquisto (tramite provider internet, per risparmiare e per averle a domicilio) di € 25 (stiamo parlando di vini top, consegnati a casa), si supera ampiamente il mezzo milione di Euro di spesa. 2
Vinogodi ci dice che le aziende inviano 1 o 2 bottiglie come campioni per le valutazioni.
____
Quindi, teoricamente, una guida riceve ogni anno dal mezzo milione al milione di euro sotto forma di vino.
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Considerazioni
1- Tutto sommato anche se le vendite delle guide sono in crisi chi fa le guide se la passa bene.
2- Voi lettori pensate che un'azienda si limiti a 1 o 2 bottiglie? È probabile che delle aziende inviino 1 cartone o più cartoni?

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Vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...la maggior parte degli assaggi dei colleghi vengono organizzati nelle sedi dei consorzi , nelle anteprime .ecc . Sono l' unico ad avere il privilegio di ricevere circa 90.000 campioni all'anno, che assaggio in un paio di settimane...chiaramente alla cieca, io stesso le stagnolo o tolgo le etichette... In quest'ultimo caso e' difficilissimo ricordarsi a fine giornata quel che si e' bevuto, infatti le mie recensioni sono un gran casino...

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