L’informazione del vino è ammalata, ma per colpa di chi?

di Alessandro Morichetti

Il mondo del vino è un paradiso per illusi. Il tasso di psicotismo diffuso tra i calici è sovrumano e l’analisi di Alessandro Masnaghetti su Enogea 39 scatta una fotografia credibile. Quando la meritocrazia latita e la competizione centesimale (intesa come un minimo di 100.000 assaggi prima di aprire bocca) diventa un argomento per dimostrarsi migliori, è l’ego e non il lettore a prender posto in prima fila. Spesso ma non sempre, insipienza e presunzione degli allievi sono riflesso deformato di saccenza e bassezza intellettuale dei maestri. Grazie al cielo, conosco appassionati wine writer di modestia pari solo alla smisurata competenza ma ne conto pochi, la tendenza a farsi più belli del reale è come il prezzemolo e capirne il perché richiede una laurea che non c’è.

La tensione comune dovrebbe portare a letture intelligenti, ragionate e utili a chi si accosta al vino ma la tendenza a parlarsi addosso sembra endemica, ricerca del consenso dei “pari” a discapito dei dispari. La frecciatina scappa a tutti e nessuno si senta offeso. È vero, ci sono mode, improvvisazione e corse al primato: ma perché? Tutta colpa degli scribacchini odierni o queste storture hanno origini profonde? Nel mio piccolo, aggiungo due criticità: pochi i professionisti consapevoli del proprio lettore modello e ancor meno quelli capaci di condividere competenze formando nuovi talenti. L’italianità contamina anche il vino e non me ne sorprendo. Ad ogni modo, qualsiasi ragionamento sul tema è ben accetto: l’ottica individuale inserita in un collage fotografa bene le dinamiche di cortile. Per facilitare buone argomentazioni a prescindere dalla personalizzazione, solo una parola è vietata: “Veronelli”.

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

62 Commenti

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Giacomo

circa 12 anni fa - Link

sulla mia copia di enogea questa frase è sottolineata 10 volte, ma c'è da stupirsi?

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Zakk

circa 12 anni fa - Link

Non si puo' pretendere che l'informazione del vino sia "sana" quando sono i produttori stessi a fare disinformazione tramite i propri agenti di commercio. Sono stato ad una cena invitato da un ristoratore dove partecipavano agenti di commercio che vendono vino: ti passa la voglia di bere vino a sentirli parlare, gente che non riconosce un bianco da un rosso, gente che e' buono solo quello che vendono loro e che quel vino che adesso vende tizio non e' piu' come una volta, quando lo vendevo io!! Se passiamo al discorso barrique quando senti dire che margaux e' stupendo a gente che dice di non bere vini barricati e che pero' vuoi mettere la Borgogna?!? Quindi chi se ne frega se l'informazione del vino e' ammalata, basta non leggere certa cartaccia e adibirla ad altri piu' nobili scopi. Purtroppo il pc non passa dallo scarico del cesso.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

da sempre sostengo che se uno fa il rappresentante di vini dovrebbe quantomeno studiare l'argomento, come fa un rappresentante di pompe idrauliche o di trapani elettrici. Ma l'Italia e' un paese meraviglioso: dove sono le scuole del vino nel primo paese produttore del mondo?

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dionisio

circa 12 anni fa - Link

Caro Zakk, Sei sicuro che quando parlano di Margaux,non pensino alla fidanzata di Lupin? La cosa più intrigante è fargli credere di "bere" tutto quello che dicono, per poi pesarli e metterli da parte come pallari o saccenti che dal barbiere hanno letto l'ultimo numero di Jack... Un saluto Dionisio

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Danilo Ingannamorte

circa 12 anni fa - Link

E' vero, nessuno può veramente chiamarsi fuori dalla tendenza al celolunghismo, dalla voglia di stupire, dall'esigenza di stabilire un primato per autocelebrarsi. L'autoreferenzialità è il rischio più alto a tutti i livelli, non solo per chi scrive ma anche per tutti gli appassionati e addetti ai lavori. I motivi? Ovviamente complessi. Non so se quello che sto per dire possa essere considerato direttamente collegato a questo, ma intanto la butto lì. A mio modesto parere uno dei "mali" dell'informazione del vino è l'atavico attaccamento all'approccio quantitativo. Mi spiego: la cosa più bella del vino per me è la sua irriducibilità a schemi, a quantificazioni, a classificazioni. Le sensazioni e le emozioni, la varietà e la soggettività dei giudizi fanno sì che intrinsecamente il vino non possa mai veramente essere imbrigliato in un qualcosa di determinato. Il vino è immanenza pura, è l'hic et nunc per eccellenza. E' quell'uva in quel territorio in quell'annata, di quel vignaiolo, è quella bottiglia bevuta in quella sera, con quei piatti e con quegli amici. Ecco quindi che la categorizzazione, la quantificazione non possono prendere mai il sopravvento. Ma da quando bazzico in questo magico mondo, non faccio che constatare quanto la mania della quantificazione, del voto, del punteggio sia il fine ultimo che giustifica il mezzo. La teoria di numeri, stellette, ventesimi, centesimi etc. non è del tutto innocua. Sono la quintessenza della saccenza, del voler mettersi in cattedra e, azzardo, condizionano profondamente il modo di comunicare, di approcciare il lettore. Vi ricordate il periodo d'oro delle guide? Quando vincevano i vinoni, quelli superconcentrati, quelli che al naso erano proprio "tanta" roba e dovevano poi esserlo subito, ancora prima di uscire sul mercato. Il punteggio richiede un criterio di valutazione oggettivo, e allora cosa c'è di più oggettivo del numero? Più concentrazione, più intensità di frutto, maggior numero di sentori (e giù con la vaniglia e il caffè). Come si lascia fantasticamente tradurre in numero tutto ciò! Non dico che le guide, i punteggi non siano utili. Se mi metto nei panni di un produttore, non faccio fatica a capire che il premio, la distinzione, la valutazione hanno un ruolo concreto per il mercato e per la sana meritocrazia. E il vino, bellezza, è anche un prodotto commerciale. Perciò ci si deve giustamente fare i conti. Diverso però è constatare che lo stile pagella è quasi uniformemente imperante in quasi tutte le occasioni di comunicazione del vino. Non nascondiamoci dietro un dito, un lettore medio di Spirito Divino secondo voi legge l'articolo e poi sorvola sulle pagine e pagine di punteggi o è piuttosto il contrario? Scusate la prolissità, me la sono concessa solo perché c'è il ponte. Spero di non essere andato fuori tema.

