Milano Rum Festival & Cocktail Show: tutto quello che ho scoperto assaggiando come un pazzo

Milano Rum Festival & Cocktail Show: tutto quello che ho scoperto assaggiando come un pazzo

di Thomas Pennazzi

Per quantità e qualità di eventi ad alto grado alcolico Milano è innegabilmente la capitale d’Italia. Ormai quasi tutti gli spiriti godono qui di un proprio palcoscenico almeno una volta all’anno, e ben due sono i partiti che si contendono la ribalta: la brigata di Bartender.it formata da Luca Pirola, Dario Comini and friends, che guarda al mondo del bere miscelato, e quella del Milano Whisky Festival, composta da Giuseppe Gervasio Dolci ed Andrea Giannone, più orientata al bevitore e collezionista di spiriti fini.

Sabato 1° aprile si è svolto il Milano Rum Festival & Cocktail Show, primo appuntamento del MWF riservato in esclusiva allo spirito caraibico, che segue l’autunnale Rum Day della concorrenza. Negli ultimi anni il Milano Whisky Festival dedicava un’appendice minore al parente creolo, che ha rapporti non da ieri col mondo del whisky scozzese. Era ora di dare più voce al rum, che offre declinazioni e sfaccettature quante può darne il mondo del whisky: ed ecco nato un nuovo evento, dagli spazi ampi e con molte più occasioni di assaggio di prima.

Curiosando tra i banchi, in un clima disteso e confortevole, sono andato a cercare qualche rum degno di essere bevuto, tra la massa di prodotti anonimi e di modesto interesse per il bevitore smaliziato. Il pericolo con i rum è sempre in agguato, ve l’ho spiegato a suo tempo.

Ho iniziato il mio viaggio intrufolandomi in una masterclass giunta ormai alle battute finali, ma ancora in tempo per capirne qualcosa. Si parlava di Rum Plantation, marchio della francese Maison Ferrand, con un relatore di eccezione, Marco Graziano di Le Vie del Rum, una delle voci più autorevoli del distillato creolo in Italia.

Cinque gli imbottigliamenti in degustazione:

Pineapple, 40°: un rum aromatizzato, adatto alla miscelazione;

Trinidad | 2003, 42°: naso dolce e floreale, alcool vivace; attacco altrettanto dolce, su corpo fine ed esile;

Barbados | 2001, 42°: il più interessante della batteria; naso flebile, aromatico, dall’aroma caratteristico di rum; eccessivamente dolce in bocca, dal piacevole retrogusto.

Panama | 2004, 42°: tra tutti, il naso più bello; palato fine, elegante, di buona qualità, ma pur sempre di dolcezza invasiva.

XO 20th Anniversary, 40°: colore ambrato carico; naso vanigliato, dalla dolcezza caramellosa; al palato si capisce che è un rum lavorato per adescare, vuole piacerti ad ogni costo con la sua morbidezza accattivante. È una trappola sensuale, una donnaccia lussuosamente vestita tra le cui braccia molti resteranno invischiati, e pure volentieri.

In conclusione Plantation si rivela lavorare meglio della media, e fa prodotti di buona finezza ed eleganza, strizzando l’occhio al mercato della miscelazione e al bevitore occasionale.

Rimane tuttavia l’impressione che il grosso dello spirito caraibico e dintorni è fatto per un pubblico dal palato adolescente, che sa solo limonare con la bottiglia, e che si ritrae appena scompare la famigerata morbidezza o l’etichetta dichiara oltre 43°. Il vero rum è invece un’altra cosa, può andare ben oltre il vanilla sex: da quello sfrenato  – «Dammi l’ebbrezza dei tendini» cantava Jannacci – fino al sadomaso; perché vi può fare molto male, per la violenza e la crudezza che offrono certe sue espressioni. Epperò è anche paradiso. A trovarlo.

È quello che sono andato a scoprire, sotto la cordiale scorta di Marco Graziano, che si è prestato per l’occasione a farmi da Virgilio. E che mi ha portato subito al dunque: e il dunque si chiama Guiana, meglio conosciuta come Demerara.

L’ex colonia inglese sulle rive del fiume Demerara ospitava un tempo molte distillerie al servizio della grande sete della madrepatria, innanzitutto dei suoi marinai. Oggi la distilleria è diventata unica (Diamond), e ha però il pregio di aver salvato un buon numero degli alambicchi tradizionali in legno delle altre distillerie, per cui troverete talvolta i rum chiamati col nome dell’alambicco che li ha distillati. I più famosi si chiamano Enmore (a colonna, 1870) e Port Mourant (un pot still a doppia storta, 1732), ma ce ne sono parecchi.

I rum Demerara hanno la caratteristica principale di essere dark rum carichi di congeneri e di colore, quindi ricchi di aromi e dalla struttura densa e quasi oleosa.

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Il banco della Rum Nation (Rossi & Rossi, più noto nel whisky col marchio Wilson & Morgan) era quanto di meglio aveva da offrire la rassegna, e l’ho potuto constatare di persona. Fabio Rossi, il selezionatore, sa decisamente il fatto suo.

Guiana | Rum Nation – Rare Rums – Port Mourant – 1999/2016 Cask Strength 57°: un rum per l’uomo che non deve chiedere mai; e non dovrete chiedere proprio nulla a questo Demerara pot still. Ci sono dentro forza, eleganza, struttura, colore, spezia, frutto, perfino dolcezza, ma di quella onesta. Vale il suo prezzo. E gran bel bicchiere.

Giamaica | Rum Nation – White Pot Still  57°: quando dicevo che l’anima del rum è bianca, è perché dal distillato non invecchiato capisci tutta la verità. Ed è Giamaica fino al midollo, questa bottiglia: solvente, frutta, alcool vivace e ben integrato, note erbacee, e in fondo al bicchiere lascia un residuo come di grappaccia nostrana. Non è per deboli di cuore, un buon rum Giamaica, ma può piacere. Tanto. Anche liscio.

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Altro banco, altre degustazioni, curate dall’importatore Beija Flor. Ecco da Cadenhead, il più antico affinatore inglese indipendente di whisky e rum, alcune selezioni a grado pieno dalle singole distillerie, che offrono un panorama interessante, vario, e soprattutto sincero.

Figi | Cadenhead’s – South Pacific Distillery – 2003/2015 – Cask Strength 60°: di colore chiaro, naso all’inizio straniante, con nota chimica indefinibile, che ti fa pensare immediatamente ai Giamaica. Ma c’è sotto tanta frutta tropicale, qui. Secco, focoso, alcolico, un po’ di spezia, un po’ di ananasso e passiflora, forse, e un retrogusto tenace. Curioso come pochi.

Guadalupa | Cadenhead’s – Bellevue Distillery – 1998/2015 – Cask Strength 54°: tipico rum agricolo alla francese, molto equilibrato. Colore ambrato, naso di zucchero caramellato, con un po’ di legno, cannella e vaniglia. Mi parlavano di invecchiamento in botti ex-cognac, ma è difficile coglierne alcunché. Speziato, grasso, con un cenno dolce che prepara al legno, più marcato nel lungo retrogusto. Bella prova.

Purtroppo il tempo era tiranno, e la metropolitana, acchiappata all’ultima corsa, non mi ha permesso di indugiare ancora in questo goloso parco giochi. Milano non è ancora la città europea che si vanta di essere. Nemmeno nei weekend. Il «Salone dell’Immobile» di mercoledì 5 ce ne ha dato ulteriore e deplorevole dimostrazione.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto non può ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito, e da qualche anno ne scrive in rete sotto pseudonimo.

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