Mare&Mosto 2016 tra assaggi insoliti e dibattiti: serve davvero una Doc Liguria?

Mare&Mosto 2016 tra assaggi insoliti e dibattiti: serve davvero una Doc Liguria?

di Fiorenzo Sartore

Un segno di salute per una rassegna del nostro settore è la capacità di attrarre nuovi e inediti produttori. È il caso di Mare&Mosto, che centra bene l’obbiettivo anche per l’edizione 2016. Questa fiera local, micro e a misura d’uomo (si tiene a Sestri Levante, in una cornice che non voglio definire, tanto già sai) è il classico appuntamento al quale si partecipa con un misto di felicità e di affezione. Oltre ai vigneron già noti e gloriosi, è facile trovare produzioni inesplorate, che per un fan o un addetto ai lavori rappresenta un ulteriore valore aggiunto.

Mare&Mosto inoltre apre nella mattina di domenica con un curioso dibattito, a metà tra il work in progress e l’idea abbozzata: è il caso, o no, di introdurre una denominazione “Liguria” a tutte le altre Doc già presenti? Come segnalerà il presidente dell’AIS Antonello Maietta nel suo intervento (a tratti esilarante, un grande blogger in pectore) questa regione, assieme alla Lombardia, è l’unica in Italia a non avere una Doc o una Igt di ricaduta, che rechi appunto il nome di Liguria. L’utilità di una tale nuova denominazione risiede, secondo chi promuove l’idea, nella maggiore facilità comunicativa che consegue all’uso di un (ad esempio) “Liguria Doc” in aggiunta a denominazioni un po’ oscure e non riconducibili facilmente alla regione: si fa l’esempio di Pornassio, o Levanto.

Personalmente sono abbastanza contrario ad una simile eventualità, che pare l’opposto dell’enfatizzazione del particolare, del genius loci, insomma dell’elemento territoriale identitario (tutte cose che dovrebbero avere la precedenza). Il dibattito non risolverà il busillis, e probabilmente non era intenzione di chi l’ha organizzato mettere un punto definitivo. Semmai l’idea era interrogarsi su quell’opportunità. Tuttavia il dibattito m’ha riposizionato: forse una Igt Liguria avrebbe senso in funzione appunto di ricaduta, là dove altrimenti non esiste modo di associare il territorio a quel vino. Come d’uso in questi casi, mi rimetto anche a chi legge.

Ma si parlava di assaggi. I partecipanti erano numerosi e assieme alle molte glorie locali c’era una rappresentanza ospite forestiera (quest’anno è toccato alla zona di Soave). Sui local, come dicevo, vi segnalo quel che nelle mie note s’è accompagnato con vari punti esclamativi, asterischi ed altri geroglifici che nel mio linguaggio significano “occhio a questi qui”. In aggiunta ai punteggi, certo.

Il primo della lista è Casa del Diavolo: l’azienda è giovane come il suo frontman, che dalla Brianza pochi anni fa si trasferisce a Castiglione Chiavarese e riavvia la produzione di cose locali: bianchetta, ciliegiolo, e dolcetto, un’uva che nella zona tigullina trova numerose interpretazioni. Il dolcetto 2015 in particolare è molto intenso, profondo, tannico, con un notevole finale di frutta al netto delle rigidità tipiche del vitigno. Bene anche la bianchetta, con frutta bianca matura (mela renetta) e un’inattesa pienezza caratteriale in bocca. Prezzi sui 12 euro, indicativamente, in enoteca. Per chi volesse conoscere meglio questa (davvero micro) realtà produttiva, c’è questo PDF da un articolo dell’anno scorso tratto dal Secolo XIX.

