L’Irpinia taciturna nei vini di Pasqualino Di Prisco

L’Irpinia taciturna nei vini di Pasqualino Di Prisco

di Jacopo Manni

In giro per carpire, capire e poi raccontare le Campania Stories, naufrago nelle verdi campagne irpine. La Campania non è una e tantomeno trina. La Campania sono due. Esiste la Campania del mare, quella delle isole e della costa. Quella solare e raggiante, dove le genti sono fragorose e estroverse e le vigne solo calde, fruttose e sapide. Poi esiste la Campania dell’Appenino. Dove le genti sono più umili, silenziose, taciturne e riservate e le vigne e le uve sono più verdi che gialle. Dove le escursione termiche arrivano a essere clamorose tra giorno e notte.

E proprio in una terra verde, taciturna e dedita alla materia più che alla lussuria incontro chi questi concetti se li porta con sé come retaggio secolare e ancestrale.
Pasqualino di Prisco nasce in una famiglia a trazione agricola ma è lui il primo che ha il pallino del vino e trasforma le vecchie stalle di famiglia in una cantina. Pasqualino, come lo chiamano gli amici, è uomo pragmatico però e prima di fare un salto nel vuoto vuole vedere il cammello prima di pagare moneta.

Prova ad innestare le vecchie viti di trebbiano accanto casa utilizzate fino a quel momento per l’autoproduzione con del Fiano. Il risultato è così convincente che espianta tutto e pianta solo Fiano per la sua nuova avventura. In cantina mi accompagna in macchina il figlio maggiore Giuseppe che studia a Napoli alla Federico II e ha idee manageriali nuove e contagiose. I suoi tre figli Giuseppe, Carmen e Michele sono già stati cooptati e indirizzati in quello che diverrà un vero e speriamo prospero family business.

Pasqualino mi porta nella nuova cantina, volte a mattoni fatte di pietra locale che qui chiamano breccia irpina, tutto fatto a mano e sudore dalla sua famiglia. In Irpinia le valli, le vigne così come le uve sono verdi ma osservo che la pietra locale ne assorbe le sfumature e presenta venature verdognole anch’essa. Dai dettagli si comprende il tutto.

Pasqualino mi apre le porte della sua cantina che copre con lastre di polistirolo. Non capisco bene finché non mi spiega che la porta è esposta al sole e lui vuole proteggere il suo tesoro e il suo lavoro dal sole che la scalda. Ha barrique esauste e botti grandi che sono invece in gran forma, perché l’aglianico è vitigno che “non c’azzecca” col legno nuovo dice Pasqualino. Dopo avermi annusato e inquadrato Pasqualino mi fa accomodare appena fuori la cantina, un tramonto caldo, luminoso e calmo dell’Irpinia ci avvolge, un tavolo di plastica con tovaglia floreale che chi frequenta il sud ha di sicuro vissuto con lussuriose mangiate, grandi bevute e soprattutto sguaiate e spensierate risate.
Durante gli assaggi la famiglia tutta, con anche la padrona di casa, mi si siede intorno in un bellissimo e splendidamente terrone abbraccio.

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Gli assaggi

Coda di Volpe 2020
Di un giallo verdolino molto luminoso, al naso ha un floreale molto delicato di fiorellini gialli di camomilla di campo e un fruttato anch’esso delicato su toni di pera Williams non troppo matura e buccia di pompelmo. Girando il bicchiere escono anche delle note di timo e una vena fumè, sempre tutto molto delicato e sottile. La bocca continua come il naso su binari di delicatezza sottile con un finale che vira sulle note amare e fumè. Una bella partenza.

Greco di Tufo Pietra Rosa 2019
In cantina con orgoglio mi fanno vedere una nota guida che ha posizionato questo vino che esce a 15€ tra i migliori in Italia nel 2017 al secondo posto. Il primo era il Barbaresco Crichet Pajè 2007 che esce a 700€ e il terzo era il Franciacorta extra brut Vittorio Moretti Riserva Meraviglioso Bellavista che esce a 560€.

Si capisce molto della qualità dei vini e della rigorosa serietà dei produttori che già così basterebbe. Ma il vino parla e si sa spiegare anche meglio. Con il suo naso nordico elegante e austero ma finissimo e puntuto. Nocciola e avocado che si fondono sinuosi con un seducente finale di pietra bagnata. In bocca è un vortice di piacere suadente e avvolgente, il bicchiere ti trascina in una danza leggiadra ma virile dove tutto è in equilibrio. Freschezza, acidità, sapidità e energia del vino sono perfettamente fusi e combinati. Il finale è interminabile e la bocca rimane perfetta, asciutta e piena di sapore.

Taurasi 2012
Il gioiello di famiglia e l’amore vero di Pasqualino. E’ un vino di una materia forte decisa e cupa come i contadini di queste terre. Se lo guardi è impenetrabile proprio come gli irpini ma dentro ha il fuoco dei giusti proprio come loro. Il naso è una bomba piccante di polvere da sparo e cioccolato amaro. Cupo e materico anche in bocca. Il tannino me lo aspettavo mordace e violento ma i quasi dieci anni di vita lo hanno reso di una dolcezza grezza molto piacevole. Ferro e piuma.