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Fiorenzo Sartore

circa 12 anni fa - Link

Abbastanza d'accordo, Danilo, in parte. Anzi no. Un po' in disaccordo. :D Insomma, la questione e' che, piaccia o no, in qualunque ambito siamo (appassionati, commercianti, ma anche produttori) tendiamo a fare una classifica delle preferenze: e' quasi inevitabile. Al netto di quel che e' ineffabile, difficile da circoscrivere, sfuggente e/o soggettivo, le classifiche sono sempre esistite e temo sempre esisteranno. Anche i miei amati porthosiani che non danno punteggi, quando scelgono di chi scrivere (e di chi non scrivere) alla fine della fiera hanno stilato una classifica. A questi punti l'uso di centesimi, ventesimi, bicchieri o di altri parametri stringenti diventa secondario. Importante, semmai, è tenere un tono meno saccente possibile, per usare un tuo termine: su questo si deve lavorare sempre.

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Danilo Ingannamorte

circa 12 anni fa - Link

Ma infatti Fiorenzo non sogno un mondo ideale in cui non esistano classifiche. Quello che percepisco però è che queste classifiche abbiano preso il sopravvento. La scelta di porthos forse non è quella di eliminare un giudizio di valore ma di spostare la bilancia. Insomma la saccenza sta proprio nel voler sempre etichettare. Decidere di non ergersi sempre a giudice non è già un modo per evitare questo scollamento tra chi scrive e chi legge? Prendiamo il mondo della musica: anche lì premi e classifiche (di vendita più che altro) non mancano di certo. Ma se apro una rivista musicale non ci trovo sempre e sistematicamente il punteggio del tal critico, che magari fa una "verticale" degli album di un gruppo o "un'orizzontale" degli album indie di quest'anno con relative pagelle. E quando ci sono i punteggi non hanno lo stesso peso nell'economia del messaggio. Magari mi sbaglio, non sono altrettanto addentro al mondo della musica. Ho sempre pensato che confrontare i due ambiti fosse utile per varie similitudini. Anche nella musica si è disposti a pagare cifre considerevoli per provare un'emozione estemporanea. Comprare il biglietto per il live del Boss non è come spendere una bella cifretta per un puligny montrachet del 2005? In un paio di orette finisce il concerto oppure la bottiglia. Anche lì la soddisfazione non è mai garantita al 100%. La differenza certo è che, una volta letta, la recensione di un vino non puoi andare su youtube a sentire com'è. Devi andare a comprartelo in enoteca. Ma questo significa solo che il mondo del vino non sarà mai così grande come quello della musica e che nessun produttore di vino potrà mai diventare ricco come Bono. Ecco ora sì che sono andato fuori tema...:)

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

"...nessun produttore di vino potrà diventare ricco come Bono", a meno che non si chiami Sting. Scusa, anche io sono andata OT.

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Eleutherius Grootjans

circa 12 anni fa - Link

Due posizioni: a) la pigrizia del lettore/consumatore. Tutti tendiamo alla semplificazione, dobbiamo educarci per evitarla e la scelta di evitarla ci costa tempo e fatica; b) la malizia del pontefice-classificatore. Siamo tutti, più o meno velatamente, classificatori: esercitiamo (così almeno si spera) facoltà di analisi e di sintesi/giudizio e per ciò stesso classifichiamo. Siamo onesti finché ci disponiamo a discutere dei nostri giudizi. Senza questa disponibilità siamo pontefici, tromboni magari simpatici ma sostanzialmente inutili. I pontefici non sono utili che a se stessi ed esistono, ahimé, in funzione e a causa dei pigri. Gli uni sono legati agli altri in un rapporto di causazione circolare. Insomma, un qualsiasi trombone che ingrassa ingordo, grazie alla dipendenza di lettori e adepti, rapiti nelle loro espressioni da ghiozzi di prima fila o terza pagina, non ha più colpa, né va più duramente criticato dei ghiozzi che lo incensano.

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Alessandro Morichetti

circa 12 anni fa - Link

Altra questione interessante da sviscerare: la percezione in società dell'argomento vino e il senso di "timore" che incute. Dall'estremo "perché io non ne capisco nulla" (e poi dice una cosa risolutiva in termini di analisi organolettica), all'estremo "perché io di vino ne capisco" (e poi dice una boiata pazzesca). Entrambi, come dice Danilo, in qualche modo influenzati dal quanto ne capisco. Perché?

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fabrizio pagliardi

circa 12 anni fa - Link

In realtà il problema è anche a monte, ancora oggi il giornalismo enogastronomico è considerata informazione di serie B da chi lo pubblica e spesso anche da chi lo fa. qualche settimana fa ho sentito un giovane e bravo scrittore di vino dire "prima o poi spero di arrivare a poter scrivere di cose serie". Spesso chi scrive di queste cose è per altro malpagato rispetto ai colleghi che anche scrivano di argomenti tipologicamente assimilabili come il cinema. E questo porta a un'altra malattia grave dell'informazione del vino in tempi di crisi e sono le marchette. Ma non solo i marchettari professionisti che si fanno dare un tanto al pezzo. Conosco un giornalista che si è fatto pagare il viaggio di nozze cinque stelle da quello e ricevimeto e vino da quell'altro, un altro ancora che ha concordato preventivamente con una serie di produttori, il numero di copie che avrebbero acquistato del libro che stava scrivendo.

