Nino Barraco, la leva calcistica della classe ’75

Nino Barraco, la leva calcistica della classe ’75

di Samantha Vitaletti e Emanuele Giannone

“Ma Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore”: e decisamente Nino Barraco di queste paure non ne ha. È un uomo schietto, diretto, dal cuore grande. Sì, il periodo della pandemia è stato duro, ma lui e Angela non sono certo rimasti fermi a guardare il mare. Così, oggi si ritrovano con un’ala della cantina nuova di zecca, piena di cartoni di vino continuamente in partenza. Si ritrovano con nuovi progetti che hanno visto la luce proprio nei difficili mesi delle chiusure. Ad esempio, ci sono le api, grande passione di Nino, e la via del miele. Può capitare che questo miele inizi a fermentare e chissà che presto non ci si ritrovi a raccontare del suo idromele!

Abbiamo la fortuna di conoscerlo da tanti anni, precisamente da quelli delle fiere che contavano più per le trame di relazioni iniziate e ben coltivate, che per il numero di biglietti staccati all’ingresso; relazioni senza un preciso scopo ma vive e circonfuse del senso di appassionata condivisione. Di quegli anni rimanevano memorie sospese di conversazioni iniziate in presenza, casualmente proseguite a distanza; sospese ripromettendosi quell’incontro a Marsala che non riuscivamo mai a combinare.

Eppure, alla fine, ci siamo riusciti.

Di quegli anni – è importante citare anche questo – ci erano rimasti anche vini come probabilmente Nino non ne farebbe più, quelli delle sue prime, seconde e terze annate, tutti incredibilmente buoni, integri e benignamente lambiti e torniti dal tempo trascorso. Splendidi esordi come, ad esempio, il Grillo 2004 o lo Zibibbo 2005 (e ancor più il 2006). Chi a questi esordi è affezionato, come fin dagli esordi a Nino, non ha comunque ragione di rimpiangerli. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. La qualità dei vini di oggi, pure così diversi, ci esalta; e la giornata che trascorriamo con Nino, Angela e i loro collaboratori è il passaggio di un percorso iniziato tanti anni fa e definito dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.

Una giornata splendida: calda e ventosa, di quelle che spettinano i pensieri e creano in testa nuovi spazi. Dalla terrazza affacciata sulle vigne si vede il mare e la sensazione è quella di poterlo toccare semplicemente allungando un braccio. “Invece sono 6 o 7 km” dice Nino “certo, poi dipende dal sentiero che percorri”. Fondamentali, queste parole, non parole a caso.

A tavola sembra davvero di essere a casa in un giorno di festa. Le bottiglie si susseguono e assaggiarle con Nino è qualcosa che non ha prezzo. Ci versa un vino da una magnum, dice che è aperta da giorni. Assaggiamo un vino fresco, snello, salino, ritemprante, disteso e coinvolgente. È un esperimento (sic) poi svelato quale Grillo, viene dalle damigiane. Ecco che ritornano il soffio salso e un riverbero di verde e giallo, un un giallo baudelairiano, quello che “…un brouillard sale et jaune inondait tout l’espace”.

Vino da spazzare la sete e regalare una freschezza persistente. Inizio sorprendente. Nino ha deciso di alleggerire, di “tornare indietro” per andare avanti. Perché, come detto, dipende sempre dal sentiero che percorri. Tornare indietro significa ripercorrere a ritroso il sentiero delle lunghe macerazioni, recuperare e riproporre, con lo sguardo, il vissuto e l’esperienza di oggi, la snellezza, l’immediatezza, quella leggerezza così vicina alla definizione che ne diede Calvino e che è cosa assai diversa dalla superficialità.

Nel sentiero che porta al futuro c’è l’ossidazione, è un futuro anteriore perché pre-british. Tutto porta a pensare che in questo futuro sia l’ampiezza del respiro, di un vino che si fa veicolo d’un nuovo messaggio di vitalità, maturità, consapevolezza e piacere. Il seguito qui sotto.

