L’utopia realizzabile del vino naturale 

L’utopia realizzabile del vino naturale 

di Nicola Cereda

Il latte è naturale? Sarei possibilista anche se c’è una certa differenza tra il latte crudo munto in alpeggio e l’UHT proveniente da un allevamento intensivo della pianura padana. Possiamo considerare “naturale” una Frisona Olandese progettata geneticamente per produrre 40 litri al giorno? Senza l’allevamento, le vacche sarebbero ancora presenti sul nostro pianeta? Di certo non avrebbero seguito questa bizzarra deriva evoluzionistica. Allo stesso modo, cosa sarebbe stato della vitis vinifera senza la simbiosi con l’uomo realizzata attraverso l’agricoltura?

Il compianto Stefano Bellotti, contadino e libero pensatore, sosteneva: “L’agricoltura non è natura. L’agricoltura è fuori dalla natura. L’agricoltura è lecita se ricostruiamo ogni giorno l’equilibrio che abbiamo rotto, facendo agricoltura.

Se è vero che è più facile convincere le persone a ragionare con la propria testa formulando domande piuttosto che affermazioni…

– È naturale addomesticare una pianta?

– È naturale spingerla a produrre frutti a nostra convenienza, misura e gusto?

– È naturale raccoglierli per la trasformazione e la conservazione?

– È naturale l’attrezzatura atta ad estrarne il succo?

– È naturale indurre il mosto alla fermentazione?

– È naturale accompagnarlo per mano fino alla metamorfosi in vino?

– È naturale fare in modo che questa bevanda conservi le sue caratteristiche il più a lungo possibile?

– È naturale forzarne e gestirne la contaminazione per ottenere l’aceto?

– È naturale la ricerca dell’intossicazione alcolica?

“Tutti sappiamo che l’uva pende dalle viti e l’oliva dagli olivi: come pure sappiamo che è per questi due frutti che si sogliono allestire i torchi. Orbene, fino a tanto che stanno sull’albero, tali frutti si godono, per così dire, la loro aria libera; e l’uva non è vino né l’oliva è olio finché non vengano ad essere spremute.” (Agostino, Esposizione sui Salmi, 83, 1)

Il vino che beviamo oggi è il risultato di dodicimila anni di agricoltura durante i quali l’uomo (tra le altre cose) si è ingegnato ad “inventare” la vitis vinifera, conformandola, piegandola a produrre quanto gli faceva più comodo, e di ottomila anni di fermentazioni alcoliche. Ma l’essere umano è parte integrante della natura o va considerato al di fuori di essa?

“Il vino naturale non è un tipo di vino. Si tratta di un movimento di contro-cultura. Il vino naturale non è un metodo. Si tratta di un atteggiamento etico ed estetico. Il vino naturale non è un marchio. Si tratta di uno sguardo critico (uno dei molteplici possibili) rispetto alla catastrofe economico-ecologica del mondo attuale.”

Sembra passato un secolo da questa fascinosa definizione del vignaiolo Corrado Dottori. Proviamo a partire da qui per cercare una via di fuga dall’apparente mesta conclusione di una stagione di insurrezione culturale.

“La domenica delle salme

Gli addetti alla nostalgia

Accompagnarono tra i flauti

Il cadavere di Utopia”

(Fabrizio De André, La domenica delle salme)

Ho sempre associato il vino naturale a un obiettivo teorico, alla perfezione verso cui tendere. L’irraggiungibile stella polare che indica un cammino, non una destinazione finale ma viaggio e direzione. L’utopia nell’accezione moderna del termine, l’isola ideale di Thomas More che non può  esistere per davvero.

Eppure un’utopia, se non è realizzabile, resta essenzialmente un sogno. E’ ciò che sostiene l’architetto franco-ungherese Yona Friedman nel suo prezioso “Utopie realizzabili” attraverso il quale invoca ed incoraggia, piuttosto che una rivoluzione, una certa idea di resistenza.

“Le vere utopie sono realizzabili. Credere in un’utopia e essere contemporaneamente realisti non è una contraddizione. Un’utopia è, per eccellenza, realizzabile”.

Seguendo il suo ragionamento, il vino naturale è a tutti gli effetti un’utopia realizzabile in quanto sono vere le tre condizioni che ritiene indispensabili alla sua definizione:

  •   scaturisce da un’insoddisfazione collettiva
  •   esiste una tecnica che può superare questa insoddisfazione 
  •   ha guadagnato il consenso di una massa critica sufficiente e necessaria
  •   Scaturisce da un’insoddisfazione. Quella di produttori e consumatori stanchi di un mercato globalizzato dominato da prodotti di origine industriale. La rivoluzione del gusto prende vita dal corto circuito tra la filosofia produttiva (di stampo schiettamente artigianale) di un gruppo di vignaioli dissidenti e il rinnovato interesse del pubblico per la salubrità e la genuinità dei prodotti alimentari. Il movimento del vino naturale, come spiega il cineasta Jonathan Nossiter nel suo libro Insurrezione culturale, “porta coloro che se interessano a riflettere sull’agricoltura nella sua globalità culturale, a pensarla come posta in gioco essenziale per l’avvenire dell’umanità”. Un atteggiamento che assume un’esplicita connotazione politica. Perché accettare in modo acritico prodotti esteticamente rassicuranti dal gusto omologato e costruito? Per quale motivo tutto ciò che si discosta dall’ordine costituito viene bollato come devianza o difetto? “La critica al gusto globalizzato, al gusto tecnocratico della società dei consumi, è dunque parte della critica all’Homo oeconomicus del pensiero unico. […] La guerra del gusto in corso, a difesa del piacere della diversità, si trasforma sempre più in una battaglia di civilità” (Corrado Dottori, “Non è il vino dell’enologo”). Gli fa eco il regista di Mondovino e di Resistenza naturale: “difendendo il nostro gusto, affermiamo la nostra individualità in un contesto sociale”.
  •   Esiste una tecnica che può superare questa insoddisfazione. Il movimento dei vini naturali nasce in Francia negli anni duemila e trova un primo consolidamento nel disciplinare dell’Association des Vins Naturel (AVN). Sebbene il movimento si distingua sin da subito, anche in Italia, per l’incapacità di fare fronte comune, le diverse associazioni nate dalle varie scissioni (VinNatur, Vini Veri, Renaissance, Vi.Te, VAN) si basano su manifesti e disciplinari praticamente sovrapponibili. In fondo pochi pilastri quali l’agricoltura biologica o biodinamica come base di partenza, la fermentazione spontanea del mosto senza aggiunta di altre sostanze ad eccezione di solfiti in piccole quantità, il divieto di pratiche fisiche e meccaniche invasive atte ad alterarne le caratteristiche intrinseche. Si torna al passato attingendo all’esperienza accumulata in secoli di vinificazioni senza comunque rifiutare a priori ciò che la scienza fornisce a supporto. VinNatur ad esempio è da sempre promotrice di progetti di ricerca e sperimentazione come quelli per la riduzione di rame e zolfo nei vigneti o sulla fertilità biologica dei terreni. Francesco De Franco, produttore di Cirò, una volta mi disse: ‘in Calabria eravamo talmente arretrati che con l’avvento del vino naturale ci siamo ritrovati all’avanguardia’. Una battuta che rivela l’impegno a ridurre le pratiche enologiche (relativamente recenti) che hanno fatto la fortuna della produzione industriale massiva nell’era della riproducibilità. Insomma, fare vino naturale non solo è possibile ma esistono protocolli e regole garantite dalle associazioni che al momento sostituiscono una normativa giuridica ancora lontana dal diventare realtà.
  •   Ha guadagnato il consenso di una massa critica sufficiente e necessaria. L’ultimo scoglio, quello contro il quale la maggior parte delle utopie si infrange, è stato brillantemente superato in anni e anni di divulgazione e informazione, attraverso fiere ed eventi specifici che hanno raggiunto, prima della pandemia, una comunità sempre più vasta, entusiasta e composita. Parole chiave come biologico, biodinamico, naturale riferite al vino, sono entrate a far parte di un linguaggio comune e condiviso. La locuzione vino naturale è presente da anni in wikipedia in lingua inglese, francese e italiano. C’è ormai un pubblico che comprende, apprezza e appoggia il lavoro di questi vignaioli, limando di fatto la distanza tra produttori e consumatori, mettendo in discussione l’essenza stessa della suddivisione in categorie.

