Perché il vino naturale piace anche se – giuridicamente – non esiste

Perché il vino naturale piace anche se – giuridicamente – non esiste

di Francesca Ciancio

[Per qualcuno non esiste, qualcun altro invece non ha altro dio. Like it or not, negli ultimi 10-15 anni è stato l’argomento più dibattuto del nostro piccolo mondo quindi ci siamo chiesti: come spiegheremmo ad un marziano casualmente atterrato sulla terra cos’è il vino naturale e perché ha tutto questo successo? Articolo sconsigliatissimo ai taliban di qualsiasi fazione.]

Si parla e tanto di “vino naturale”, ovvero di qualcosa che formalmente e giuridicamente non esiste. Non ci sono infatti dati che consentano di tracciare un profilo di questa tipologia di vini, né cifre che diano peso e ruolo a questa categoria nel contesto della produzione vitivinicola. Eppure quello del “vino naturale” è un fenomeno che appassiona addetti ai lavori e consumatori da oltre un decennio, rimanendo di fatto una classe merceologica non riconosciuta.

A fronte di una scarsità di dati sulla produzione e sulle superfici vitate, vi è una mole enorme di riscontri concreti sulla popolarità di queste etichette: sono in aumento i ristoranti, i wine bar, le enoteche che mettono in carta e in vendita questi vini. La loro comparsa ha fatto nascere una contrapposizione, quella tra “vini naturali” e “vini convenzionali”. Quasi una sorta di rappresentazione in chiave enologica del bene contro il male.

Ovviamente non è così, perché non esistono vini fatti – intenzionalmente – per fare del male (all’uomo come all’ambiente). In qualche modo però è proprio qui, su questa contrapposizione nel metodo produttivo, che si è sviluppato un dibattito che vede da un lato i contadini, i vignaioli, le piccole aziende e la natura di cui si rispettano le regole e le esigenze, dall’altra gli imprenditori, le grandi aziende o l’agroindustria e la natura che va indirizzata verso le proprie necessità.

Questa almeno è la visione bidimensionale a lungo raccontata dagli addetti ai lavori e dalla stampa di settore. Oggi la faccenda è – per fortuna – meno monolitica e non se ne riconoscono solo il bianco e il nero ma una gran ricchezza di sfumature. Pensiamo a una specie di “terra di mezzo”, dove ci sono produttori “naturali” che si confrontano con le ragioni dei convenzionali e dove questi ultimi hanno adottato pratiche e pensieri dei primi. Questa terra è di certo una conquista positiva.

Due mondi quindi meno lontani rispetto al passato, ma le cui divergenze sono state – e sono ancora in parte – cavalcate, talora strumentalizzate dal marketing che ha contribuito alla costruzione di identità precise, non solo dei produttori “naturali”, ma anche dei consumatori “naturali”. Chi sono costoro?

Il produttore “naturale”, per usare la definizione provocatoria della scrittrice e wine writer americana Alice Feiring, è chi fa vino “senza schifezze dentro”. La sua è una posizione parziale, perché quella della Feiring è tra le voci più prestigiose e note del panorama dei vini naturali (d’ora in poi senza virgolette), ma con quel “senza schifezze dentro” l’autrice punta il dito contro gli oltre settanta additivi consentiti nella vinificazione negli Stati Uniti come in Europa (un elenco esaustivo lo trovate qui). Attenzione, non parliamo di elementi particolarmente pericolosi per la salute ma alcuni di questi additivi possono essere degli allergeni. Per fare qualche esempio, si può essere sensibili ai tannini (sostanza naturale presente nel mondo vegetale) che potrebbero provocare mal di testa o allergici al chitosano (un polisaccaride ricavato dai gusci dei granchi), usato in enologia per illimpidire i vini.