Albana La Torre è un’azienda delle Cinque Terre fuori dal mio radar (con annesso senso di colpa). È seguita da Walter De Battè, nume tutelare di quella parte di Liguria. Volendo essere originale consiglio, più del loro già significativo bianco, il Vino Rosso (nessuna denominazione né annata in etichetta, ma trattasi di 2014) che si dimostra pimpantissimo, giovanile, con un curioso naso di frutta rossa macerata. È composto da granache e cabernet sauvignon marselan, incrocio tra grenache e cabernet sauvignon, ed ha un prezzo molto cinqueterre, oltre i 25 euro in enoteca.

A proposito di rossi, proseguo controcorrente aggiungendo alla mia wishlist il Cericò (senza annata) di Primaterra, azienda in quota De Battè: granaccia 85%, syrah 15%, che parte solo apparentemente sottile poi sprigiona un frutto quasi nascosto. Ha una beva ampia, seducente, e la durezza rincorre il frutto, tenendolo a bada.

E dopo aver detto di vini rossi in area abbastanza bianchista (mi piacciono le devianze) potrei parlare di bianchi da produttori di rossese: per esempio, e qui siamo sui nomi più noti, ho amato molto il Tabaka 2015 di Ka Manciné, e lo consiglio se non altro perché ormai non c’è gloria a parlare dei suoi affermati Rossese di Dolceacqua. Un bianco ottenuto da massarda, 70%, e vermentino, 30%, con un giorno di sosta sulle bucce. Si presenta teso, già godibile, permane a lungo con una frutta bianca molto matura, insomma memorabile. Solo 1500 bottiglie, bisognerà essere veloci. In enoteca sui 15 euro.

A proposito di soliti noti: Maria Donata Bianchi, che sarebbe già una specie di primo della classe con i suoi Vermentino Riviera di Ponente, stavolta strappa l’applauso pure col Pigato 2015: erbe aromatiche, timo, mare e sole, praticamente una camminata sull’Alta Via dei monti liguri in una bella giornata. Tanta soddisfazione per circa 15 euro in enoteca.

E volendo chiudere evocando un rifermentato-col-fondo (non posso più farne a meno, abbiate pazienza) tenete a mente Podere Grecale che, tra le altre cose buone, ha un Frizzantin (si chiama proprio così) composto da vermentino 80%, granaccia (in bianco) 20%: mela ancora verde, puntuto in bocca, quasi asciugante. Prezzo sui 12 euro e ne berresti a damigiane ma, attenzione: solo 500 bottiglie prodotte. I latifondi in Liguria stanno messi così.

In chiusura voglio segnalare almeno uno tra gli ospiti foresti dall’area del Soave: Sandro De Bruno ha presentato tra l’altro un esemplare metodo classico da quelle uve, nel quale la spumantizzazione si avvale del notevole corredo aromatico mineral-vulcanico del Soave. E inoltre aveva in assaggio una versione matura, 2008, del bianco fermo: un assaggio raro, potente, per un vino che (dice il patron) non è più in vendita ormai, al limite si regala ai clienti che passano in azienda a fare acquisti. Direi che vale la pena annotarsi quell’indirizzo.

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Fiorenzo Sartore

Vinaio. Pressoché da sempre nell'enomondo, offline e online.

4 Commenti

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Aldo

circa 8 anni fa - Link

Mi ritrovo con le tue considerazioni sui vini assaggiati; solo una precisazione, se la memoria non mi inganna: il La Torre Rosso è da uve marselan, incrocio tra grenache e cabernet sauvignon.

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Fiorenzo Sartore

circa 8 anni fa - Link

Avevo letto anche da scheda online, ma nei miei appunti avevo solo quello, si vede che erano più geroglifici del solito...

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elle

circa 8 anni fa - Link

ecco, i prezzi cinqueterre ti fanno passare la voglia.

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Serena Roncone

circa 8 anni fa - Link

Grazie Fiorenzo! Contenta che ti sia piaciuto il nostro rifermentato col fondo. Sono 500 bottiglie per questo primo anno di debutto, ma l'idea/speranza è quella di farne di più... un saluto

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