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Giovanni Arcari

circa 12 anni fa - Link

Mi soffermo su quel "...e ancor meno quelli capaci di condividere competenze formando nuovi talenti". Noi ci stiamo provando da anni a formare nuovi talenti(non per scrivere ma per lavorare la terra e fare vino), qualcosa abbiamo fatto e a gennaio pubblicheremo i dati di dieci anni d'attività ma, gli unici(e per fortuna!) interessati a vedere l'evoluzione di un progetto tanto ambizioso quanto complesso nella sua comprensione, sono state un paio di università: entusiasmante, certo, ma il messaggio rimane lì. in Italia interessa poco. Quello che si comunica e come lo si comunica, sono oggi alla base della società che ci troviamo dinnanzi e il modo del vino ne è una costola. Si vendono i libri della Parodi e di Volo e si guarda il grande fratello. La competenza di chi scrive o parla di vino è qualcosa di difficilmente quantificabile dai più. Chi ha stabilito che Caio sia un buon degustatore o un oratore la cui credibilità non possa essere messa in discussione? Lui stesso forse, o una serie di adepti che privi di strumenti valutativi, lo seguono a prescindere, per poi divulgare. L'oggettività è qualcosa molto difficile da trovare nel vino(se non in merito a questioni tecniche e pure qui non sempre) e allo stesso modo è difficile dire che quella persona sia oggettivamente capace. Dice bene Danilo "...atavico attaccamento all’approccio quantitativo" ma non riguarda solo la comunicazione. Guardiamo alla sovrapproduzione che porta inevitabilmente all'inflazionarsi del vino, dell'uva, del territorio e dell'agricoltura. In Italia esultiamo per aver prodotto più ettolitri della Francia ma non ci chiediamo mai il valore unitario di ogni ettolitro. e questo vale per ogni cosa.

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Daniele

circa 12 anni fa - Link

Ci provo e butto li anche un'altra questione. Non è che il mondo del vino sia pieno di commercianti ignoranti, perchè non esiste una vera formazione in merito di scala significativa e chi tenta di entrarci da tempo portando le proprie competenze esterne come il sottoscritto, non ci riesca o veda solo che timidi spiragli all'orizzonte? Mi piace molto quanto scritto da Giovanni Arcari ma oltre a vignaioli si dovrebbe pensare alla formazione di professionisti nella vendita e nel marketing (SENSATO!), senza pregiudizi o esagerazioni da ambo le parti..

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Giovanni Arcari

circa 12 anni fa - Link

Daniele, dirigo quattro aziende che in totale producono meno di 150mila bottiglie e quindi "marketing" lo sostituirei con comunicazione. Sono convinto che per fare un grande vino sia indispensabile avere un bravissimo contadino e poi (solo poi) si comunica il risultato, raccontando ciò che il consumatore può appurare, senza strumentalizzare fantasmagoriche pratiche woodoo spesso incomprensibili e fuorvianti. la vendita (il guadagno)dev'essere la conseguenza di un buon lavoro e non la molla che innesca un progetto produttivo.

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Francesco Fabbretti

circa 12 anni fa - Link

c'è poco da comunicare: colline della stella è buono punto e basta. Ci ho messo sei mesi per farlo capire ma adesso gira da solo..... sennò mica ti rifacevo l'ordine (faccina)

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Giovanni Arcari

circa 12 anni fa - Link

vedi, se il lavoro è buono la comunicazione viene di conseguenza e in questo caso sei tu a farla! :-) e poi... sei stato uno dei pochi a non avermi chiesto, ancor prima di degustare, se nel vino c'è solforosa, che lieviti usiamo e se facciamo trattamenti in vigna. domande che non tollero più.. p.s. e non hai ancora sentito Camossi e Togni e... ;-)

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Daniele

circa 12 anni fa - Link

Giovanni, grazie del commento, credo stiamo dicendo la stessa cosa. Qui il tema si muove, credo ed anche, da alcuni luoghi comuni del mondo del vino, uno dei quali la non preparazione (chiamiamola così) di certa parte di chi il vino lo deve distribuire, vendere. In riferimento a ciò mi chiedevo come sia lo stato dell'arte in Italia dal punto di vista teorico, per poter permettere a chi, come me, vorrebbe approcciare provenendo da altri settori..mi sembra un dibattito interessante..che si intreccia con formazione e un pò di teoria. Marketing..comunicazione, ok, fatta nel modo giusto, senza "fantasmagoriche pratiche wodoo" ma competenza e preparazione.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

non avevo letto il tuo commento, ma praticamente anche io ho detto la stessa cosa

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Francesco Fabbretti

circa 12 anni fa - Link

non esistono competenze esterne: un negoziante impara il mestiere esattamente come un enologo impara il mestiere, non sui libri ma nel quotidiano dagli errori commessi. A Roma ci sono enoteche con fior di professionisti, stimati colleghi. Prova a fare due chiacchiera con Alessandro Bulzoni, con Paolo Trimani tanto per dirne un paio e poi vediamo se li definisci ignoranti p.s. "chi tenta di entrarci da tempo portando le proprie competenze esterne come il sottoscritto, non ci riesca o veda solo che timidi spiragli all’orizzonte" cioè, in sostanza, che fai? e soprattutto da grande che vuoi fare?