Biancammare 2020 è un vino della vita, uno di quelli che ordiniamo spesso perché è una certezza di appagamento. È il vino che accompagna, che consola e che diverte, quel sale che dà sapore ma anche quel sale che pulisce le ferite, eternamente nuovo pur restando fedele a se stesso. Nasce in faccia al mare e anche il 2020 ne parla a profusione, sa di alga, iodio, succo d’uva bianca e la sua nettezza salina lascia spazio in evoluzione a pesca bianca, aloe e fico d’india.

Altomare 2020 nasce da grappoli di grillo provenienti da quattro vigne diverse e vinificati con diversi stili. Vengono assemblati qualche mese dopo la vendemmia e affinano in legno per un anno e mezzo. Piano piano sprigiona un turbinio di sentori: frutta secca, sale, curcuma, elicriso, arancia candita, fiori d’arancia, per accentuarsi in bocca e poi persistere, coralmente, ancor più a lungo nella memoria. Sorso potente e dritto, pieno e saporito, gustoso e appagante.

Lo Zibibbo 2020 è il solito tourbillon aromatico e cromatico anche in questa versione giovinetta – abbiamo ben chiare nella memoria le sensazioni con bottiglie ultradecennali – che apre con mare e neroli, albicocca e salagioni, anice e canditi, zenzero e timo intensi e coordinati. Impressionante. Con un naso così onusto, il sorso spiazza per droiture e tensione, presenza e slancio, nettezza della trama salina e pulizia in persistenza. Spiazza, ma fino a un certo punto, perché questo sviluppo e quest’esito li ricordavamo già nei vecchi.

Grillo 2020 La duna che gli dà casa è praticamente al livello del mare, lo supera di una decina di metri e la virtuale congiunzione al mare è chiara anche qui. Dai colori decisi e brillanti dello Zibibbo si passa agli acquerelli ma l’acqua è ovviamente quella marina, i colori non si perdono e la carta è di robusta grammatura, non s’imbarca. Il mare circonfonde le note aeree di agrumi e verbena e quelle più spesse di euforbia, colatura d’alici e frutta da guscio. Il sorso è un piacere: netto, essenziale, sapido, lungo, dinamico, dal finale che esalta la bevibilità suasiva e quindi è un non-finale, una cadenza sospesa, un invito…

Pignatello 2016 Tra i vini di Angela e Nino il Pignatello spicca per l’ibridazione di industrial, heavy metal ed elettronica. Non lo dicono apertamente, ma secondo me invitano Trent Reznor per la vendemmia (magari chiedendogli di togliersi scarpe e tendenze depressive sull’uscio della cantina). Il primo gesto è un graffio, il secondo una carezza e si va avanti così, per opposti e contrasti: tanto sale e tanta morbida dolcezza di frutto scuro, tanto fresco e tanto charnu, fino alla chiusura che riposa sul corale di amarena, cacao, pepe e macis. NIИ.

Nero D’Avola 2017 Sostanza altamente igroscopica, il Nero d’Avola dei Barraco è un grano di sale che ha assorbito umidità a sufficienza per riempire una bottiglia. Oltre all’acqua ha misteriosamente assorbito amarena, fava di cacao, mora di gelso, spezie dolci, anice stellato, capperi e una freschezza che per noi sa di educato, implicito sberleffo a titolati teneroni denominati NdA che imperversano tanto in titolate enoteche, quanto sugli scaffali delle grandi distribuzioni.

La prova. Ci lasciamo con un grande regalo: l’assaggio da acciaio di uno Zibibbo 2019. In nuce, ma già ben definito, quello che sarà un altro gran vino. La sensazione in bocca è quella di addentare sale e sole come fossero i succulenti spicchi di una mela o di un’arancia.

Il ragazzo si è già fatto. E non ha affatto le spalle strette. È già da un po’ che sta giocando con la maglia numero sette.

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