Nesos, l’uva macerata in fondo al Mediterraneo

Nesos, l’uva macerata in fondo al Mediterraneo

di Andrea Gori

Tra qualche anno sarà difficile navigare attorno all’Europa per via del numero di casse di metodo classico che stanno immergendo per avere bollicine esotiche da vendere ogni dove. Ma il mare non è solo temperatura stabile, luce ridotta e lieve ondeggiamento utile per la produzione di spumanti,  può essere anche un vaso enologico di portata rivoluzionaria nel panorama attuale sfruttando una tecnica antichissima. All’Isola d’Elba nel corso della vendemmia 2018 è stato effettuato un esperimento particolare di vinificazione realizzato dall’Azienda Agricola Arrighi dell’isola d’Elba in collaborazione con il Professor Attilio Scienza, Ordinario di Viticoltura dell’Università degli Studi di Milano e Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Pisa. Il protocollo seguito, fotograto, documentato e anche filmato in un documentario, consiste nell’immergere delle nasse di vimini piene di grappoli di ansonica appena vendemmiati per 5 giorni a 10 metri di profondità in maniera che l’acqua di mare elimini lo strato di pruina superficiale delle uve, con solo una leggera penetrazione di sale marino all’interno dell’acino. Quindi le ceste di vimini sono state ripescate e le uve sono state vinificate in anfore di terracotta con un risultato simile a quello che poteva essere assaggiato 2500 anni fa nel mediterraneo.

La tecnica è documentata almeno dai tempi dell’Antica Grecia nell’isola di Chio con le uve rhoditis ed il sideritis che come l’ansonica hanno polpa croccante e buccia più resistente della media. Una tecnica e dei vini con cui gli abitanti delle isole dell’arcipelago toscano entrarono sicuramente in contatto, in quanto i commercianti di Chio facevano scalo proprio da queste parti di ritorno dai loro viaggi sulle coste della Gallia e della penisola iberica. I vini di Chio erano rinomati come e più di quelli quelli di Samos, Lesbo, Thaso per la loro intensità e dolcezza e parte del loro fascino era dovuto ad una tecnica segreta di vinificazione che la sperimentazione all’Elba prova a spiegare oggi.

nesos ansonica arrighi

Dal punto di vista enologico le analisi mostrano che il contenuto in fenoli totali del vino “marino” è doppio rispetto a quello tradizionale, principalmente perchè la buccia, resa più soffice, cede polifenoli in maniera più veloce. Dal punto di vista di ph e acidità risulta minore soprattutto perchè aumentano le ceneri del vino stesso, ma la percezione al palato di freschezza non è molto più bassa che in altre ansonica per via dell’aumento di sapidità dovuta al sale marino stesso.

Due quindi probabilmente i motivi per cui i vini di Chio erano superiori agli altri : il lavaggio in mare permetteva di estrarre più polifenoli dalla bucca più morbida, dando  un vino più saporito e sicuramente più facile da conservare meglio e, al contempo, la buccia più morbida appassiva più velocemente, permettendo di preservare meglio gli aromi. Le uve di ansonica e vitigni simili subivano infatti quasi sempre un processo di appassimento per concentrarle e rendere più ricchi i mosti.

Quindi come è questo vino per adesso prodotto solo in 40 (quaranta) bottiglie, ma che presto potrebbe vedere un aumento significativo della sua produzione?

Nesos Ansonica Arrighi 2018
Giallo dorato con riflessi arancio cangianti, naso ampio e solare di zagara, camomilla, zenzero e ginestra, sorso che spiazza tra sale, iodio e dolcezza vanigliata di canfora e mandarino tardivo ma non solo. Il vino è masticabile, soffice con un dinamismo che segue ritmi inusuali ma stupendi, mostrando floreale nitido, frutto di pesca, mela annurca, pepe bianco, zucca gialla, melone di pane, amido, timo. Chiude lieve con una forza del frutto che permane dei minuti interi, sempre sottolineati dal sale che fa da umami enoico sorprendente. 94

Se siete curiosi e volete approfondire sta arrivando il documentario “Vinum Insulae” di Stefano Muti, prodotto da Cosmomedia e premiato al 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia come Miglior Cortometraggio e riconoscimento della Revue des Œnologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione. È, inoltre, in concorso (premiazione il 17 novembre) alla IX edizione del Most Festival 2019, Festival internazionale del cinema del vino e della cava, che si sta svolgendo in Spagna a Vilafranca del Penedès, durante la celebrazione della Giornata europea del turismo del vino.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

6 Commenti

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Ma una volta fuori dal mare, lavano l'uva con acqua dolce prima di vinificare?

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

in effetti non ne ho idea ma credo di no...andrebbe visto il documentario o chiesto ad Arrighi, proviamo

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

Ecco la risposta di Arrighi: "L’uva non viene sciacquata, asciuga al sole con il suo sale marino. Il sale fa da antiossidante e disinfettante sostituendo i solfiti. Anche perché per osmosi il sale è penetrato all’interno senza danneggiare la buccia dell’acino. Dalla analisi dell’università di Pisa i fenoli liberi sono raddoppiati grazie al passaggio in mare. Non che se ne sono creati altri, semplicemente la situazione marina ne ha fatti liberare il doppio di quello che avviene in una normale maturazione in vigna e macerazione."

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Grazie mille!

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Nic Marsél

circa 4 anni fa - Link

Esperimento di grande fascino. Ma ritengo improbabile che dopo 5 giorni in acqua di mare, l'uva sia in grado di innescare una fermentazione spontanea come evidentemente doveva avvenire 2500 anni fa.

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Stefano Parisi

circa 4 anni fa - Link

Affascinante senza dubbio, ma una salamoia di sale marino, con una pressione diversa ovviamente a quella marina, ma replicabile anch'essa sulla terra ferma, costerebbe meno di questo investimento e si otterrebbe probabilmente simili o migliori risultati. Soprattutto, si avrebbe la possibilità di monitorare meglio il processo. Siamo sicuri che il mondo del vino ha bisogno di tutto questo, vista l'enorme sfida di mercato, a livello globale, a cui le nostre DO sono quotidianamente sottoposte? Sono ragionevolmente convinto che la strada da percorrere è sulla terra ferma ed in vigna soprattutto, non in mare. Se poi asportiamo la pruina e le cere superficiali dell'acino (habitat dei lieviti indigeni) , chi fermenterà queste uve con una concentrazione salina alta e conseguente alto potere osmotico?

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