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Daniele

circa 12 anni fa - Link

Francesco, lungi da me giudicare chi non conosco, richiamavo un concetto di "generale" (e citato nel post) scarsa preparazione che qua e la capita di trovare tra chi il vino tocca distribuire. Non sono molto d'accordo sul fatto che non servano competenze esterne, uno studio alla base su come poter promuovere al meglio un gran bel vino potrebbe avere effetti positivi, in questo senso torno sulla formazione e sulla necessità di condivisione delle competenze di cui questo interessante post parla. Chiaro che conta l'esperienza e la materia prima, ma allora chi non ha esperienza che speranze ha di impiegare la propria voglia di entrare in sto mondo?

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Daniele

circa 12 anni fa - Link

Io studio marketing ecco! Lavoro da qualche anno, non nel vino, ma è nel vino che vorrei passare il resto dei miei giorni :)

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Andrea Barbaccia

circa 12 anni fa - Link

L'informazione del vino è malata da parecchio, da almeno un decennio, il punto focale della questione non sta solo nei cattivi maestri ma nel concetto "Ho bevuto molto quindi sono un grande esperto" ma si può essere degli enormi cretini pur avendo bevuto l'olimpo e conosciuto Zeus di persona. L'eccessiva facilità di avere accesso ad un mezzo d'informazione spinge i più a considerarsi giornalisti specializati pur svolgendo di fatto altre professioni. Tralasciando chi di fare marchette ha fatto una professione credo che non sia sano che un amatore venga messo sullo stesso piano di un professionista Zakk: frequento il mondo del vino da professionista da molti anni e sono convinto che tra le aziende ed il consumatore finale ci sia una torma vociante di sensali da fiera che andrebbero evitati come la peste, poi guru, maestri, professorini...tutti con il morbo di Parkerson (purtroppo non è mia) tutti convinti di aver scoperto delle verità sul vino che prima di Loro nessuno aveva mai notato, di essere i primi illuminati degli ultimi sessanta secoli e se non è presunzione questa?!

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Daniele

circa 12 anni fa - Link

"...“Ho bevuto molto quindi sono un grande esperto” ma si può essere degli enormi cretini pur avendo bevuto l’olimpo e conosciuto Zeus di persona..." CONCORDO

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Eleutherius Grootjans

circa 12 anni fa - Link

Possiamo dire che l'aver bevuto (gustato) molto è condizione necessaria ma non sufficiente?

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

Ottimi spunti. Posso solo dire come scrivo io del vino. Il lettore, non solo quello "generalista" dei quotidiani come quello per cui scrivo, è più interessato alle emozioni che ai tecnicismi inanellati come grani di rosario. Ergo? Descrivo i mitici "sentori", ma cerco di far capire perché possono essere intriganti per un bevitore. Voglio raccontare cosa significa quella particolare rosa appassita che si sente in un Barolo di grande annata, e spiego in altro modo la rosa appassita diversissima di un Traminer altoatesino. Non c'è poi niente di più triste che leggere un giornalista vinicolo scialare termini tecnici per ogni dove senza spiegarli. Se devo dire che il tal vino si fa con rimontaggi o col batonnage, mi premuro di esplicare per bene (ma sinteticamente) di che si tratta. Il giornalista fa informazione e cultura: se usa un linguaggio da iniziati, finisce per non fare né l'una né l'altra. Insomma, finisce per essere un giornalista che scrive per i suoi colleghi. Come certi compositori italiani d'inizio Novecento, che per far vedere che avevano sentito Debussy riempivano le loro composizioni (quasi tutte dimenticate oggi) di cromatismi. Ok, quest'intervento andrebbe taggato "chi se ne frega".

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Antonio Tomacelli

circa 12 anni fa - Link

"Ok, quest’intervento andrebbe taggato “chi se ne frega”. Stai scherzando, vero?

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Per tornare in topic, a me non sembra affatto che l'informazione del vino se la passi male, specie se confrontata a dieci anni fa. Oggi c'e' maggior pluralismo, ci sono piu' guide, ognuna con il suo stile e la sua filosofia, ci sono belle pubblicazioni cartacee (enogea e' una), e sopratutto ci sono tantissime voci su internet, anche dei produttori di vino, che in fin dei conti sono, o dovrebbero esseere, la fonte primaria di informazione sul vino (distinguiamo la critica del vino come prodotto, che ovviamente vede invece il produttore, o meglio il suo prodotto come oggetto dell'informazione). Semmai a me sembra che siamo ancora all'anno zero come formazione. Formazione dei venditori, dei ristoratori e enotecari, dei buyers dei supermercati, ecc. ecc. Il cliente finale invece e' cresciuto come conoscenza media, non c'e' confronto con il passato anche recente.

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Andrea Barbaccia

circa 12 anni fa - Link

Siamo sicuri che pluralismo abbia sempre un accezione positiva?

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

almeno uno sceglie quello che vuol sentire, non mi sembra poco, anzi, mi sembra tutto.

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eros

circa 12 anni fa - Link

competenza, serietà, rispetto del cliente ed onestà. Qua se ne trova, per questo Vi leggo, altrove molto meno. Sperin ben

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Francesco Amodeo

circa 12 anni fa - Link

"Spesso ma non sempre, insipienza e presunzione degli allievi sono riflesso deformato di saccenza e bassezza intellettuale dei maestri. Grazie al cielo, conosco appassionati wine writer di modestia pari solo alla smisurata competenza ma ne conto pochi, la tendenza a farsi più belli del reale è come il prezzemolo e capirne il perché richiede una laurea che non c’è" E' così. Quoto lo "spesso", in quanto alcuni tra i più grandi maestri del vino che ho avuto la fortuna di incontrare sono persone dalla modestia allucinante, che sembrano che ti prendano in giro tanto tendano a sminuirsi. E' altrettanto vero il "non sempre" perché c'è ne sono altri, pochissimi, che invece in virtù del loro carattere forte e identitario, riescono a coniugare competenza con un deciso personalismo. Il problema della comunicazione del vino è anziutto dato dall'ignoranza delle persone. Esistono una marea di pseudogiornalisti dai 100.000 assaggi che scrivono in rete, e che sanno di vino come io so di tecnica uncinetto; o che trattano il vino come potrebbe fare un qualsiasi appassionato medio dopo aver fatto una veloce ricerca in rete. Poiché mediamente le persone che leggono fanno fatica a distinguere chi vale da chi no, tutto alla fine viene equiparato e quindi alla fine possono parlare tutti, magari in virtù di rendite di posizione che oggi non hanno più alcun valore pratico. Il risultato è che chi vale veramente viene messo (o si tenta di metterlo) nel calderone della mediocrità di cui internet è pieno zeppo. La soluzione è fare nuova cultura. Quando ci sarà una nuova cultura, questi personaggi verrano sonoramente presi a calci in quel posto, assieme ai loro 100.000 assaggi. E giustamente, direi.

