Nel confronto tra i vini di Giorgio e Henri Anselmet vince la Val d’Aosta

Nel confronto tra i vini di Giorgio e Henri Anselmet vince la Val d’Aosta

di Alberto Muscolino

Amo le alture, le cime aspre e ostili che svettano contro il cielo. È come se fosse lo strenuo tentativo della terra di elevarsi e sfuggire alla morsa del mare. Al suo eterno rivoltarsi e ritirarsi senza posa, al brulicare della sua vita. Le sommità, invece, sono difese dal gelo che sospende ogni moto, trattiene la vita sotto il suo spazio duro di roccia, vince persino il tempo e diventa ghiacciaio perenne.

L’uomo vive e prospera in mezzo, a volte si spinge a lambire le punte, conquista attimi di libertà, guarda le stelle più da vicino, ma non resiste e deve tornare in mezzo. Sarà stata l’aria pulita o la vista del Monte Bianco a ispirarmi, anche perché qui in Val d’Aosta le montagne non sono installazioni scenografiche che fanno da sfondo a un selfie, qui ci si muove dentro squarci di vallate che sembrano corridoi tra due cinte murarie.

Lungo la strada che da Courmayeur va a Morgex vediamo diversi terrazzamenti vitati, alcuni quasi a ridosso della Dora, sono fazzoletti di terra strappati alla roccia. Non c’è spazio per la meccanizzazione, tutto si fa prevalentemente a mano o con piccoli mezzi, anche qui, come in altre zone estreme, vince l’ostinazione dei produttori a fare viticoltura di qualità (anche perché le quantità sono decisamente scarse). Costeggiando il fiume arriviamo fino al piccolo comune di Villeneuve, dove ci attende Giorgio Anselmet per raccontarci la sua idea di vino.

Andiamo subito giù in cantina, nella grande sala dalle pareti di tufo, dove riposano le barrique francesi nuove e usate, a dimostrarci che lo stile aziendale è d’ispirazione transalpina. In sala degustazioni ci togliamo ogni dubbio: sul camino c’è un vero e proprio santuario del meglio della Borgogna. Giorgio è un cultore della Côte de Nuits, ci va spesso, gli interessa il lavoro di fioretto col legno piccolo, l’evoluzione in bottiglia sulla lunga distanza. La sua produzione è abbastanza ampia e variegata, lavora su diverse linee sia con i vitigni autoctoni che con quelli internazionali, ma oggi ci ha preparato qualcosa di particolare.

Mentre parliamo comincia a prendere diverse bottiglie e dice che vuole farci provare anche i vini di Henri, suo figlio, da poco sul mercato con le proprie etichette. L’approccio di Henri è molto diverso, vuole seguire la sua strada e sta sperimentando l’uso dell’anfora e delle macerazioni sulle bucce, è giovane ma già da anni lavora accanto al padre, da cui ha imparato tutto. A quel punto la nostra curiosità non può attendere oltre e i primi due bianchi vengono versati nei calici: uno di Giorgio e uno di Henri per quello che diventa una sorta di staffetta e di confronto tra due stili e due generazioni.

Perlabruna – Maison Anselmet
50% chardonnay e 50% prié blanc – fermentazione in barrique a temperatura controllata – 60 mesi in bottiglia sui lieviti – brut nature
Un metodo classico con una struttura e un’evoluzione importante che aspira ad accompagnare tutto il pasto e non certo l’aperitivo. Al naso domina la mineralità pietrosa e salata del prie blanc accompagnata da note di panificazione, nocciola tostata e un interessante sentore di zafferano. La bocca è investita da una materia voluminosa, stratificata, persistente ma ancora non del tutto integrata, soprattutto dal punto di vista della componente acida molto reattiva e alcolica decisamente importante (14%). È chiaramente un metodo classico atipico, molto più vino che bollicina e va aspettato ancora qualche anno, per dargli il tempo di raggiungere un maggiore equilibrio.

Ferox 2017 – La Plantze
sauvignon 100% – macerazione sulle bucce in acciaio per 20 giorni – affinamento di 8/9 mesi in barrique esauste
L’intensità dei profumi è opulenta e riempie il calice di sentori fruttati di pesca e banana, poi si fa spazio la nota vegetale tipica di foglia di pomodoro. In bocca è pieno, rotondo, si avverte quasi burroso e decisamente persistente. È un vino dall’impatto irruento e sfacciato, punta sulla gratificazione immediata senza troppe velleità.

