L’osmica, il segreto del Carso è tutto qui

L’osmica, il segreto del Carso è tutto qui

di Samantha Vitaletti

“ Dove il giorno ferito/
Impazziva di luce”
(Diaframma)

Sono una sentimentale. Quando bevo mi piace immaginarmi vampiro che succhia la linfa vitale del vino in cerca dell’ebbrezza degli echi che in me delle corde che riesce a far vibrare, dei sommovimenti all’altezza del cuore, dei ricordi nascosti chissà dove che riesce a risvegliare.

In pochi posti questa seduta medianica, ma anche psicanalitica, funziona in me come sul Carso.

Il tin tin del telefono che trilla il “benvenuto in Slovenia” e, un attimo dopo, “benvenuto in Italia” prosaicamente, e in maniera assai realistica, ricorda che qui siamo oltre il confine e oltre i confini, il Carso è cosa a sé, un’isola per nulla isolata, viva e reale, piena di luce, di verde e di sale, eppure anche magica, innegabilmente infusa di sospensioni e contrappunti spazio-temporali che non esito a definire fuori dal mondo, eppur tangibili.

La magia è strettamente legata alla luce e la luce qui è quanto di più vivido e vero.

Mare e Vitovska
Questa manifestazione ha raggiunto quest’anno la sua quindicesima edizione. Io non c’ero mai stata prima ma sicuramente ci tornerò. Ormai, forse perché mi sono disabituata, e ho dimenticato la parte bella, le degustazioni a banchi d’assaggio, le fiere, non mi attraggono più. Ma questa è stata una festa, e le feste mi piacciono ancora tanto.

Ci vorrebbe un capitolo a parte per parlare del luogo in cui si è svolta, il Castello di Duino, meraviglia aperta al mare e inondata, appunto, di luce, tavoli sparsi per i giardini fioriti, lungo la salita, nel cortile interno, sulle terrazze affacciate sul mare e sulle rovine del vecchio castello, caro a Rilke e tragico come narra la leggenda della Dama Bianca.

Per me la vitovska è Skerlj, è Zidarich, è Skerk. Con loro l’ho conosciuta e della loro mi sono innamorata, perché è dritta e per nulla pettinata, non ammicca, non ancheggia. È gusto allo stato puro, piena, appagante, luminosa, una creatura che emerge dal mare. In questa occasione ho avuto l’opportunità di assaggiarne tante altre, rimanendo colpita dalla generale alta qualità della proposta, al di là del gusto personale.

Menzione per me speciale a Emil Tavcar, di cui ho assaggiato due vini con qualche anno sulle spalle (2015 e 2016), profondi, complessi, miniere di sale in cui scavare senza sosta. Eleganti, di un’eleganza che m’ha fatto pensare al neo sopra il labbro di un’attrice anni Quaranta. Il neo, quel marcato puntino nero che caratterizza l’acino della vitovska.

“(…)Getta dalle tue braccia il vuoto
fin dentro gli spazi che respiriamo; forse gli uccelli
con volo più intimo sentono l’aria così dilatata.”
(R.M.Rilke – Prima Elegia)

Locanda Devetak
Di questo posto sentivo parlare da anni, come di un luogo mitologico. L’aspettativa era, quindi, pericolosamente alta,ma è stata di gran lunga superata. Altro luogo sospeso tra pensato e vissuto, profumo di bosco e aria di mare, arrivare e sentir già la nostalgia del partire.

“(…) Non posso dire adesso/
Senza averne nostalgia”
(Filippo Strumia)

Osmica
Entrare in un’osmica è anche fare qualche passo nella storia. Pare che l’origine vada ricercata in un’ordinanza di Carlo Magno che permetteva ai viticoltori di vendere il proprio vino a casa loro, utilizzando una frasca di edera come “insegna”.
Il termine “osmica” deriva da “osem” che in sloveno significa “otto” e si rifà ad un decreto del 1784 emanato dagli Asburgo che autorizzava la vendita diretta in casa di vini e alimenti autoprodotti per un periodo di otto giorni.

Tra le osmice visitate, segnalo quella a Samatorza, Sardo. Ci siamo stati d’inverno e il senso di calore e di accoglienza generato dai salumi, dalla stufa e, soprattutto, dal vino, è ancora vivido.
Imperdibile l’osmica di Beniamino Zidarich, con terrazza panoramica a 360 gradi sul Golfo, tavoli nel giardino sul retro che finiscono direttamente in vigna. Anche qui salumi, tartine, sottaceti e tanto vino, naturalmente il suo, rendono più allegro lo scorrere del tempo.

Da Gabriel Pertot siamo andati una sera e tornati la sera dopo perché la sensazione di benessere provata sotto quel “frasco” chiedeva d’esser ripetuta. Gabriel fa i salumi e fa il suo vino, solo sfuso. Buona la malvasia, per me eccezionale il terrano, uva di cui generalmente non sono molto amica.

Riflettevo su questo senso di benessere, domandandomi da dove arrivasse. L’osmica, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ha poco a che vedere con la fraschetta. Nell’osmica, e in particolare in questa, non c’è traccia di sguaiatezza. C’è tanta gente, ci sono coppie, gruppetti, bambini. Gente allegra, che mangia, beve e si diverte.

E riesce a parlare. Senza sguaiatezza.

Sarà per mille motivi, i sociologi potrebbero trovare l’argomento degno di approfondimento. Io mi limito alla prima spiegazione che, da profana, mi salta alla mente: qui c’è il vino buono, quello che scioglie le tensioni senza tranciare di netto i freni di sicurezza, quello che si fa tutt’uno con le luci delle lampade e rischiara le menti, ma alleggerendo prima i cuori, ché col cuore pesante anche le menti più illuminate incespicano nella nebbia.

“Non puoi fermare il vento, ma devi sapere come fabbricare mulini.”
Cervantes, da Don Chisciotte

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Samantha Vitaletti

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull'isola deserta, azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l'articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

1 Commento

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carolaincats

circa 3 anni fa - Link

Ho capito, devo fare la frasca anche io 😂

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