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Alessandro Dettori

circa 12 anni fa - Link

I principianti ed i mediocri c'erano anche prima dell'avvento dei blogger & Co. Troppo gossip e poca vera informazione. Pochi writer hanno il coraggio di spendersi in inchieste, ci si accoda a posteriori a commentare quelle poche volte che l'ufficio repressione frodi riesce a scovare qualche marachella. Ho sentito dire a giornalisti che non si può penalizzare l'azienda X, anche se i vini sono imbevibili, perché comunque rappresenta un tassello importante per l'economia locale. Queste cose mi fanno rabbrividire. Questa è mafia. Il lettore non ha colpe. I veri giornalisti non devono avere uno di riferimento. Si scrive quel che si vive e si pensa. Si fanno le inchieste per cercare di migliorare un poco il mondo in cui viviamo. Scrivere per un pubblico di riferimento è come fare i vini su richiesta.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Masnaghetti ha indubbiamente ragione, niente da dire. Sulla comunicazione del vino ho una mia teoria; non è malata, il problema é che le si chiede quello che non può dare. Mi spiego. Un giornalista, o un gruppo di giornalisti, che scrive una graduatoria (che siano decimi, grappoli o bicchieri non importa) fa un campionamento come faccio io quando analizzo l'uva di un vigneto prima della vendemmia. L'esperienza di decenni mi ha insegnato che anche con il sistema di campionamento più evoluto il singolo campione non rispecchierà mai il dato esatto del vigneto. Per questo in ogni zona uniforme della mia azienda faccio una decina di campioni, e la media di quelli mi da la lo stato reale del vigneto. Lo stesso vale per il giornalista che fa le guide o ogni classifica; chi li legge forse ignora che dieci bottiglie dello stesso imbottigliamento sono inevitabilmente diverse tra di loro, così come é diverso un vino a due mesi dall'imbottigliamento rispetto a uno con un anno di bottiglia. Ma quando si assaggiano cento vini in un giorno se ne trova uno appena imbottigliato, uno con sei mesi e uno con un anno di vita in bottiglia, e nel poco tempo per ogni campione non si ha tempo per molti distinguo. E si trova la bottiglia ottima di uno e la mediocre di un altro, ma come si può saperlo? In decenni a giro per il mondo a vendere i miei vini ho sempre notato che se ne stappo dieci una è sicuramente migliore delle altre, chissà perché. Forse è il tappo, forse uno dei mille fattori imponderabili. Troppi fattori in gioco, il giudizio singolo é per forza opinabilissimo. Per questo credo che il tutto vada riportato al gioco che è, senza che né produttori né giornalisti (e tantomeno lettori) si prendano troppo sul serio e prendano nulla per oro colato. Il Brunello del Neri è il miglior vino del mondo? Orca, sono felicissimo perché fa una grande pubblicità a tutti noi di Montalcino. Ma finisce lì. Il giudizio della guida Pinco Pallo é utile perché è il parere del giornalista Caio che stimo, se voglio mi aiuta nelle mie scelte ma non è il Vangelo. Grazie a Dio il vino non è scienza, é soggettivo all'infinito; o mi piace o non mi piace, e se mi piace perché è tecnicamente perfetto, o perché é prestigioso o per il motivo che voglio lo decido solo io. E viva la libertà.

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Nereo Pederzolli

circa 12 anni fa - Link

un tempo si diceva: meglio bere (tanto) piuttosto di voler sapere piu' di quanto si beve

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pragmatist

circa 12 anni fa - Link

Abbonato da tempo al Masna, ho letto con interesse l'analisi invero piuttosto pessimista (ed in qualche modo addiritttura nichilista) del pezzo. E' vero il vino ha compiuto un'evoluzione stilistica che ha portato a modificarsi e a rinnegarsi continuamente per cercare di"rimanere al passo con i tempi", addirittura, l'ultima frase, quella che più mi disturba (e che da tempo mi interrogo a proposito) e quella in cui l'autore afferma che in fondo, gli enologi, sono in grado alla faccia del territorio e dell'uva di partenza, di riuscire a produrre il tipo di vino che il mercato in quel momento richiede e che azzera di conseguenza quasi tutto. Personalmente darei una chiave di lettura meno impietosa, c'è critica e critica....lo stesso Masnaghetti che pur non cambiando mai repentinamente metro di giudizio, ma che pur si è evoluto, oggi appare credibile e allo stesso tempo, aggiornato, senza voltafaccia.Non altrettanto si può dire di altri...Eppure secondo me, le questioni non vertono tanto sulla competenza dei vari giornalisti ma piuttosto occorre fare altre considerazioni. Fino a quando il commercio era florido quasi tutti sembravano aver imboccato la via del "legno e del frutto": critici e produttori, (salvo le ovvie doverose eccezioni, certo), ma quando questo sistema ha cominciato a scricciolare, allora, visto che le vendite calavano in qualche modo anche la produzione e la critica hanno sentito l'esigenza di recuperare quote di mercato (e di credibilità) mettendo in moto una spasmodica ricerca stilistica, polverizzando l'offerta, che sta ancora cercando di fare rivivere quel momento d'oro in cui critica e produzione facevano faville. Il risultato è che è venuta fuori una torre di babele di voci e di stili, dove ognuno arroga a se "il verbo", ma intanto il mercato si fa sempre più difficile, soprattutto per la congiuntura economica mondiale, mettendo in dubbio la sopravvivenza stessa di una buona parte del sistema produttivo.Critica enogastronomica compresa.