Al netto di qualsiasi teoria o polemica, a valle di innumerevoli domande senza una risposta definitiva e in attesa di tornare sul campo a verificare lo stato dell’arte, azzardo un’ipotesi del tutto personale: (come minimo) il vino naturale è un prodotto dell’umano ingegno per il piacere degli esseri umani nel rispetto della natura al meglio delle attuali possibilità. L’immaginazione mi riporta al rock’n’roll del ’56 e al punk del ’77, movimenti rivoluzionari fagocitati dal sistema contro il quale erano rivolti, movimenti seminali per tutto ciò che ne è indirettamente seguito.

Non siamo ancora nell’estate dell’amore ma, con un po’ di pazienza, prima o poi ci arriveremo.

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Nicola Cereda

Brianzolo. Cantante e chitarrista dei Circo Fantasma col blues nell'anima, il jazz nel cervello, il rock'n'roll nel cuore, il folk nella memoria e il punk nelle mani. Co-fondatore di Ex-New Centro di arte contemporanea. Project Manager presso una multinazionale di telecomunicazioni. Runner per non morire. Bevo vino con la passione dell’autodidatta e senza un preciso scopo. Ne scrivo per non dimenticare e per liberarmi dai fantasmi delle bottiglie vuote.

63 Commenti

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Giacomo

circa 3 anni fa - Link

Che belli i pasolinisimi, che bella la fuffologia. Insoddisfazione collettiva: non direi, i volumi di vendita dei vini dicono il contrario. Tecnica: il vino che mi è più piaciuto ultimamente era un dolcetto di dogliani vinificato da un muntagnin (il cielo solo sa quanto mi dispiace parlar bene dei montanari occitani, i maggiori depauperatori del loro territorio) che compra uve e vinifica come si deve, acciaio e pulizia, e le bottiglie vengon via a 5 euri in carta nel suo ottimo ristorante. Consenso massa critica: fateve servì, se vi piace. Volete bervi la birra di Bruegel? Io mi bevo la Forst. Vi garban le volatili? Accomodatevi. E' una nicchietta, come chi ama fare sesso una maschera addosso o buttarsi da un monte con le ali di nylon. C'è posto per tutti, senza troppi ideologismi.

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BT

circa 3 anni fa - Link

ciao hai qualche riferimento documentale non aneddotico al fatto che i montanari occitani italiani avrebbero distrutto la loro montagna? mi interessa capire.

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endamb

circa 3 anni fa - Link

Che bello il tuo pezzo, Nik. Che tristezza il primo commento che ha ricevuto.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Grazie per l'apprezzamento :-) Si cerca solo di ragionarci un po' su "nel raggiungimento della maggiore età" ;-)

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Giacomo

circa 3 anni fa - Link

Gentile Nicola, runno anche io per non morire, e grazie per aver pubblicato. Questo però lo tenga per se.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Giacomo, con la teoria me la caverei anche, in pratica mi tiro la zappa sui piedi. Nel mio mondo c'è posto per pochi. Spesso non ci mi metterei nemmeno io stesso. Nel resto del globo invece le cose continuano ad accadere indipendentemente dalla nostra opinione, volontà, esistenza. Le sorti del vino naturale non dipendono certo dalle mie o dalle tue considerazioni. Sono passati vent'anni. Nicchia o meno, che ci piaccia o no, "vino naturale" is here to stay. Era forse questo il concetto che volevo esprimere. Detto ciò, ti prego, continua a commentare (e a correre!) :-) 

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Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Il mondo è grande, c'è posto per tutti (o quasi). Mi dà sempre un pò di tristezza l'accanimento 'curvaiolo' di sostenitori di una parte o dell'altra in materia di vino (ma potremmo estendere la mentalità anche ad argomenti ben più capitali nelle vite di tutti noi). Se mr. Giacomo, legittimamente, predilige soluzioni idroalcoliche create con stili differenti da altri ritengo che l'importante sia la sua soddisfazione. Se altri si pregiano di sorbire flaconi che possono avere dai sentori di cavallo imbizzarrito o di leggera volatile (che, in chi lavora a modo, tende a scomparire in breve o brevissimo tempo) oppure qualche lieve imperfezione secondo le bibbie enologiche ma magari non per il degustatore, non vedo il problema. Ognuno sollevi i calici contenenti ciò che meglio gli aggrada. Personalmente ho provato le maggiori emozioni della mia profana carriera di appassionato con produttori molto attenti al rispetto della vigna ed allo scarso interventismo di cantina, detto ciò 20 ml di solforosa in più non mi gettano nel panico....Qualche musata l'ho presa ma ormai ho imparato a difendermi quasi sempre. Il mio pranzo in famiglia di oggi comprenderà un Vignammare di Barraco e una riserva Produttori di Carema, bocce 'costruite' con stili diversissimi ma entrambe assai piacevoli al mio palato. Buon fine settimana in letizia, nonostante tutto, spero per voi.

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Lanegano

circa 3 anni fa - Link

'Dei' sentori di cavallo. Non 'dai'.... Noi cinquantenni avanzati, senza occhiali da lettura siamo pericolosi alla tastiera.... :)

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Nelle Nuvole

circa 3 anni fa - Link

Il post è composto con il solito bello stile articolato di Nic. Per quanto mi riguarda, dopo tanti anni passati a vedere nascere, crescere ed invecchiare un movimento legittimo e prevedibile, ormai non ho più emozioni a riguardo, se non qualche lacrima da spargere sulla tomba lessicale del termine "naturale". La sua morte, prevedibile anch'essa, è dovuta alla progressiva spoliazione di un significato un tempo perfettamente comprensibile.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Grazie NN, mi ero ripromesso di non mettere paragoni musicali ma "naturalmente" ci sono ricascato :-)

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Vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...non mi piace, e si sa, il termine " naturale" , pur piacendomi i produttori " naturali" e , molte volte, i vini " naturali" , quando sono buoni perché prodotti da produttori " naturali" bravi...mi sembra tutto ciò naturale...

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Nicola Micheletti

circa 3 anni fa - Link

A me continua a piacere il vino buono. È un valore aggiunto se poi so che il contadino ha un approccio rispettoso della sua terra ed è poco interventista in cantina, per cui mi va anche bene spendere di più. Biologico, biodinamico e naturale sono belle etichette che suonano molto bene quando il vino è buono. Altrimenti sanno tanto di alibi irricevibile.

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domenico

circa 3 anni fa - Link

Ho da poco iniziato a bere qualche vino naturale, una decina nell'ultimo bimestre. Alcuni li berrò di nuovo, altri no. Non ne faccio una questione di filosofia o moda, alcuni erano buoni, altri meno: la volatile non la amo e non cambierò per amore dei vini naturali. Sono d'accordo che il movimento dei vini naturali sta cogliendo i frutti del duro lavoro, soprattutto nel mondo. Credo che in ottica di sostenibilità, molti produttori di vino facciano già la loro parte con i boschi che intervallano i vigneti. Io lascerei perdere le guerre. Il vino è un piacere e tale deve rimanere, non lo paragonerei al succo d'arancia BIO..

