Miscellanea di bevute in quarantena (da Radda alla Garfagnana)

Miscellanea di bevute in quarantena (da Radda alla Garfagnana)

di Amedeo Itria

Ufficialmente devo ammonirmi: dai primi di marzo ormai vegeto in casa in preda da assoluta pigrizia mista a vampate di spleen e sinceramente suppongo sia negativo. Tra le gioie dello smartuorchi e il binge-watching compulsivo di diverse serie in streaming – una domanda: ma sulle webtv oltre ai titoloni c’è qualcosa di non fotocopiato? – mi sono dato alla panificazione (come il 90% della popolazione) e ho scavato in cantina alla ricerca di qualcosa da stappare.

Mi sono ritrovato con una realtà chiantigiana scoperta a Radda, e avendo seguito con interesse delle recenti videolezioni caricate dal mio former prof Castellani, ho deciso di rituffarmici.

Ho approfondito con gioia i vini di Caparsa, dalle mani raddesi dei Cianferoni, e sono convinto del missile che è il loro Chianti Classico 2016, dove l’annata si esprime fortunata, con una brillantezza davvero fine. Ci siamo scolati a seguire il Rosso di Caparsa bello onesto e appagante, la riserva Caparsino 2014 elegantissimo e ancora più che in forma, il rosso fiasco in cui mi sarei fatto il bagno.

Di contro allora assaggiamo anche un Chianti Classico di Castelnuovo Berardenga, al limite meridionale della DOCG, e alcuni dettagli sono interessanti: nella 2015 del Chianti Classico di Castell’in Villa il frutto è più maturo, meno dinamico ma più equilibrato, più sapido. Più armonico per dirla canonica, ma accanto al ragù di cinghiale era davvero una carezza.

Due cose diverse insomma.

Ah sia chiaro, in momenti così bui sono costretto a rallegrarmi coi rifermentati in bottiglia. Nello specifico una sera (delle molte) di pizza abbiamo tirato in tavola due frizzanti modenesi di Bergianti, cioè il Perfranco e il nuovo pignoletto Steve: il primo è un rosato di lambrusco salamino con una delicatezza femminile nei profumi ed un’energia nel sorso rare. Il secondo, da buon pignoletto, è bello pieno, confortevole e senza acidità appuntite, ma ‘sta frutta tropicale così malinconicamente estiva fa veramente decollare.

Poi un bianco, dal Maconnais, uno chardonnay dall’appelation di Saint-Véran 2017 del Domaine Robert Denogent, dalla parcella “Les Pommards” che poteva essere l’unica portata della cena per quanto mi riguardava. Di grande finezza, quasi con grassezza si spandeva in bocca. Freschezza morigerata, sale e minerali di contorno, profumo di agrumi e molti fiori.

Ultimo lampo della sequenza ma non per importanza: una sentimentalissima syrah di Garfagnana del Podere Concori, uno dei vini che più mi si è palesato sulla via. Il Melograno, trovato anni fa a Firenze in un posticino chiamato Coquinarius (super) ad una cenetta, sembrava succo fresco. Stavolta (annata 2017) era affascinante, perché a pensarci bene i parallellismi col nord del Rodano si sprecano. More, cacao, pepe. Un nervo di gioventù ancora ben vivo e brillante insieme a una bella finezza.

C’è da dire però che, quando le bottiglie finiscono, intorno il resto continua a risultare un po’ noioso e tetro tutto sommato, quindi mi sa che ora del 4 maggio dovrò fare degli abbondanti rifornimenti.

1 Commento

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Paolo Cianferoni

circa 4 anni fa - Link

Ringrazio per la recensione. Credo che a Caparsa si tenta di produrre il meglio in un territorio (difficile). I vini sono poi espressione di chi presidia il luogo, il territorio. Tra mille tensioni, tra mille dinamiche il vino risulta una componente emozionale, una risultante, di quel che succede anche nell’intimità di chi presidia. I vini di territorio non possono essere sempre espressioni di una enologia razionale, però la speranza è che siano riconosciuti così come sono. Diretti.

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