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ag

circa 12 anni fa - Link

Semplicemente perfetto.

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ludovica

circa 12 anni fa - Link

parlando di formazione, sognando la scuola perfetta per la comunicazione del vino, chi vorreste come docenti? vivi, possibilmente.

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alessandro bocchetti

circa 12 anni fa - Link

Alessandro, la prendo come una dichiarazione di intenti? come una bussola per il futuro? Boh, spero di si... ;-) Lo dico da tanto, tantissimo tempo. Il vino ha bisogno di laicità e competenza. Tanti anni fa all'enoteca di via della croce un famoso scrittore di vino di un'altra era diceva "sei un'esperto? Mostrami le analisi?", molto Rock and Roll e anche guascone, ma mica troppo lontano dal vero... La sola strada per conoscere il vino è assaggiare e studiare... In quanti pensano invece che sia pontificare? a tracciare linee con il lapis rossoblù? Quando valuto un vino, lo faccio sempre per me, non pensando di avere verità in tasca, cercando di farmi capire e di non mischiare il metodo con il risultato... In quanti parlano solo per se e i propri accoliti? Ciao A

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Mr. R

circa 12 anni fa - Link

Già....hai proprio ragione....eh già.....sì sì.......

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francesco

circa 12 anni fa - Link

A mio avviso non è solo l'informazione ad essere ammalata ma tutta la società italiana in quasi tutti i settori. Sentite questa intervista di Antonio Galloni che molto bene ci spiega la fondamentale differenza tra i produttori italiani e quelli francesi, il discorso si può estendere benissimo anche all'informazione ecc. http://www.winenews.tv/index.php?wnv=3542#video2

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Eleutherius Grootjans

circa 12 anni fa - Link

1) "Il faut déguster beaucoup pour etre capable de dire quelque chose d'un vin." 2) "...Concludendo, il vino lo si giudica proprio da questo: che aiuta, nel ricordo o nella speranza, nella riconoscenza o nel desiderio, a sognare. E non si può descrivere il gusto di un vino se non si ricorre in qualche modo al sogno. E siccome il sogno, anche se contiene infiniti elementi universali e logici, ha una struttura individuale e irrazionale, bisogna pure che ciascuno si rassegni a descrivere il gusto di un vino partendo da se stesso, riferendo le proprie sensazioni con assoluta sincerità, e confidando che gli altri, al momento buono, provino sensazioni poi non troppo diverse." Una minima e semplice regola per distinguere chi forma/informa e chi si autoincensa esiste e pertiene al buonsenso. Un giudizio individuale, per fondato o strampalato, razionale o sentimentale che sia, è degno di stima fintantoché non abbia pretese di verità e si presti alla critica. Prescindibili e noiosi sono il trombonismo, il papismo, le forme prolassiche dell'ego: facilmente riconosciamo quelli che prendono il vino a pretesto per esondare, stillando frasi come profezie e impipandosi come cinghiale al tempo dell'estro se qualcuno obietta. Insomma, basta tener presente che sapienti e saccenti sono parole abbastanza simili ma antipodali per significato, e che con un poco di spirito critico si arriva facilmente a volgere l'attenzione ai primi e le spalle ai secondi.

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pragmatist

circa 12 anni fa - Link

Vero, sottoscrivibile in toto, perlomeno se si vuole davvero dare un valore assoluto alla critica. Tuttavia in un mondo in cui vi è la mercificazione di tutto e al quale ovviamente il vino non si esima la credibilità di un critico non può non passare in qualche modo dalla sua capacità di influenzare o meno il mercato. O no ?

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

Leggerti è come bere un Brunello Riserva dopo solo un paio d'anni che è stato in bottiglia: un poco faticoso all'inizio, ci devi ritornare due o tre volte, ma alla fine è appagante.