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Nell'articolo si legge: 1 "Ha guadagnato il consenso di una massa critica sufficiente e necessaria" ____ Nello stesso articolo 2 viene fatta un'analisi critica della parola NATURALE.(Parola che non si dovrebbe usare non soltanto in etichetta (è vietato) ma anche nella propaganda commetciale e, in generale, nel discorso su questa categoria di vini) ____ Secondo me, gran parte del "successo commerciale" (Punto 1)dei cd. vini naturali è dovuto all'uso spregiudicato della parola NATURALE. Possiamo dire che "Ha guadagnato il consenso di una massa critica sufficiente e necessaria" per un imbroglio semantico? ____ Dottori, per me, è prima di tutto, uno che sa fare retorica. Sa usare bene le parole per persuadere. Non mi ha mai convinto. ____ Ma avete dimenticato le sparate, le ingiurie contro i vini convenzionali? (Attenzione, non confondiamo i vini convenzionali con vini industriali) ___ Ora tutti si acquietato, i vini cd. naturali hanno una solida fetta di mercato, vendono con ricarichi maggiorati rispetto ai convenzionali. È tempo di PACE. Prevale il "Volemose bene" Ed è finita a... Tarallucci e...... VINO.

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marcow

circa 3 anni fa - Link

"Parole chiave come biologico, biodinamico, naturale riferite al vino, sono entrate a far parte di un linguaggio comune e condiviso" (Dall'articolo) _____ Mentre il BIOLOGICO è regolamentato per legge, BIODINAMICO e NATURALE non lo sono. Hanno regolamentazioni "interne" alle associazioni di adotta queste metodiche. ____ Detto in altre parole, il consumatore deve "FIDARSI" "di più" di "quello" che gli "racconta" il MARKETING di queste 2 categorie di vini. ____ Quando leggo delle "castronerie"(sui wine blog italiani) sul CONVENZIONALE (che conosco bene per ESPERIENZA DIRETTA in frutticoltura) penso aila CONFUSIONE MENTALE che ha prodotto, negli ultimi decenni, la MITICA RETORICA sul NATURALE e sulla BIODINAMICA. E mi chiedo: perché gli ESPERTI di DEGUSTAZIONE non si applicano a capire meglio come si fa agricoltura (e viticoltura) CONVENZIONALE di alto livello? ____

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Al termine "biologico" abbiamo semplicemente fatto l'abitudine. All'inizio ricordo che lo detestavo, ora non ci faccio più caso. E' ugualmente orribile e fuorviante. Come se il resto dei prodotti fosse escluso per definizione dal ciclo biologico. E' stato utilizzato per un periodo senza una legislazione poi subentrata a regolamentare la produzione agricola e, diversi anni dopo, anche il vino. Prima del vino biologico c'è stato il vino "prodotto con uve da coltivazione biologica". E quindi? Il punto non è quello. Ci serve forse una legge per sdoganare una nuova tipologia di prodotto con apposito marchietto di garanzia da mettere sugli scaffali di un supermercato di una catena bio?Il vino naturale c'è, ma che fine ha fatto il movimento? Il mondo (non solo quello del vino) avrebbe un disperato bisogno di molti altri Stefano Bellotti, molto meno del suo vino.

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vinogodi

circa 3 anni fa - Link

...ma perchè non creare un movimento con un manifesto chiaro e non fuorviante , quale : "...da agricoltura sostenibile" , concetto ormai condiviso e auspicato da tutti? La terminologia nella comunicazione è anche sostanza, per questo è vietato usare termini che possono trarre in inganno i consumatori . Concordo sull'aberrazione del termine "Biologico" per tantissimi motivi , sia quello che ha sottolineato (...come se gli altri non appartenessero ad un ciclo biologico"...) ...ma anche "naturale" , perchè tutto il resto , per semplice etimologia, sembrerebbe non naturale o , peggio artificiale ed artefatto. Inoltre anche le persone comuni sanno bene che un microsistema "bio" all'interno di un macrosistema convenzionale è fuffa pura , perchè acqua , pioggia, vento, insetti ecc non sono "bio certificati" ma la loro traslazione è territoriale ampia . Rimane l'importanza concettuale di salvaguardia del territorio in generale , per lasciare ai nostri figli non l'immondezzaio che stiamo creando , quindi la formula giusta è creare una cultura del pulito , sia in campagna che in cantina (...e così per tutti i derivati agricoli) . Perchè il movimento "naturale" sta morendo? Perchè la psicosi collettiva scema per assuefazione o per conoscenza (cultura? ...troppo difficile) ...

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Nic Marsél, vorrei precisare che la polemica è verso il cd. NATURALE e BIODINAMICO. Sinceramente ho simpatia verso di lei e la seguo con interesse ma, purtroppo, "sembra" il contrario perché polemizzo con alcuni passaggi del post. Polemizzo sul contenuto che riprende degli argomenti, più volte discussi, sul vino naturale. E non su Nic Marsél. __ "Il vino naturale c’è, ma che fine ha fatto il movimento?" Ho espresso un'opinione. Una volta raggiunto il successo commerciale, economico, di pubbblico ecc... si esaurisce fisiologicamente...qualsiasi MOVIMENTO.... Sui CONTROLLI la penso diversamente da lei. Occorrono RIGOROSI CONTROLLI per garantire il consumatore. Il fatto che già quelli esistenti non funzionino molto bene non significa che... non servono. Saluti cordiali, Nic Marsél

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Grazie per il contributo come sempre interessante!

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Viva Roddolo

circa 3 anni fa - Link

L'articolo è davvero interessante, attualissimo e scritto in modo da offrire molteplici spunti sui quali riflettere. Vorrei chiedere a marcow perché, secondo lei, i vini cosiddetti naturali sono venduti con ricarichi maggiori rispetto ai convenzionali?

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Federico

circa 3 anni fa - Link

Complimenti vivi per la definizione: "il vino naturale è un prodotto dell’umano ingegno per il piacere degli esseri umani nel rispetto della natura al meglio delle attuali possibilità". Non perchè condivida o meno quanto espresso, questo non fa la differenza, ma perchè da finalmente il senso di ricerca e studio dello stato di fatto per arrivare a una definizione quanto più oggettiva possibile. Complimenti davvero sinceri.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Premetto che non ho la benché minima idea di cosa siano il rock’n’roll del ’56 o il punk del ’77, ma qualcosa di vino mi è capitato di ascoltare per cui mi trovo sconcertato dalla definizione "il vino naturale è un prodotto dell’umano ingegno per il piacere degli esseri umani nel rispetto della natura al meglio delle attuali possibilità". Frase carina, molto democristiana, che è applicabile ad ogni vino del mondo, ai marron glacé, alla Cappella Sistina e pure a un buon bagno caldo.

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hakluyt

circa 3 anni fa - Link

La ringrazio: volevo scriverlo io ma mi sono astenuto per evitare che si dica che sono sempre polemico...

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Capisco che la gente non ha voglia nè tempo di leggere e allora traduco in soldoni. Premesso che l'aggettivo "naturale" non è corretto anche se ci sono cose "più naturali" di altre (leggi articolo). Premesso che il vino naturale nasce da un movimento come risposta a ecc... con obiettivi più "alti" che non la semplice definizione di un nuovo sigillo di garanzia (leggi articolo). Cosa ci resta oggi? Un prodotto dell’umano ingegno (quindi artificiale) per il piacere degli esseri umani (quindi le puzze sono derive e non obiettivo) nel rispetto della natura al meglio delle attuali possibilità. Forse è molto o forse (come penso io) un po' pochino rispetto alle premesse da cui era partito (come il rock'n'roll del '56 con le prime incisioni di Elvis Presley, Carl Perkins, Johnny Cash, Little Richard, Jerry Lee Lewis ecc. con la loro carica eversiva).