Il produttore naturale farà a meno – o dovrebbe fare a meno – di questi strumenti. E l’alternativa quale sarebbe? Spesso un’alternativa non c’è, piuttosto c’è una visione diversa del fare vino. Usiamo di nuovo l’esempio dei tannini: questi si aggiungono anche per dare un colore più intenso al vino, ma, potrebbe obiettare il viticoltore naturale, chi decide qual è il giusto colore del vino? (Pescando in archivio, per i più curiosi: La lunga storia dei tannini aggiunti spiegata a mio figlio, ndr)

Tra gli additivi vinicoli più usati – e anche tra i più conosciuti dai consumatori – ci sono i solfiti, una categoria di sostanze chimiche (anidride solforosa, bisolfito di potassio, di sodio etc.) che viene adoperata come conservante, antibatterico e antiossidante. La presenza di solfiti è spesso considerata una discriminante tra ciò che è naturale o meno. Di loro si parla soprattutto il giorno dopo aver bevuto: ai solfiti infatti si attribuisce la tipica cefalea causata da qualche bicchiere di troppo. (Sempre per i più curiosi, sempre dall’archivio: Lo zolfo non è poi così brutto come lo si dipinge. Vedi tabella allegata, ndr)

WineFolly

In Italia il limite di legge è di 160 mg/l (milligrammo per litro) per i rossi, 210 mg/l per i bianchi e i rosati. Nel vino biologico si scende di un bel po’ e spesso i produttori bio ne adoperano meno di quelli consentiti dalla normativa europea che indica 100 mg/l per i vini rossi e 120 mg/l per i bianchi. E nei vini naturali? Anche qui, in mancanza di una certificazione, tocca al produttore decidere come comportarsi, ma in genere, in questo segmento di vini, la bassa solfitazione è un prerequisito. In ogni caso è giusto specificare che una certa quantità di anidride solforosa viene sviluppata naturalmente durante il processo di fermentazione alcolica.

È uscendo dalla cantina tuttavia e andando in vigna che l’approccio naturale si esprime al meglio, dove il meglio vuol dire fare meno. La pratica poco interventista in agricoltura ha anche una sorta di padre spirituale, il botanico e filosofo giapponese Masanobu Fukuoka, il teorico più conosciuto dell’”agricoltura del non fare”. Il cosiddetto metodo Fukuoka spiega come minimizzare il più possibile gli interventi dell’uomo, che deve limitarsi ad accompagnare un processo gestito dalla natura. Come dire che l’ecosistema ha già in sé tutte le risposte, compito dell’uomo è quello di capirle per poter sfruttare – in senso positivo – i prodotti della terra.

Masanobu Fukuoka

Masanobu Fukuoka

Non vi è dunque una prevaricazione da parte degli agricoltori naturali – e tra questi i vignaioli – ma un accompagnamento dei cicli della natura attraverso pratiche a basso intervento come un’aratura non invasiva (o talvolta del tutto assente), il non uso di erbicidi e pesticidi chimici (questo in comune con chi sceglie l’agricoltura biologica e biodinamica), vendemmia manuale, sviluppo della policoltura (imprese che non puntano solo sulla vigna, ma anche su altre coltivazioni e sulla presenza di bestiame, nel solco della tradizione delle aziende agricole di una volta). Tutte decisioni che sono lasciate al libero arbitrio del viticoltore, perché, va ricordato, nel mondo dei vini naturali non esistono né metodologie di coltivazione né metodi di vinificazione regolamentati o certificati. Fino al paradosso che molti produttori scelgono di non richiedere la certificazione bio perché non ritenuta sufficientemente rigorosa.

Arrivati a questo punto possiamo dire che appare abbastanza chiaro il fatto che il vino naturale sia più riconducibile a un concetto che a una categoria ben definita con caratteristiche precise. Eppure è da molti considerato la “rivoluzione enologica” più importante dai tempi degli studi sui lieviti di Louis Pasteur alla fine del XIX secolo e sulla risoluzione del “mistero” delle fermentazioni. Di certo è un fenomeno che ha rappresentato un cambio di passo nella visione della viticoltura contemporanea dove i nemici da battere erano – e sono ancora – un’agricoltura intensiva e un’omologazione del gusto.

Louis Pasteur

Louis Pasteur

Il vino convenzionale, come lo conosciamo ora, ha meno di un secolo. I progressi tecnologici sono il fattore più influente in questo cambiamento: i pesticidi si sono diffusi dopo la seconda guerra mondiale, quando le sostanze chimiche impiegate nella costruzione delle bombe furono riciclate come erbicidi e pesticidi. A questo punto entra in gioco un libro, Primavera silenziosa della biologa marina Rachel Carson, pubblicato nel 1962, ancora oggi considerato una pietra miliare dell’ambientalismo. Carson previde con forte anticipo sui tempi gli effetti delle tecniche impiegate in agricoltura, dell’uso degli insetticidi chimici e di sostanze velenose, inquinanti, cancerogene o letali, sull’uomo e sulla natura.