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Francesco Fabbretti

circa 12 anni fa - Link

Credo che il vino subisca i medesimi effetti di un qualsiasi bene voluttuario perchè in tale lo si è voluto spacciare per anni. Firme, Nomi, Mode... poi ti trovi la metà delle grandi cantine con le botti ancora piene che continuano a correre dietro al marketing-marketting. Non mi piace ma comprendo la frase del Marchese Piero Antinori citata in un post precedente da Intravino che grossomodo recitava: "se i consumi di vino calano in Italia lo si va a vendere all'estero". Il punto è: come invertire la rotta e far reinnamorare del vino gli utenti finali (sempre considerando che il portafoglio, di questi tempi, tende ad assottigliarsi)? Facendo Cultura con la C maiuscola. Come si fa Cultura con la C maiuscola? Bella domanda! Non ho la risposta per tutti ma spero che quella adottata da me vada bene: Spietata ricerca, rotazione del 25/30% dei produzioni annuale in base ad assaggi condotti, vini venduti a mio insindacabile giudizio perchè IO li ritengo meritevoli di essere proposti. Girando, per quanto il portafoglio me lo permette, per i ristoranti di Roma noto che spesso le carte dei vini sono ripetitive al limite del noioso, fatte dallo stesso consulente che poi si becca la "stecca" dal produttore di turno. Il fatto è che non vedo nei visi degli altri avventori la stessa noia, la stessa voglia di sperimentare qualcosa di diverso, la voglia di farsi affascinare da una descrizione microscopica dello spirito del produttore e di come esso si rifletta nel vino e di come quel vino si leghi in maniera armoniosa al piatto proposto. Vedo pochi sommelier attendere la mia comanda di servizio per poi intrattenersi con me e suggerirmi il vino più adeguato. Vedo molti sommelier sottopagati e ridotti al rango di mesitori che all'occorrenza servono la portata. di chi è la colpa di tutto questo? Preparazione approssimativa del sommelier? Mancanza di intraprendenza anche rischiosa tipo: "se vuoi che io sia il tuo sommmelier dammi il budget annuo e la carta vini te la costruisco io!"? Disinteresse da parte del proprietario che in tempi di crisi si nascondene dietro le solite quattro referenze e sottovaluta una eventuale professionalità? Definire dove inizi la ragione e di chi sia è un po' come cercare se sia nato prima l'uovo o la gallina: conosco troppi sedicenti sommelier che farebbero bene a tacere il loro titolo, e troppi proprietari che se ne fregano dei talenti. Tirando le somme però non posso dimenticare che questo, ahimè, è il commercio, lo si voglia o no e i concetti di cultura e lucro sono molto difficili da conciliare. Ogni anno mi tremano i polsi quando taglio via un solito noto perchè ho assaggiato un "solito ignoto" che ho degustato e mi ha appassionato... ma in enoteca lavoro come in un ristorante: il vino non lo posso "cucinare" io ma posso scegliere quali "portate" servire e nessuno mi obbliga a proporre un trito e ritrito "spaghetti mari e monti". Il mio sogno sarebbe che ognuno di noi avesse il suo "menù" da proporre sostituendo alla frase "i miei vini sono i migliori", "la mia personale filosofia mi porta a scegliere questi vini con il dovuto rispetto per gli altri". Lì nascerebbe la Cultura perchè ognuno di noi a quel punto dovrebbe aprirsi con il cliente, spiegargli la sua filosofia, accettare senza repliche piccate il contraddittorio con il cliente che "ma io mi trovavo tanto bene con il khckhjgfvh (mettete voi il nome a uno dei vini famosi che conoscete)" dicendo semplicemente "mi spiace ma credo che il mio collega jhgdfvu venda proprio quello che lei sta cercando" e congedarsi con una stretta di mano e un augurio di buona giornata...Non sempre il cliente va dal collega... meditate

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Gianpaolo Paglia

circa 12 anni fa - Link

l'Italia e' in generale un paese conservatore, anche quando si parla di ristorazione e di vino. Ovviamente poi ci sono anche tanti bravi e che hanno coraggio di portare avanti delle proprie convinzioni, ma sono una minoranza. Eppure basterebbe pensare al cercare altre strade come uno strumento contro la crisi. Peccato che questo preveda a) un po' di coraggio b) fare i compiti a casa. Basta fare un giro a Londra per capire come grandissime istituzioni, come il Ritz, ma potrei fare decine di nomi, si affidino a sommelier neanche trentenni, con onore e onere di portare i risultati, e liberta di scegliere i vini da presentare. Quando sono in giro li' mi sembra di essere un vecchietto, con questi "ragazzini" che gestiscono carte di centinaia di migliaia di euro, giovani, appassionati e professionali. Se sono li' e agiscono in quel modo e' perche' funziona, non perche' Londra non e' Roma. A volte la crisi spinge a cambiare e la fame rende piu' lucidi, speriamo che accada anche da noi.

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Hai pienamente ragione, a Londra nei ristoranti ed alberghi ormai ci sono solo giovani. Eslusivamente giovani, reclutati da tutti i quattro angoli del globo. E i veterani quelli un po' meno giovani, quelli con l'esperienza, sono stati dismesssi, scartati, buttati al macero e le conseguenze si vedono; Personale quasi sempre scattante, sorriso a quarantadue denti smglianti, ma inesperienza a iosa, imbranatura dilagante ed endemica, il tutto innaffiato da una buona dose di arroganza biodinamica.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

io conosco e ho conosciuto decine di giovani sommelier, di tutte le nazionalita', affatto imbranati e inesperti. Questi ragazzi, oltre al sorriso a quarantadue denti, hanno l'incombenza semestrale di portare risultati agli investitori che hanno finanziato i ristoranti. Poca fuffa, tanta sostanza. Senno vanno a casa, cosi va il mondo.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

tra l'altro, uno di questi era Christian Bucci, tanto per dire.

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

Concordo in pieno, sottoscrivo e sottolineo. Non solo a Londra, anche nel resto del Regno Unito. E pure a Shanghai, Hong Kong, Singapore. Ragazzi ambiziosi, a volte un poco saccenti, ma con tanta voglia di fare e la consapevolezza che se non te la cavi te ne vai a casa. Molti francesi, ma anche tedeschi, svizzeri, italiani. Gli inglesi purosangue sono solo una parte. Quelli più anziani non sono stati dismessi, ma sono saliti sulla scala professionale e adesso sono direttori che dirigono i più giovani oppure si sono messi in proprio.

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

"Biondi Santi? Ah sì, ha una sorella proprio bona!" Questo circa trent'anni fa, oggi sembrerebbe un commento ridicolo, e non perché la ormai matura Signora Biondi Santi non sia ancora bella. Tre decadi e quello che era un vino conosciuto da una ristretta cerchia di estimatori ora è sulla bocca di tutti. Un tempo si diceva che un giornalista che non sapeva fare il suo mestiere diventava giornalista sportivo, se falliva pure lì si metteva a coprire l'enogastronimico. Oggi una delle migliori penne in circolazione in Italia fa l'uno e l'altro. E insegna pure. La bicicletta desiderata da molti non è poi così facile da pedalare in salita. L'ubriacatura generale mass-mediatica degli anni '90 è finita da un pezzo lasciando un gran malditesta. E' bene che una persona di qualità come Masnaghetti si interroghi sullo stato del giornalismo specializzato. E' un momento di ripensamento e di scrematura, non c'è più posto per dilettanti allo sbaraglio. I lettori sono molto più smaliziati e non perdonano. Però da tutti i commenti che ho letto mi sembra che ci sia confusione fra le parole "informazione" e "comunicazione". Secondo me il giornalista deve informare, anche quando compila una guida o esprime un giudizio su di un vino o un produttore. La comunicazione è diversa, spazia dai comunicati degli uffici stampa alle brochures aziendali, dal messaggio su certe etichette alle presentazioni dei produttori. Fermo restando che il comunicatore principe è il vino in sé, elemento unificatorio e non divisorio, altrimenti non staremmo qui a dire la nostra.