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hakluyt

circa 3 anni fa - Link

Appunto...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 3 anni fa - Link

Non occorre spiegare granché, il fatto è che il Brunello è un certo vitigno, da una certa zona e fatto in un certo modo definito, bio è una procedura definita e anche bio-dinamico, più o meno, si sa cosa è. Ma "naturale" che è? Gli stessi produttori si attengono a definizioni diverse, su cui non trovano un accordo tra di loro.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Posso nutrire delle riserve su quel marchio (di una società privata) che si arrogherebbe il diritto esclusivo di utilizzo della parola "biodinamica"? La diffidenza diventa allergia scorrendo una pagina qualsiasi di "La vigna, il vino e la biodinamica" di Nicolas Joly. Eppure i suoi vini sono eccellenti (col paradosso delle quantità non certo omeopatiche di solforosa) e negarlo sarebbe disonestà intellettuale. Dopo anni e anni di assaggi mi rendo conto che i bioqualcosa hanno spesso qualcosa in più che non riesco a descrivere se non col termine vitalità. Forse non è questione di metodo ma di merito: quello di un maggior rispetto per la terra che ripaga con una materia che sprizza energia. Come scritto nel post, il naturale è ben definito e controllato dalle associazioni che hanno disciplinari sovrapponibili. Le divisioni non sono dovute a differenze sostanziali sulle regole ma spesso soltanto su conflitti personali. Il vino naturale esiste, il movimento non lo scorgo più, ma forse sono io che ho chiuso gli occhi.

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Guido

circa 3 anni fa - Link

Bellissimo articolo. complimenti. completo e contestualizzato. un solo appunto: quando leggo che i differenti disciplinari delle associazioni sono pressoché sovrapponibili non sono così d'accordo: l'utilizzo del freddo (inteso come controllo della °t in fermentazione) ha un impatto secondo me importante, forse maggiore di quello dei lieviti selezionati, nel connotare un vino come risultato di una trasformazione "naturale". su questo punto le associazioni sono sempre rimaste distanti. allo stesso modo la stesura di un disciplinare bio ha in passato creato correnti e posizioni non allineate. la certificazione per i vini naturali sembrava ad un passo ma rimarrà forse ancora a lungo una chimera. ma anche senza definizioni definitive il "movimento" dei vini naturali ha aperto gli occhi, e la strada, per tanti approcci, non solo dal punto di vista tecnico, per fare, e capire meglio, il vino

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Hai ragione. Tuttavia bisogna capire cosa si intende per controllo della temperatura. Non sono un lavoratore nè un esperto di settore e non ho voce in capitolo ma personalmente non mi scandalizza il controllo di temperatura "in emergenza" per impedire un arresto fermentativo o per evitare che il mosto si prenda una febbre da cavallo. Non mi spavento nemmeno se dovesse servire a scongiurare l'inoculo di batteri lattici o una malolattica indesiderata in bottiglia. Se invece si tratta di una precisa pratica per dare un'impronta specifica al vino (criomacerazioni o simili) e non di una manovra di salvataggio, allora lascio che ad azzuffarsi siano le associazioni. Storco il naso ma non metto becco nemmeno sull'abbattimento della temperatura per la stabilizzazione tartarica, che molti usano per accelerare in pochi minuti processi che necessiterebbero di un inverno intero. Ma di nuovo, parlo di cose che non mi competono e di un business che non faccio. Mi porrei il problema solo se fossi produttore con un'azienda con un bilancio da tenere in attivo. L'obiettivo dello scritto è un altro.

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Giuseppe

circa 3 anni fa - Link

mi aggiungo a chi si complimenta con l'autore per questo bell'articolo e fatico a capire alcune risposte piccate o ironiche. Nic si e` sforzato di fare un analisi non banale del "fenomeno". Magari avra` anche fatto la sua scelta "di campo" ma non lesina critiche e pone interrogativi sensati. Io l'ho trovato proprio una bella lettura, grazie Giuseppe

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Grazie a te Giuseppe! :-)

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hakluyt

circa 3 anni fa - Link

Ricapitolando: non prendi posizione quando Giacomo parla di "pasolinismi" e "fuffaggine", non dici nulla a NN quando parla di "morte del termine naturale", non rispondi a Vinogodi quando addirittura scrive che "il movimento naturale sta morendo", non ti ribelli quando SCB bolla come democristiana la tua definizione di vino naturale. Parli di "protocolli e regole garantite dalle associazioni", scordandoti di far notare che è buona norma che le regole le scriva un "ente terzo", in grado di farle rispettare e non direttamente coinvolto nel business. Concludi che "al momento (tali regole, scritte da quelli che dovrebbero essere "regolati") sostituiscono una normativa giuridica ancora lontana dal diventare realtà", senza accennare al fatto che ciò potrebbe portare ad abusi o reati. Mah...

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Credo che nessuno di coloro che hai citato si attendesse alcuna mia ulteriore replica. Sei forse il loro avvocato o al contrario ti vuoi proporre per difendere i miei interessi? Per il resto hai sottolineato un elemento corretto anche se non credo che esistano certificazioni affidabili al mille per mille. Ti rammento un caso clamoroso evidenziato da VinNatur: un produttore certificato BIO viene sottoposto ad analisi per diventare socio e risulta positivo a 7 (sette) pesticidi diversi con valori talmente elevati da escludere l'effetto deriva.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

PS Essere membro di un'associazione non esclude a priori le certificazioni biologiche o biodinamiche che anzi solitamente sono la base di partenza. I produtori sono sottoposti a controlli ulteriori.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

A me piacerebbe che i produttori naturali dedicassero la stessa attenzione profusa per portare uve sane in cantina, ai mosti. Adesso dico una banalità, però è difficile negare che quando il processo fermentativo fatica a decollare, rallenta, oppure si arresta prima della trasformazione degli zuccheri in alcool, i batteri acetici ed altri microrganismi responsabili dell'aumento dell'acidità volatile, vadano a nozze. Poco tempo fa, Sandro Sangiorgi (articolo il topo e il var)dimostrando grande onestà intelluale, espresse preoccupazione per l'alto numero di bottiglie di " produttori naturali" con difetti palesi(volatile e buccia di salame).In particolare, si riferiva a quei parvenu che incoraggiati dalla spontaneità a prescindere da tutto, hanno rinunciato all’anidride solforosa senza però avere la minima competenza e consapevolezza di cosa accade tra la vigna e la cantina e durante la fermentazione. Cito testualmente: «Il mercato degli innamorati dei vini naturali si è riempito di bottiglie di sconosciuti interpreti francesi e spagnoli che hanno fatto della sciatteria una specie di marchio distintivo». Parole pesanti su un fenomeno che certificazioni o meno, almeno io faccio fatica a seguire. Personalmente, al di là della noia olfattiva, rimango dell'idea che I difetti abbiano un carattere omologante e vadano a vanificare l'arricchimento che un grande terroir può conferire ad un vino. Come credo che non andrebbe demonizzata la figura dell'enologo, e bisognerebbe evitare i luoghi comuni quando si parla di lieviti selezionati. Faccio un esempio: la più grande cantina del Barbaresco, che suppongo usi da sempre lieviti selezionati, produce vini tutti uguali? Rabaja e Montestefano, Ovello o Asili, vi sembrano uguali? Potrei fare lo stesso discorso con Sordo che produce cru di Barolo come nessuna altra cantina della denominazione: Gabutti e Monprivato, Ravera e Monvigliero, li trovate uguali? La risposta è ovviamente no. Eppure probabilmente utilizzano da sempre lieviti selezionati, e con ciò riescono a produrre vini con una spiccata personalità ed espressivi del territorio di provenienza. Ci sono vini buoni e vini cattivi. Mettere l'elmetto non giova. a nessuno. Saluti.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

È da tempo che non intervengo, però quello dell’articolo è uno dei miei (pochi) argomenti (pubblicati su questo sito) che destano la mia curiosità. L’autore ha compiuto un lavoro encomiabile, ci sono dei contenuti, indipendentemente dalle posizioni di ciascuno. Solo dei cenni, così “random”: 1) su biodinamica, Demeter/Stineriani, certificazioni etc ci siamo confrontati nel 2020, più o meno in questo periodo. Direi che abbiamo detto molto, allora 2) Terroir! Ah: l’altro mito! Anche qui ho scritto 2-3 mesi fa e lì rimango. Riprendo un concetto che trasformo in sentenza: il terroir è quella cosa che è descritta ed evocata dall’”esperto” (innamorato del fenomeno “terroir”) per il banale motivo che sa cosa sta assaggiando, lo sa perché ha letto l’etichetta del vino in esame e perché ha letto un po’ di racconti su presunte caratteristiche consegnate al prodotto dal detto terroir. Quanto si fa doppio e triplo cieco, diventa tutto meno “immediatamente riconoscibile”, questo è certo. Convenzionale, biologico o “naturale” che sia 3) Il vino contiene una sostanza, l’etanolo, certamente cancerogena come acclarato dall’OMS, da Lancet e ripetuto da Airc. Io penso soprattutto a questo quando assaggio o bevo e mi viene in mente quando, da giovane, studiavo il nichilismo...