Petite Arvine élevé en fût de chêne 2014 – Maison Anselmet
Petite arvine 100% – affinamento in barrique per il 30% nuove
L’annata è difficile, lo sappiamo, ma sta tirando fuori un’eleganza oltre ogni aspettativa. Il giallo dorato nel calice ha il potere ancestrale di aumentare desiderio e aspettative, per fortuna il naso non smentisce nulla: è una progressione sfaccettata di sentori arrotondati e appuntiti, miele e idrocarburo, burro e erbe officinali, zeste di limone e mela cotogna, su uno sfondo leggermente tostato. In bocca è perfettamente coerente e raggiunge una forma affusolata, in cui l’acidità si fonde alla componente burrosa. ‘Sti valdostani ne fanno poca, ma quella poca…

Al Mister 2017  – La Plantze
sauvignon 50% e viognier 50% – 1 mese di macerazione pellicolare in anfora – affinamento in anfora per circa 7 mesi
È un vino dedicato al padre (il Mister), ma segna un percorso completamente diverso che si allontana dall’uso del legno per privilegiare la terracotta. La lunga macerazione ha generato un intenso colore giallo dorato carico e profumi altrettanto intensi che vanno dall’erbaceo di foglia di pomodoro al basilico, dai fiori di sambuco alla cera d’api. La struttura, anche in questo caso, conferisce al sorso una tridimensionalità giocata sulla componente cremosa, l’acidità e l’alcolicità bene presenti. La sorpresa viene dal retrogusto di pepe bianco che solletica il palato.

El Teemp 2016 – La Plantze
syrah 49%, merlot 49% e petit verdot 2% – 6 mesi di affinamento in legno
Con l’ultimo vino di Henri chiudiamo il cerchio della sua linea da vitigni internazionali. Il focus di questo rosso è certamente la piacevolezza e l’eleganza che vengono esaltate se bevuto fresco. Il naso è particolarmente profumato di frutti neri e rossi ancora croccanti, accompagnati da sentori di cacao e una delicata speziatura di pepe nero e di anice stellato. In bocca il sorso è centrato sul frutto, pulito e fresco con un ritorno finale pepato e invitante per il sorso successivo. Insomma, se queste sono le premesse, si preannuncia un futuro molto promettente.

Le Prisonnier 2016 – Maison Anselmet
petitrouge 40%, cornalin 35%, fumin 20% e mayolet 5% – uve lasciate surmaturare in pianta – affinamento di 18-19 mesi in barrique francesi per la maggior parte esauste e con tostature variabili
Vigne vecchie di più di 70 anni, a circa 800 m slm, coltivate ad alberello e sottoposte a una singolare doppia escursione termica nell’arco di 24 ore:  c’è un primo picco nelle ore di mezzogiorno e poi un secondo verso le 22, quando le rocce cominciano a rilasciare il calore accumulato durante il giorno. I pochi grappoli prodotti dal singolo ceppo vengono lasciati a sovramaturare finche raggiungono l’equilibrio zuccheri/acidità desiderato. Il vino è un affascinante esempio di proporzioni e di bilanciamenti che si risolvono in una generale armonia. La complessità delle sue componenti si riflette sulla stratificazione delle sensazioni odorifere: confettura di amarena e ciliegia sotto spirito aprono la strada a note di sottobosco, leggere tostature, cacao, cuoio, pepe nero e note balsamiche. In bocca è un abbraccio di materia succosa ed elegantemente speziata, morbido e vellutato nel tannino, ma vibrante di un’acidità che si portano nel dna i vini delle vette. Un fuoriclasse che vorremmo rivedere tra qualche anno alla prova del tempo.

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Alberto Muscolino

Classe '86, di origini sicule dell’entroterra, dove il mare non c’è, le montagne sono alte più di mille metri e dio solo sa come sono fatte le strade. Emigrato a Bologna ho fatto tutto ciò che andava fatto (negli anni Ottanta però!): teatro, canto, semiotica, vino, un paio di corsi al DAMS, vino, incontrare Umberto Eco, vino, lavoro, vino. Dato il numero di occorrenze della parola “vino” alla fine ho deciso di diventare sommelier.

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