Fu proprio da questo saggio che prese le mosse un movimento mondiale di consapevolezza che si diffuse in Francia negli anni Settanta, dove i vigneti erano devastati dagli agenti chimici usati in agricoltura. In particolare è a Villié-Morgon, comune della regione del Beaujolais, in Francia, che si dà inizio alla storia del vino naturale. Qui il giovane produttore Marcel Lapierre, entrato in possesso delle vigne di famiglia, decise di fare un vino diverso da quello paterno e ci riuscì grazie all’aiuto di un vicino, lo scienziato e vignaiolo Jules Chauvet, impegnato in quegli anni a produrre vino senza l’aggiunta di additivi.

Marcel Lapierre

Marcel Lapierre

Negli stessi anni, in California, all’interno del movimento hippie, iniziano le vinificazioni naturali e il produttore Tony Coturri della contea di Sonoma può dirsi il primo vignaiolo naturale americano con una bottiglia del 1979. Dagli Stati uniti arriva pure Robert Parker, il critico enologico che negli anni ’80 istituisce un sistema di classificazione dei vini a 100 punti. Man mano che la sua pubblicazione The Wine Advocate cresce in notorietà, i suoi giudizi iniziano a influenzare in modo significativo le vendite di vino, spingendo i viticoltori ad adattare il loro prodotto al cosiddetto gusto “parkerizzato”(tendenzialmente vini corposi, fruttati e dall’importante tenore alcolico).

Alice Feiring e Tony Coturri

Alice Feiring e Tony Coturri.

In termini di metodologia produttiva, ciò ha significato fare affidamento su additivi che garantissero un risultato costante ogni anno, indipendentemente dal clima o dalla resa. Verso la metà del Duemila però qualcosa cambia: crescono i mercati degli agricoltori nelle città, i ristoranti si ampliano con orti coltivati in proprio, si parla di birra artigianale e anche il vino cambia veste cercando una maggiore autenticità che, tradotta nel bicchiere, vuol dire meno “muscolosità” (anche grazie all’uso non smodato di botti in legno – delle barrique da 225 litri in particolare – per l’affinamento dei vini) e più eleganza, meno potenza, più bevibilità.

All’inizio abbiamo detto che il vino naturale, almeno dal punto di vista giuridico, non esiste. Eppure questa dicitura è entrata a far parte del vocabolario d’uso comune della stragrande maggioranza dei consumatori di vino, una parte dei quali, sempre più in crescita, lo acquista e lo consuma. Un’indagine dell’estate scorsa di Wine Monitor, l’osservatorio Nomisma sul mercato del vino, ha evidenziato una propensione verso scelte di vini green: tra gli italiani che consumano vino più di una volta a settimana – i cosiddetti frequent user – un 16 per cento di questi dichiara di scegliere vino biologico o sostenibile, un’incidenza che arriva al 24% nel caso dei Millennial, mentre si riduce al 9% tra i Baby Boomer. Attenzione però, qui si parla di etichette che riportano la scritta “vino biologico” o quantomeno presentano un simbolo legato a una certificazione. Sulle bottiglie invece non può essere riportato l’aggettivo qualificativo “naturale”, come stabilito dalla Direzione generale per l’agricoltura e sviluppo rurale della Commissione Europea (Dg Agri) che, nell’ottobre del 2020, ha bocciato la dicitura di vino naturale in etichetta.

Tale indicazione – è spiegato nella motivazione – potrebbe suggerire l’idea di un vino di qualità più alta, con il rischio che il termine “naturale” possa indurre il consumatore in errore”. Una motivazione legittima perché per la maggior parte dei consumatori – e qui entriamo nella sfera del percepito – il vino è naturale in quanto tale, a prescindere dal livello di intervento delle lavorazioni in vigna e in cantina ed è considerato un prodotto autentico perché agricolo e stagionale. Quando parliamo di bottiglie di vino naturale si rimane dunque ancora nei confini di una nicchia, di cui è impossibile conoscere i numeri effettivi in termini di produzione e di consumo.

Più semplice invece – si fa per dire – tracciare un identikit di produttori e consumatori (con le dovute generalizzazioni che ogni categorizzazione comporta): non ritengono che l’ambiente sia qualcosa di estraneo all’uomo, ma qualcosa di organico (in inglese biologico è appunto organic), le aziende sono di piccole dimensioni e tali sono le loro produzioni, sono sensibili a tematiche salutiste e ambientaliste, difendono l’artigianato in opposizione all’industria, credono nelle buone pratiche (agricoltura rigenerativa nel caso dei produttori, scelte attente nel carrello della spesa da parte dei consumatori).