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Alessandro C

circa 3 anni fa - Link

Se il terroir fosse soltanto un concetto ideologico e non una realtà, si potrebbe cominciare col fare il vino in pianura anziché in collina. Bisognerebbe poi ammettere che la differenza tra i Pinot Nero italiani e i grandi Borgogna, sia dovuta esclusivamente alla bravura degli enologi d'oltralpe; bisognerebbe poi avere il coraggio di dire che ad Erbusco e nella Cote de blancs, si possano produrre i medesimi Chardonnay, tanto poi sarà il processo di vinificazione a fare una grande bollicina, e per giunta coloro che hanno speso milioni di euro per comprare un ettaro di vigneto nei Grand Cru, sono dei fessi perché tanto il terroir non esiste! Bisognerebbe poi spiegare come mai suoli differenti rendano i Nebbioli delle Langhe così diversi da quelli che si ottengono nel vercellese, nel Novarese o in Valtellina. Evidentemente, sempre se il terroir non esistesse, ugualmente fessi sarebbero coloro come Roberto Voerzio, giusto per citarne uno, che si sono indebitati con le banche per acquistare un fazzoletto di terra nelle Brunate o nei Cannubi, perché con poche migliaia di Euro avrebbero potuto piantare il loro clone di Nebbiolo nei Colli del Limbara. In Sardegna. Dove si vinificano dei Nebbioli simpatici. E si potrebbe continuare fino alla punta dello stivale, anzi fino ad arrivare alle pendici del vulcano. Ma evidentemente anche le Contrade dell'Etna non esprimono terroir. E pensare che Gaia, Davide Rosso e Andrea Franchetti si sono precipitati ad acquistare terreni nelle Contrade!! Mi fermo per non annoiare ulteriormente e saluto tutti con grande cordialità. Non è una polemica la mia, ma soltanto un breve richiamo al buon senso.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Ciao Alessandro, Faccio un esempio semplice e vado con l'accetta Comune di Castiglione Falletto: Rocche di Castiglione e Villero. Due Cru straordinari. Il primo ha un terreno abbastanza magro, di medio impasto, con una percentuale di sabbia importante rispetto ad altri cru di Barolo. Il terreno trattiene poco l'acqua e nelle annate torride, come la 2017 attualmente in commercio, i Nebbioli soffrono di più rispetto a quelli di altre zone. Questo vigneto straordinario regali vini profumati, di grandissima finezza ma meno strutturati rispetto a quelli di altre cru. I vini sono riconoscibili proprio per la grande finezza olfattiva e per una leggiadria che li rende strepitosi già a pochi anni dalla vendemmia. Basti assaggiare il Rocche di Vietti, di Brovia, di Oddero, di Sordo o di Roccheviberti per rendersene conto. Se ci si sposta sui 16 ettari del Villero, troviamo un terreno argilloso e compatto, più ricco rispetto a quello delle Rocche e in grado di trattenere maggiormente l'acqua. L'uva di questo gran cru non teme il caldo e nelle annate siccitose soffre meno che quella delle Rocche. Regala dei Barolo più strutturati e tannici, meno pronti ma di grandissima longevità. Sempre Vietti, Brovia, Oddero, poi Fenocchio, L'Enrico VI di Cordero di Montezemolo, Mascarello, Sordo dal 2013 ed altri ancora. Stesso vitigno, terreno ed esposizione diversi, vini completamente diversi. Prassi adottata in passato era quella di assemblarli proprio per esaltare le caratteristiche di entrambi e limitarne i difetti. Era l'assemblaggio classico di Castiglione: "Le Rocche per il profumo, il Villero per il gusto" Una saggezza contadina troppo in fretta dimenticata.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

A mio parere non si può ridurre il terroir a concetto astratto ma nemmeno alla fredda analisi di un carotaggio. So di avventurarmi su un pendio scivoloso ma secondo me il terroir è relazione tra uomo (la storia, le tradizioni) e territorio (geografia, geologia, clima), realizzata tramite un mezzo (il vitigno) nel contesto temporale di un'annata.