Mi ritrovo nelle note: acidità rilassata e orizzontale. E capisco cosa volevo intendere in effetti mentre bevevo. Non è una supercazzola e spero nella clemenza della corte. È lungo, caldo, sensuale. Come un cazzotto dolce dato da un amico per uno stupido gioco virile. Per amicizia e non per fare male. Me lo ribevo dopo qualche minuto e ringiovanisce nel bicchiere come Benjamin Button. Un grande vino di un grande artigiano.

Ma il bello arriva solo ora.
Dopo avermi messo alla prova, superata evidentemente, il buon Pasqualino Di Prisco mi porta ancora in cantina ma stavolta come un vecchio amico. Prende due bicchieri tra le sue mani rocciose e ci dirigiamo spavaldi con mia grande eccitazione verso due grandi botti. Mi racconta che lui non ha mai fatto per scelta una riserva. Ma nel 2019 ha voluto fare una selezione mettendo la massa secondo lui migliore in una botte e il resto nella seconda. Pasqualino ridendo sotto i baffi che non ha non mi dice quale. In silenzio sacrale versa direttamente dalle botti e mi sfida ancora. Deglutisco prima a vuoto temendo una figura di merda epocale, e poi butto giù entrambi i vini con una ansia che nemmeno all’esame Ais avevo avuto.

Il verdetto è unanime. Figura di merda evitata e prova passata con successo e bacio accademico…ma in realtà è solo merito del vino che era troppo più bono!

L’aspetto con ansia questa riserva 2019. Arrivederci Pasqualino ci vediamo quando esce!

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Jacopo Manni

Nasce a Roma ma si incastella a Frascati dove cresce a porchetta e vino sfuso. L’educazione adolescenziale scorre via in malo modo, unica nota di merito è aver visto dal vivo gli ultimi concerti romani dei Ramones e dei Nirvana. Viaggiatore seriale e campeggiatore folle, scrive un libro di ricette da campeggio e altri libri di cucina che lo portano all’apice della carriera da Licia Colo’. Laureato in storia medievale nel portafoglio ha il santino di Alessandro Barbero. Diploma Ais e Master Alma-Ais, millantando di conoscere il vino riesce ad entrare ad Intravino dalla porta sul retro.

8 Commenti

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Lanegano

circa 3 anni fa - Link

Fiano Di Prisco sempre ottimo: ho bevuto di recente un 2014 sontuoso. Due anni fa ho stappato il suo Greco Pietra Rosa 2007 temendo che fosse andato invece oltre ad essere assolutamente in forma perfetta era strepitoso. Ho un suo Taurasi 1999 ma attendo l'autunno.... Mai bevuto niente di suo che non fosse di livello. Bellissima cantina.

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Stefano.cap.1

circa 3 anni fa - Link

Da circa 4/5 anni l'ho scoperto e bevo i suoi vini, ma soprattutto Greco e Fiano che trovo molto buoni e longevi. Buona anche la coda di volpe. I rossi bevuti fino ad oggi, pochi in verità, non mi hanno fatto impazzire. Spero per le prossime annate.

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Jacopo Manni

circa 3 anni fa - Link

Questo secondo me vale per un discorso generale su tutta la Campania, che secondo la mia modesta visione, è molto più bianchista o almeno dovrebbe tendere ad esserlo. Anche in base agli assaggi fatti da poco a me i bianchi da Fiano e greco hanno fatto impazzire. Potenziale enorme e unico nel panorama enoico.

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Stefano.cap.1

circa 3 anni fa - Link

Concordo su questa linea generale e, anche se in pochissimi esemplari ancora, io aggiungerei alla lista dei bianchi di livello "superiore" alcune falanghina, specie dai Campi Flegrei. Forse, come già evidenziato da alcuni critici del settore, per i rossi qualcosa di plasmabile nel prossimo futuro potrebbe essere rappresentato dal Piedirosso... vedremo.

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Rino

circa 3 anni fa - Link

A me questo articolo ha fatto proprio venire voglia di assaggiarli questi vini... penso proprio che a breve anche io andrò a fare un salto in cantina

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Rino

circa 3 anni fa - Link

E concordo anche sul potenziale enorme sia del fiano che del greco e ora che hanno inserito nel disciplinare di entrambi anche la denominazione riserva penso che ne vedremo delle belle

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Alberto R.

circa 3 anni fa - Link

Mah... Irpinia, l'eterna promessa...secondo me manca la massa critica di base in termini di "manici", perché dal punto di vista del territorio avrebbe tutti i numeri...in primis la carta dell'altitudine, che con la tropicalizzazione in atto è fattore chiave. A breve comunque stapperò qualcosa di Ciro Picariello con qualche anno...sperem...

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Stefano.cap.1

circa 3 anni fa - Link

Da campano, mi sembra che un piccolo zoccolo duro di "manici" che da qualche anno stanno dando una certa consistenza in termini di continuità qualitativa ci sia. E tra questi Di Prisco. Sicuramente sono ancora pochi. Poi in Campania in generale manca sicuramente, a tutti i livelli, il concetto di fare "rete" e questo certamente rallenta dei meccanismi. Speriamo bene....

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