Si fa un gran discutere della buona o cattiva fede di entrambi: si tratta di scelte operative concrete o di greenwashing (il marketing ecologico di facciata) da parte dei viticoltori? E il consumatore compie determinati acquisti perché crede in una causa o si limita a seguire le tendenze? Una sola risposta non c’è ed è molto probabile che quella più giusta sia “sono presenti entrambe le posizioni”.

Vi sono però alcuni punti chiave nel passaggio da una viticoltura esclusivamente convenzionale a un’altra più sensibile ai temi della sostenibilità. Innanzitutto, l’aver preso atto che non ha senso fare il migliore dei vini possibili se questa produzione si traduce in danni per l’ambiente. L’aspetto edonistico che il consumo di vino di certo ha – non essendo considerato un alimento di prima necessità – è stato affiancato da questioni “etiche”: scelgo una certa etichetta perché so che l’azienda che la produce rispetta il territorio in cui lavora e valorizza le risorse umane interne. Non ultimo, anche chi non ha fatto scelte così radicali in campo agricolo, si è posto nel tempo la questione di come diminuire l’impatto ambientale della propria impresa. Per credo o per necessità commerciali (tutto ciò che è bio o naturale si vende a un prezzo migliore) l’esito è stato comunque il cambiamento dei comportamenti.

E questo è per tutti un buon risultato.

[Cover: Soma Wines. Foto di Marcel Lapierre: Triple A. Foto di Alice Feiring e Tony Coturri.]

19 Commenti

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Mattia Grazioli

circa 1 anno fa - Link

Pezzo ineccepibile. Argomento interessante da sviluppare sarebbe quello del rapporto tra Bio e imbottigliatori. La stessa fogliolina per chi segue dalla campagna alla bottiglia, rispetto a chi fa masse di vini di risulta, la trovo intollerabile.

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Eorltheyoung

circa 1 anno fa - Link

Giusto, e vale per tutta l'agricoltura. C'è ormai una discrepanza enorme tra ciò che quella fogliolina rappresenta, e come viene percepita - e pagata! - dai consumatori e ciò che significa davvero, nel contesto della produzione agricola contemporanea. Ormai il simbolino della certificazione è più uno strumento di marketing che non un sigillo di qualità, di sicuro da quando Big Bio produce per i supermercati rientrando al pelo nella certificazione. Rimane a noi consumatori l'onere di informarci e scegliere...esattamente come col vino naturale o tradizionale che sia.

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Francesca Ciancio

circa 1 anno fa - Link

Grazie mille Mattia

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Paolo mik

circa 1 anno fa - Link

Personalmente li trovo molto affascinanti , al di là del nome e della legislazione, soprattutto ora che la qualità sembra in notevole aumento...anche in Italia.

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laccendiamo?

circa 1 anno fa - Link

Osservando il fisico scultoreo di Tony Coturri si evince come il vino naturale faccia non bene ma benone all'organismo.

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Francesca Ciancio

circa 1 anno fa - Link

Oddio l’alcol è alcol e gonfia :)

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Nic Marsél

circa 1 anno fa - Link

Ineccepibile. Epperò, a proposito di Pasteur, la fermentazione spontanea è uno dei cardini del vino naturale. Un po' vigna e un po' cantina, concetto e pratica.

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

...indipendentemente dall'aspetto legislativo , sarebbe utile , veramente , fare una indagine seria del perchè del successo del fantomatico "vino naturale" interpellando , con un questionario alla Sisto , "scientificamente e statisticamente significativo" , del percepito dal consumatore entusiasta che li acquista . Il fantomatico "sentiment positivo" tanto caro agli amici markettari . Lascio da parte l'umana comprensione e simpatia personale per i vignerons che si dichiarano tali , ma io c'ho provato nella cerchia ( ampia) di amicizie . Da almeno 5 anni . I risultati sono interessanti : - 74% è un vino che fa meno male - 19% Sostegno a chi adotta una politica di agricoltura sostenibile , quindi spirito ecologista - 5 % perchè ricordano "i vini dell'infanzia del contadino" , dove i difetti ( quando ci sono) sono tollerati dall'ipotalamo - 2% mer mera motivazione ideologica : perchè chi fa vino naturale è di sinistra e il vino convenzionale è di destra quindi ci sta sostenerlo a priori ...