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Prendo spunto dal commento di Nic Marsél per dire qualcosa. 1 Ho fatto una breve ricerca nel Web sul concetto di TERROIR e sono rimasto un po' frastornato perché ho trovato molte e diverse sfumature semantiche. 2 In alcune definizioni vengono esaltate "soltanto" le caratteristiche pedo-climatiche. Non viene preso in vonsiderazione il ruolo dell'uomo, in vigna e in cantina. 3 In altre definizioni, invece, viene preso in considerazione il ruolo dell'uomo. 2b Sulle caratteristiche (v 2) in alcune definizioni prevalgono le caratteristiche del suolo in altre vengono prese in considerazione anche quelli climatiche. E si potrebbe continuare. __ Personalmente, per la mia Forma Mentis, dovrei dedicare molto tempo allo studio e all'approfondimento per capire meglio. Un'idea, comunque, anche se da approfondire, me la sono fatta. __ Vorrei segnalarvi questo articolo che esprime delle considerazioni interessanti sul concetto di Terroir. In un altro dibattito Stefano Cinelli Colombini espresse una sua opinione sul concetto di terroir che io condivido. (Adesso non ricordo bene il titolo dell'articolo). Dove metteva in maggior rilievo gli aspetti microclimatici(ma mi corregga se non ricordo bene) https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://www.cinellicolombini.it/forum/mineralita-del-vino-fra-terroir-e-abusi-di-marketing/&ved=2ahUKEwjfl4z3j9XvAhUL_qQKHftPAPUQFjAAegQIBxAC&usg=AOvVaw1HHKGjcGSH9fpLavo3fzqw __ In estrema sintesi, pur riconoscendo l'importanza delle caratteristiche microclimatiche (compreso l'esposizione) penso che il concetto di TERROIR sia per l'80% una delle più grandi invenzioni del marketing del francesi sul vino. Le mie opinioni odierne(come ho detto da approfondire) si basano sull' esperienza diretta in frutticoltura dove si possono fare considerazioni simili. L'uomo può fare e fa molto su diversi fattori della produzione: anche il suolo può essere migliorato in diversi modi. Non può fare molto sul clima. Può usare le reti antigrandine, comunque. Non può cambiare la giacitura, l'esposizione. Ma può, comunque, anche in fase di coltivazione, intervenire su diversi fattori della produzione. (es Anticipo di maturazione) A un frutticultore manca, comunque, l'esperienza della cantina. E quello che si può fare in cantina, ad oggi, è strabiliante. Mio nonno era bravissimo a fare il vino ma usava delle tecniche che sembrano ancenstrali rispetto a quello che può fare oggi un produttore di vino. __ Penso che il SUOLO a cui molti degustatori esperti e appassionati danno molta importanza sia uno dei fattori meno rilevanti.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Caro Nicola, concordo. Quando si parla di CRU si intende un vigneto in cui , suolo, clima,esposizione e altri fattori danno al vino caretteristiche particolari e distintive rispetto a quelle presenti in vini prodotti in terreni anche vicini o addirittura confinanti. Da Appassionato di Barolo ho fatto l'esempio del Rocche di Castiglione e del Villero, ricordando quella saggezza contadina -Le Rocche fanno meno gradi, ma profumano di più- che consapevole della diversità dei vini prodotti in terreni quasi adiacenti, portava ad assemblare le uve per ottimizzare il risultato finale. Tale prassi incoraggiata da Bartolo Mascarello e Beppe Rinaldi è un lontano ricordo perchè oggi impera la tendenza a vinificare separatamente ogni singola parcella, fino all'esasperazione. Alessandro C, faceva riferimento alle Contrade dell'Etna. Un Nord al Sud: clima estremo, freddo in inverno e decisamente caldo in estate, escursioni termiche importanti, cambiamenti climatici veloci, con differenze significative tra i vari versanti; ad esempio la piovosità è molto più consistente in quello est. Il suolo è ovviamente , giovane e ricco di minerali, segnato profondamente dalle colate laviche. Suolo sabbioso e clima freddo hanno limitato il propagarsi della filossera, e questo spiega i numerosi vigneti a piede franco. Vini straordinari, tanto è vero che, come veniva ricordato, dalla Toscana al Piemonte, ma soprattutto da altre zone della Sicilia, in molti si sono precipitati ad acquistare terreni. Che poi il racconto e la poesia siano diventati un valore di mercato, per cui dalle Alpi alle Piramidi, pare sia tutto un terroir e ogni produttore ha scoperto all'improvviso di avere l'oro a due passi da casa, è cosa ridicola, e non cè marketing che tenga a mio avviso. E su questo mi trovo in sintonia con Marcow e Sisto. Anche io però , ritengo che l'enologo più bravo del mondo, non possa ripetere da nessun altra parte i risultati che in Borgogna vengono raggiunti col Pinot Noir . La differenza la fa proprio quel terroir, che in ultima istanza diventa il fattore determinante per ottenere vini unici e non replicabili per finezza e longevità da nessuna altra parte del globo. Quanto al Nebbiolo in Piemonte (quello dei Colli della Limbara non lo conosco), preferisco pensare ad espressioni diverse di un grande vitigno. Quello che nasce nell’Alto Piemonte è un Nebbiolo sicuramente meno strutturato rispetto a quello che viene prodotto nelle Langhe, ma di straordinaria eleganza. La maggiore latitudine e la vicinanza dell'arco alpino,contribuiscono ad allungare il ciclo vegetativo, con un germogliamento posticipato e una vendemmia che segue quella langarola anche di due settimane. Secondo alcuni questa dilatazione del ciclo vegetativo aiuterebbe ad ottenere vini meno alcolici, più essenziali, ma maturi nella componente tannica, senza però perdere acidità. Il tasso di piovosità può arrivare ad essere il doppio di quello che si registra, in alcune zone del comprensorio del Barolo. Per finire, i terreni sono quasi privi di materiale organico e segnati da un pH acido, compreso tra i 4,2 e i 5,5, rispetto ai terreni alcalini (basici) di Langa, dove il pH raggiunge anche l’8. E torniamo di nuovo al terroir. Dopodichè, ognuno creda quello che vuole. In ogni opinione cè sempre un pizzico di verità.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

Sancho, i tuoi commenti sono così articolati, precisi, appassionati che stento a replicare anche se leggo con estremo interesse :-) Credo che tu abbia toccato il punto nevralgico: laddove un clos è semplice da definire in quanto delimitato da un muro di cinta e un cru corrisponde ad una zona ben determinata, classificata e normata, il terroir rimane entità decisamente più vaga e aperta ad interpretazioni (e quindi a speculazioni).

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Grazie Caro Nic. Per citare un proverbio inglese, la prova del budino è nel mangiarlo. È vero che il termine terroir è stato usato e abusato, ma poi c'è una realtà oggettiva di cui bisogna tenere conto. Alcuni vini non sono replicabili altrove, e questo non dipende dal processo di vinificazione o dalla bravura dell'enologo ma semplicemente perchè in alcune zone viene a crearsi una interazione dialettica tra vitigno, esposizione, microclima terreno e tradizioni che consente ad una determinata varietà di toccare delle altezze non replicabili altrove. Vale per gli Champagne, per alcuni cru di Barolo e Barbaresco, per alcune sottozone della Borgogna ecc ecc. Roberto Conterno in quel di Gattinara, non potrà mai produrre un altro Monfortino. Neanche volendo. Semplicemente perché lo straordinario Vigneto Molsino offre un habitat al Nebbiolo che è comunque altra cosa rispetto a quelloche c'è nel vigneto Francia di Serralunga. E si potrebbero fare decine di esempi. Dopodiché, fate bene a cercare di razionalizzare e a stigmatizzare un fenomeno che a volte prende delle pieghe ridicole, però c'è una realtà di cui bisogna tener conto e decine di anni di storia di grandi vini, ci hanno insegnato che quell'interazione di cui parlavo prima fa la differenza. Mi scuso per la lunghezza degli interventi e con questo mi taccio.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Infatti, non è che "si deve cominciare", si è cominciato da un bel po': moltissimo vino è prodotto in pianura ben prima di vini di altri "terroir". E solo rimanendo in Italia, strepitosi vini DOP e con consumo gigantesco, immenso, provengono dalla pianura. Cominciamo dalle N doc di lambrusco e da prosecco doc.

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Nic Marsél

circa 3 anni fa - Link

La stessa Bordeaux non è propriamente in collina ;-)

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Sisto, potresti intervenire più spesso :--) E non soltanto perché mi trovo d'accordo su diverse questioni ma anche perché il tuo pensiero è divergente, esce dal conformismo e, quindi, può essere stimolante per tutti. Un cordiale saluto.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Ciao Marcow, grazie. Ti faccio un esempio, rendendomi conto che a molti non interessa oppure troverebbero la mia posizione triste o altezzosa; io quando vedo gli articoli sui vini sopra i 40 € (facciamo 70 se sono speciali e aggiungo i botritizzati e gli eiswein-che essendo passiti non sono speciali) nonché i relativi commenti, chiudo subito. Il motivo è scontato. Non che io non li assaggi o non li beva, ma non sopporto la prosopoea associata che, in molti casi, è oltremodo superiore al livello oggettivo,del prodotto. Stammi bene.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Evidentemente non mi sono spiegato oppure non si è compreso cosa intendessi dire. Ovvero quello che ho esposto nel riferimento citato (mia risposta ad una domanda di un lettore) ovvero qui https://www.intravino.com/primo-piano/cristal-2012-louis-roeder-benvenuta-biodinamica/ Allora proverò a essere più chiaro e schematico: 1) gli areali impattano sul prodotto agronomico ivi ottenuti? Certamente sì, solo un demente potrebbe sostenere il contrario. È questo sì riscontra nel caffè, nel miele, nell'olio di oliva, nel vino, nel carciofo, nel limone, etc. Molto meno nei salumi, nella birra, nei distillati, etc. 2) io, come chiaramente scritto sopra e nell'altro intervento, dico che il terroir è molto marketing. La prova? Fate assaggiare i soliti vini dei soliti terroir/crù alla cieca, insieme ad altri campioni (ovviamente della stessa tipologia di vino prescelto ma provenienti da altri areali), poi vediamo insieme quanti identificano (grazie alle presunte caratteristiche sensoriali peculiari relative), ripetendo l'esperimento N volte, il campione proveniente dal mitico vigneto/località/comune/provincia/regione/nazione 3) qui ri-affermo quanto segue (in ordine decrescente di influenza sul prodotto vino) ovvero che i fattori seguenti impattano molto di più del mitico terroir: protocollo produttivo, vitigno, clima, annata.

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Maurizio

circa 3 anni fa - Link

Concordo che il terroir sia un concetto molto complesso e troppo abusato, ma negarne l'esistenza, come sostenuto da Sancho, è la negazione del vino. Sisto ha ragione da un punto di vista di analisi sensoriale, il punto però secondo me sta nella selezione dei componenti della commissione. Percepire alla cieca le sfumature tra terroir è possibile, il punto è che richiede una conoscenza tale della singola zona che quasi nessuno la possiede. Per capirci, dato che Sisto insiste molto sul discorso marketing, è fuor di dubio che la quasi totalità di chi comunica il vino non è in grado di farlo se non magari per quei 2 o 3 prodotti che conosce davvero bene. Il fatto però che sia un concetto complesso e comprensibile a pochissimi super appassionati non significa non esista. È molto più facile millantare una presunta conoscenza a riguardo ex post, ovvero a bottiglia scoperta. Per Marcow: non affaticarti a cercare la definizione di terroir. A livello di vino ce n'è una sola riconosciuta universalmente come al più valida, ovvero quella di Peynaud nel suo Il Gusto del Vino.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Beh insomma, mica tanto: il sostenitore della tesi per cui una determinata zona produca determinate caratteristiche di un un determinato vino, le scrive su un pezzo di carta (visive, odorose/aromatiche, saporose, tattili e di modificazione delle stesse nel tempo). Questo pezzo di carta lo si chiama profilo sensoriale. Lo si dà al panel (qualificato secondo le ISO 8586) e poi si vedono i risultati (nel panel piazziamo, insieme agli altri 29, anche il detto sostenitore). E poi c'è anche la prova strumentale: lo stesso pezzo di carta lo si dà un laboratorio accreditato ISO 17025 per prove sul vino; questo esegue i consueti test fisici e chimici, e poi vediamo se e quali sostanze e molecole saltano fuori a conferma del profilo scritto sul pezzo di carta. Ecco, dopo ambo gli esiti conformi alla tesi, crederò al legame vino-terroir così come dal sostenitore declamato (ho già detto che la zona influenza il prodotto agronomico, sul formaggio di alpeggio a latte crudo, ad esempio è emblematico).

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Maurizio

circa 3 anni fa - Link

Il punto è propio il panel qualificato... Nel mio piccolo io ad esempio riesco a distinguere le provenienze dei vini alla cieca solo per la mia zona, che sono abituato a bere con frequenza almeno settimanale. Pur essendo appassionato di vino e di tante aree, queste sfumature alla cieca non riesco a coglierle altrove, ma non perché non ci siano, perché non ho abbastanza esperienza e formazione a riguardo. Sulla carta lo so quale è il profilo sensoriale, ma un conto è saperlo sulla carta, un conto è riuscire percepirlo e identificarlo in modo sistematico. E infatti a bottiglia scoperta è facile pontificare a riguardo, proprio perché la teoria se la imparano tutti. Formare un panel qualificato a riguardo è complicatissimo ed è proprio qui che sta il problema maggiore.. Per quanto riguardo i test chimico-fisici è abbastanza semplice. L'analisi isotopica è piuttosto precisa a riguardo.

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Roberto Tucci

circa 3 anni fa - Link

Scusate, ma io trovo la piega che ha preso la discussione alquanto surreale. Terroir significa clima e terreno che influenzano il vino nel suo essere, come spiegato bene da Sancho P. ed altri. Si é parlato di Pinot Nero. Bene. Chiunque abbia assaggiato qualche vino della Cote d'Or sa bene quanto diversi possano essere vini che provengono da particelle confinanti, o come possano essere simili vini della stessa particella vinificati da enologi diversi. Affermare che il processo di vinificazione sia la chiave di volta, per cui coltivare il Pinot Nero nella pianura romagnola o nella Cote d'Or sia la stessa cosa, é ridicolo. Il Pinot nero necessita di un clima fresco, con escursioni termiche tra giorno e notte. Nei terreni argillosi sarà probabilmente più morbido e corposo; in terreni più magri sarà caratterizzato da frutto e freschezza, mentre quelli della Mosella avranno la tipica nota leggermente affumicata. Quelli che affondano le radici in terreni poco adatti, oltre a riprodurre qualche varietale, sono dei vinelli. Ma di che stiamo parlando?

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Stiamo parlando di un concetto banale: l'opinione del singolo (fossero anche 100, 1000 i singoli) non ha dimostrato alcunché. Voi continuate a citare sempre e solo quelle zone o quei vitigni ma non mi riguarda, rimane sostanzialmente marketing ovvero fuffa cioè autoconvincimento a etichetta ben esposta (è come l'effetto placebo della truffa denominata omeopatia).. Qui invece si millantano (senza produrre una prova realizzata come da me, umilmente, sopra evidenziato) legami causa (un determinato terroir) ed effetto (profilo). Poi, ad un tratto, si cambia argomento e si tira fuori il gusto, rispettabile, ma pur sempre di gusto si tratta (elemento edonico soggettivo). Oppure, con un'altra classica delle fallacie, si mette in bocca all'interlocutore un'affermazione mai sostenuta (zona x e zona y sono la stessa cosa). Ripeto: solo sottoponendo una tesi al metodo scientifico (di cui, molto sinteticamente ho ripreso i procedimenti essenziali) che allora si potrà passare dall personali opinioni all'evidenza comprovata e scientificamente accettata. A latere rimango sempre che sia più che sufficiente assaggiare e descrivere un prodotto, astenendosi da ipotizzare relazioni causa-effetto, oppure lasciarle a chi lo deve fare per lavoro (ricercatori e scienziati). Poi, chiaramente, è libero di avere le opinioni che vuole.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Caro Sisto, Qua non si tratta di opinioni, tutte rispettabili, ma della storia del vino. Il corollario del tuo assunto è che il processo di vinificazione e affinamento è l'elemento che plasma il vino, ed il terroir inteso come io l'ho descritto, non ha un effetto determinante sul prodotto finito. Ora, se fosse davvero così, si potrebbero fare dei grandi Pinot Noir nella Pianura romagnola, per citare Roberto Tucci, dei grandi Nebbioli in Puglia, dei grandi vini nell'agro pontino(le cantine abbondano) e via dicendo. Basterebbe chiamare un grande enologo ed acquistare i migliori legni. Qualcuno ha provato a farlo, con risultati che tutti possono immaginare. Il punto è che alcuni territori, offrono un habitat a determinati vitigni che gli consentono di esprimere delle unicità non replicabili altrove. Il processo di vinificazione e di affinamento, potrà anche essere fatto dal miglior enologo del mondo, ma non riuscirà a riprodurre un vino neanche lontanamente simile a quello che le zone più vocate(i Grand cru per intenderci) ci regalano da sempre. Non capisco sinceramente come tu possa negarlo e ridurre tutto ad una questione di marketing. Io ho citato le Rocche e il Villero, il vigneto Francia e il Vigneto Molsino, ma veramente si potrebbero fare decine di esempi. È la realtà del mondo del vino. È un fatto. Se la pensi diversamente, spetta a te dimostrare il contrario. Ma ti faccio un altro esempio. Quello dello Champagne. Altra mia grande passione, dopo i vini piemontesi. L'unicità di quella bollicina è figlia di condizioni ambientali estremamente particolari: clima oceanico, circa 1600 ore/annue di insolazione, piovosità scarsa, uve che raggiungono una maturazione quasi sempre perfetta. L'elemento principale del sottosuolo dello Champagne(semplifico molto) è il "craie" cioè un suolo gessoso sedimentato dal ritiro delle acque oceaniche, permeato da sedimenti marini. Allora, potrai fare buone bollicine pure in Sicilia, ma non otterrai mai prodotti paragonabili ai grandi Champagne. C'è una pluralità di fattori che concorrono a produrre un grande vino, ma proprio quell'interazione tra terreno, microclima e vitigno diventa l'elemento in ultima istanza decisivo perché fornisce un quid di unicità difficilmente replicabile.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Eh no, è: mi permetta, non facciamo questo giochino. Non sono io che devo dimostrare un bel nulla, io credo solo o alle poesie e alla metafisica (da una parte) o al metodo razionale/scientifico (dall'altra), no al fritto misto (la pseudo scienza). Io non devo dimostrare che se prendo qualsiasi chardonnay o qualsiasi merlot, faccio 25 q/ha, vendemmia protratta, criomacerazione da una parte e follature esagerate dall'altra, barrique nuova, una di cui il produttore mi dice sul datasheet "croissant" e l'altra "caffè", aggiungo tutti i coaiuvanti permessi dalle legge (comincerei con un bel po' di acido citrico, poi un po' di tannini ellagici, quindi scorze di lievito, etc etc. etc.) e tutto in iper-riduzione, scommettiamo che i due vini escono esattamente come ve li descrivo prima in un profilo, corroborato da opportuno test report dopo? E così per altre decine di combinazioni. Pertanto, è il contrario: è chi sostiene la tesi "certo terroir = certo vino" che lo deve dimostrare, ma non a parole. Sottolineo le parole "certo" ovvero: specifico, determinato, delimitato, precisato, descritto, articolato, etc. Lo so già io (e l'ho già detto 2 volte) che la zona di produzione influenza il prodotto, in una maniera diversa a secondo del tipo di prodotto (molto nel formaggio e nel caffè, quasi nulla nella birra, e in mezzo c'è il resto). Se noterà: io sono partito da un assunto molto generale e voi continuate a fissarvi su certi territori e certi vitigni, cioè andate nel particolare. Ecco, è la dimostrazione del particolare che io non trovo tra i libri di enologia che pure ho letto...E quando ho letto dei cenni al tema, mi sembra di aver letto espressioni del tipo "sembra", "appare", "risulta", "necessità di approfondimento", "il bias associato alla funzione che descrive il fenomeno è troppo elevato per la numerosità dei fattori-variabili", "gli indici di ripetibilità non sono accettabili", etc. Ad ogni modo, sono pronto a ricredermi, ho cambiato idea N volte, sono per il superamento hegheliano...