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Sisto

circa 1 anno fa - Link

@ vinogodi A parte la gradita citazione, se posso aggiungere i risultati (chiaramente non ottenenuti con metodo scientifico) del mio modesto campionamento, includerei anche il fattore "prezzo alto" => "alta qualità" (qualsiasi cosa voglia dire questa augusta parola, a parte il consueto e pervasivo significato ISO di "grado di corrispondenza di requisiti specificati"). % di occurence della risposta: 98,5% (intervallo di confidenza: 2sigma della distribuzione normale...). Nota: sono quasi sempre gli stessi del "vino biodinamico = cavallo che ara il vigneto, come in Borgogna"

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gae

circa 1 anno fa - Link

Buongiorno mi permetto essendo ex produttore senza studi specifici in materia vitivinicola spinto a questo lavoro per una serie di coincidenze Dopo 40 vendemmie ne ho viste di tutti i colori anni 90 legno a go go periodo maroniano adesso il movimento naturale. Personalmente posso dire che sono un modo che (a parte alcune eccezioni) vengono esibite a livello commerciale. Il suolo nei miei vigneti non viene lavorato dal 1992 perché è sempre più mia convinzione ritornare a una concimazione naturale molto più lenta ma più completa ( faccio sempre l esempio di carenza di vitamina c nel senso che se si integra con le arance ci vuole tempo per l assorbimento ma nel contempo si apportano altri elementi importanti mentre una pasticca farmaceutica risolve il problema nell immediato ma con possibili cause indesiderate nel futuro).A livello fitosanitario rame e zolfo ,discorso a parte che già aveva evidenziato il "citrico" con cui concordo è l uso del piretro come insetticida che sarà a "basso" impatto residuale ma è un killer in quanto dove colpisce ammazza e non esistono solo insetti cattivi. Per cui bisogna ritornare alla semplicità nella produzione dell uva e in cantina per un prodotto ben fatto e sostenibile poche regole uva sana, fermentazione fatta bene (lieviti selezionati o no spetta al produttore stabilire se usarli o no ad esempio nel mio caso l esperienza mi dice che fino 21 babo il mosto va a secco a 21,5 rischio sopra i 22 la fermentazione non andrà a secco e dato che zuccheri residui nel vino sono sempre pericolosi l uso di lieviti è indispensabile anche se a volte non risolutivo) solforosa non penso sia un problema se hai una materia prima ottima servono dosi bassissime. I ns vini da invecchiamento vanno in bottiglia con 50mg di so2. Dopo una fermentazione fatta bene e lo svolgimento della malolattica per me il vino è stabile microbiolicamente le altre stabilità( tartaruga proteica) se uno a fretta di commercializzare usa chiarificatrice filtraggio oppure semplicemente ci si fa aiutare dal tempo. Noi andiamo in bottiglia dopo 3 anni dalla vendemmia per cui la natura fa il suo corso. Per cui il messaggio finale torniamo a produrre uve sostenibili e vino con semplicità. Grazie a chi mi legge scusandomi con la possibile non chiarezza del testo. Dio salvi la barbera

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Sisto

circa 1 anno fa - Link

Con riferimento alla prima (solita) immagine, mi corre l'obbligo di ricordare la solita equazione: VINO BIODINAMICO = VINO BIOLOGICO + ANTROPOSOFIA + OMEOPATIA = VINO BIOLOGICO + FUFFA 1 + FUFFA 2 = VINO BIOLOGICO + 2xFUFFA => VINO BIODINAMICO = VINO BIOLOGICO Sul vino naturale non mi esprimo perché non è chiaro (nel senso di codificato, universale, sistematico, riconosciuto) di cosa si stia parlando.

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Franca

circa 1 anno fa - Link

Vedremo dall'8 dicembre, con l'obbligo dell'etichettatura degli additivi...