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Non faccio giochetti, non è mio costume. Qua non parliamo ne di formaggi, nè di caffè. Ma neanche di Lambrusco e Prosecco , quindi non si meravigli che quando si parla di terroir ci si riferisca al Nebbiolo, al Pinot Noir o allo Champagne. Nel momento in cui lei dimostrerà che fuori dalle Langhe e da alcune zone del Nord Piemonte, si potranno produrre con regolarità grandi Nebbioli paragonabili ai cru di quelle zone saró il primo a darle ragione; potrebbe altrimenti provare con grandi Pinot Noir fuori dalla Borgogna e da altre zone particolarmente vocate, con lo champagne , con lo Chardonnay e via dicendo. Temo però che non potrà dimostrarlo. Si rassegni. L'interazione tra vitigno, microclima, esposizione e terreno riesce a creare miracoli che poi la mano dell'uomo mette in bottiglia. Con questo la saluto. Mi sembra superfluo aggiungere altro.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Scusi è, ma lei ancora utilizza una fallacia: io non devo dimostrare alcunché riguardo al "rimanente" (cioè il complemento, nel senso matematico del termine) di taluni vitigni/aree (quelle da lei e altri evocate) per il semplice motivo che io non ho alcuna tesi specifica su questi (in relazione al tema che stiamo dibattendo), tanto meno sul resto. Mi limito ad assaggiarli o a berli. Le mia tesi, non specifiche, sono: gerarchia di fattori di nfluenza sul prodotto e il "terroir più marketing" che fatto. Delle preferenze di tipologie di vino degli altri intervenuti, tanto meno ho un preconcetto, essendo gusti "non est disputandum". Al più commento i dati di consumo dei vari vini, questo sì. Di lambrusco e prosecco ne ho parlato per rettificare un commento precedente (e cioè che non si faccia vino in pianura: è vero il contrario!). Di altri prodotti agronomici, se mi permette, ne parlo (in relazione al tema in oggetto) perché il vino appartiene a questa categoria merceologica.

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Alessandro C

circa 3 anni fa - Link

Il vino lo fanno anche nelle ex paludi bonificate da Sua maestà B.M. A parte il Medoc, Napa e qualche altra zona, i grandi vini vengono prodotti in collina. Affermazioni del tipo" Terroir più marketing che fatto" se non vengono contestualizzate, non significano nulla. Sono chiacchiere da Bar del Vino. Ancora ne discutete?

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

Ah fatto caso, sì, che (almeno io) l'ho abbondantemente contestualizzato? Era quando parlavo di: dimostrazione da laboratorio (fino a prova contraria qualsiasi carratterisitica declamata è strumentalmente misurabile) + riconoscimento profilo organolettico "pubblicizzato" in panel alla cieca. Forse converrà che riconoscere le sensazionali caratteristiche peculiari quando si è letto il libro e si legge l'etichetta non è né difficile né particolarmente affidabile. Questo (almeno per me) è il contesto, dopo, come abbiamo visto, ognuno è libero di pensarla come vuole, s'intende. I grandi vini provengono dalla collina? Si, concordo pienamente (io aggiungerei anche la montagna, tipo il Vulture), però non lo dica ai quelli della Champagne o di Bordeaux.

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Alessandro C

circa 3 anni fa - Link

Egregio, Dopo le badilate che ha preso da Sancho P, Lei continua ad arrampicarsi sugli specchi. Non ha risposto a nessuna delle osservazioni che le sono state poste. Abbia il coraggio di dire che non vi è nessun terroir nella Cote D'Or, nella Cote de Nuits, nello Champagne, nelle Langhe dei grandi Nebbioli, nelle colline di Montalcino o su L' Etna. Abbia il coraggio di essere consequente con quanto afferma e lo dimostri. Altrimenti, le sue rimangono chiacchiere da bar, smentite da un movimento reale che lei ignora o finge di ignorare.

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Sancho P

circa 3 anni fa - Link

Ciao Alessando, si parla di vino, non di cambiare il mondo. I toni possono rimanere bassi. Le badilate le abbiamo prese io ed altri compegni a Piacenza , nei picchetti in difesa dei lavoratori della logistica in sciopero. Buon vino e Buona vita a tutti.

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Sisto

circa 3 anni fa - Link

"badilate": posto che è una sua opinione, ma il suo linguaggio è rivelatore di come intende lei una discussione: scontro, violenza. Mi tiene fermo intanto che il suo compare mi assesta poderose "badilate" o posso almeno tentare la fuga? @ Marcow: hai compreso, a questo punto, parte dei motivi cui accennavo sopra? Stammi bene @ Maurizio: beh, o siamo io e te scarsi come assaggiatori o potrebbe essere vero che "il terroir con etichetta ben in vista = autosuggestione" che, insieme alla gerarchia dei fattori, è la mia tesi: queste e non altro. Grazie, ciao.

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marcow

circa 3 anni fa - Link

Sisto: " @ Marcow: hai compreso, a questo punto, parte dei motivi cui accennavo sopra? Stammi bene" __ Caro Sisto, avevo già compreso. Ma, l'ho detto nel mio commento sui vini naturali e il guru francese Yvon Métras, esprimere OPINIONI fuori dal coro può comportare delle reazioni forti. Bisogna esserne consapevoli. È vero che alla fine può prevalere la stanchezza e si potrebbe scegliere 1- o di lasciare i dibattiti 2- o di continuare con un profilo più basso. Se uno si mette in un angolo del DIBATTITO... a SPAZZOLAR LE BAMBOLE...non riceverà sicuramente delle badilate. Penso che ci sia una terza via. Sisto, senza i tuoi commenti, il dibattito sarebbe stato meno interessante perché ha stimolato delle opinioni negli altri commentatori. E, attenzioni, sicuramente la CONTRAPPOSIZIONE di opinioni DIVERSE...ha stimolato i lettori, quelli che non commentano mai. È a loro che bisogna pensare... prima di mollare i dibattiti. __ A risentirti, Sisto.

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