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matteo

circa 1 anno fa - Link

Oltre al fatto che non esiste giuridicamente, non esiste nei fatti. Attendo da anni qualcuno che mi spieghi che cosa voglia dire e ogni volta la definizione di vino naturale è ovviamente diversa, come è grande la responsabilità degli addetti ai lavori che non hanno saputo gestire questo fenomeno in maniera seria e oggettiva. In ogni caso complimenti per l'articolo. Matteo

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vinogodi

circa 1 anno fa - Link

... al di là dell'ironia ... che chi persegue , culturalmente, concetti scientifici e tecnici è predisposto al sorriso quando si parla ( o straparla) di "vini naturali" , ritengo oggi che la terminologia sia più da attribuire ad un "movimento di cultura/coltura sostenibile" rispetto all'attribuzione , un pò puerile, di virtu' solo sussurrate ( capziosamente) di un output che di virtu', rispetto ad un vino convenzionale, non ha nulla . Nel mio sondaggio , reale anche se più faceto che serio, la percezione comune del vino "che fa meno male" è reale e trasferibile a tutto il comparto agroalimentare e del perchè è in forte aumento la richiesta di cibi "biologici" et similia , pur non avendo nessuna , dico nessuna , valenza salutistica . E proprio questo anelito ambientalista e di ritorno ai circadiani ritmi della natura ha portato questi produttori ad uno stile di vita più sobrio e legato ad una filosofia "slow" e consapevole nell'approccio all'agricoltura. Infatti , salvo qualche ciarlatano/cialtrone , la media dei vinnaturisti, seppur relativamente naif, è di grande spessore umano...

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Stefano Lorenzi

circa 1 anno fa - Link

Sono stra d' accordo

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Tommaso Ciuffoletti

circa 1 anno fa - Link

Mi son preso del tempo prima di leggerlo. Complimenti Francesca, un pezzo davvero importante. Di quelli da segnare tra i preferiti nel browser. Prezioso.

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francesca ciancio

circa 1 anno fa - Link

grazie Ino

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Alberto Polutropo

circa 1 anno fa - Link

Quanti problemi inutili per la sola mancanza di una definizione giuridica! è una definizione che è nata spontaneamente nel tempo per definire un tipo di prodotto che vuole proprio distinguersi da limitate e limitanti definizioni burocratiche. È vino naturale, senza addittivi chimici aggiunti, né in vigna né in cantina né in bottiglia. È facile da capire. Che poi qualcuno lo faccia o meno è un altro pajo di maniche, e ogni caso sta a sé. È ovvio che anche nei vini naturali di per sé vi sia un intervento umano, è un prodotto dell'uomo! Cosa non va bene e cosa non è chiaro nel fare e dire che in vigna si rispettano i suoli e le acque di falda evitando di utilizzare prodotti velenosi di sintesi chimica, che in cantina non si usano lieviti selezionati ma ci si affida alla fermentazione per spontanea attività dei lieviti naturali, che non si chiarificano i vini (una eventuale filtrazione naturale come quella a sacchi va bene ed è naturale), che non si aggiungono solfiti, che non si aggiungono tannini e che non si aggiungono sostanze acidficanti o basificanti né altri additivi. Sono anni che lo diciamo, è semplice. È vino naturale. È una definizione. Alcuni incollano anche le etichette con la chiara d'uovo, così non utilizzano colle chimiche, ognuno fa un po' ciò che gli pare, sempre nel rispetto di quelle 3 righe soprariportate. Ripeto, che poi venga fatto o meno è un altro discorso. Se, in alcuni casi, si utilizza qualche additivo naturale o piccole dosi di solfiti, in casi isolati e sporadicamente è accettabile, particolarmente nei casi in cui questo venga anche dichiarato, dimostrando onestà. Il fatto che non vi sia una definizione normata da legge dovrebbe solo far piacere a tutti, perché non vi è nulla da normare, è naturale, punto. Si definisce da sé. Ultimi scampoli di libertà che, a quanto si vede oggigiorno, non è più apprezzata e anzi, si smania ormai per catene di ogni genere. Qualcuno obiettera', però, che potrebbe essere una denominazione che qualcuno si mette in bocca (anche perché in etichetta non si può) solo per fare marketing e vendere il suo vino a caro prezzo, magari nient'affatto naturale. Ma non importa! Quanti truffatori e quante persone oneste vi sono nel mondo del vino convenzionale? Alcuni degli uni e moltissimi degli altri, come in ogni parte del mondo per ogni situazione e prodotto. Il vino naturale è buono e fa poco male, quando è naturale davvero. Sempre lode alla Barbera.

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Enogo64

circa 12 mesi fa - Link

Piuttosto che un vino naturale mi bevo una fanta. Tranne qualcuno che si salvava gli altri facevano proprio schifo.

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