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Si nota con interesse la liberta' e la voglia, di cosi tanta gente, di esprimersi e di sbottonarsi : giusto e salutare. Ma che noia, che aridita', non un pizzico d'ironia, che inconclusione. Scusatemi, non me ne volete, l'ho detta cosi come mi e' venuta.

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Simone Gatto

circa 12 anni fa - Link

Parole sante quelle scritte da Masnaghetti. Aver spaventato e allontanato molti consumatori usando un linguaggio roboante ecco l'effetto degli "esperti" Tutti sanno che le guide sono dei progetti editoriali con lo scopo di raccogliere pubblicità. Ci si nasconde dietro la falsa promessa di voler dare un servizio. Come giustificate i premi dell'espresso oppure di identità golose. Questo blog ha sponsor? Credo di si, magari anche di aziende importanti.In tutti questi anni nessuno ha mai pagato il conto, tutto qua. Stiamo parlando di vino e di cibo perchè prendersi sul serio? Invece l'errore è stato prorio questo. Supeficialità e avarizia.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Mi permetto di intervenire. Questo Post con i suoi commenti è la dimostrazione di come e quanto l'informazione e la comunicazione enoica siano estremamente migliori rispetto ad un tempo che fu. Negli anni si è passati da un monolitismo della comunicazione in puro stile "democristiano" (alla Ettore Bernabei, per intenderci) a blog come Intravino. Leggere tanti commenti da parte di un pubblico di produttori, consumatori, comunicatori enoici, appassionati e quant'altro, strappa un sorriso. E' bellissimo vedere il confronto tra chi il vino lo fa e chi il vino lo beve, lo vende, o lo recensisce. Questa è informazione. E si, per rispondere a qualcuno, la parola "pluralismo" ha sempre un'accezione positiva. Libertà è avere una voce in più, mai una voce in meno.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Parole sacrosante. Che cambiamento nell'informazione vincola, stiamo passando da periodici a carico delle aziende (non ci illudiamo che gli stipendi li pagassero i pochissimi lettori paganti!) a ...? L'unica cosa certa è che il peso dell'utente é cresciuto a dismisura, i media tradizionali erano fatti ad hoc per avere potere sui produttori indipendentemente dalla tiratura, ora conti se ti leggono per cui o sei interessante o crepi.

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Simone Gatto

circa 12 anni fa - Link

Caro Montes, sono d'accordo con Lei, amo il pluralismo. Resta il fatto che secondo me in tutti questi anni c'è stato un grandissimo equivoco, grazie proprio ad una pessima comunicazione. Se ha la possibilità di consultare il libro di Massimo Montanari e Alberto Capatti "La Cucina Italiana" editori Laterza noterà come in un certo senso la critica, non come è conosciuta oggi è sempre esistita. Dove nasce il malinteso allora? Nella forma caro Montes. Il cibo e il vino non può essere classificato, tantomeno se non si ha cuore e sensibilità. Ricorda quando l'Italia scopri l'America's Cup? Tutti esperti di vela. Ora, finchè lo scambio è con il mio collega al bar possiamo anche sparare a zero, ma quando la comunicazione investe un pubblico ampio e li che occore più sensibilità. Ha mai letto Jasper Morris? Questo è un esempio di come si può raccontare la Borgogna. L'altro giorno in un famoso blog ho letto la lamentela di una cliente che in un ristorante di un mio amico non ha trovato la bistecca di manzo. Locale super famoso e stellato. La ragazza era convinta che essendo appunto uno stellato non poteva non avere in carta una bistecca. Ecco siamo arrivati a questo. La "critica" grastonomica doveva limitarsi a questo: suggerire cose di buono e bello ha il nostro paese.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Ma in un regime libero se lei legge qualcosa che non le garba può sempre scrivere la sua opinione e correggerla. Io preferisco così.

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Simone Gatto

circa 12 anni fa - Link

Caro Montes non sempre è possibile ricorrere al riparo quando oramai il danno è fatto. Come dice un noto cantante: la rete non è Che Guevara anche se si finge tale, al primo posto nella classifica digitale che tu ci creda o meno c'è solo chi vince i talent

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Nessun danno è fatto in una discussione "in fieri". Chiunque può intervenire e dice la sua. Compreso lei. Il danno lo si fa quando qualcuno fornisce una notizia o un informazione ed impedisce ad altri di commentarla (o di correggerla, se vuole). Ho sempre paura di chi si arroga il diritto di consentire o impedire l'espressione altrui.

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Andrea Barbaccia

circa 12 anni fa - Link

"Qualcuno" risponde: gli eccessi secondo me fanno sempre male, l'eccesso di democrazia diviene demagogia, l'eccesso di pluralismo può sconfinare nel qualunquismo, non si possono sdoganare i cretini per un eccesso di politically correct, ma è una mia opinione e come tale prendetela.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

L' "eccesso di democrazia" non puo' esistere, perche' se ci sono delle limitazioni alla democrazia allora non si e' in democrazia, per definizione. E' come dire che l'acqua e' eccessivamente bagnata.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Chi decide chi è cretino? Allora, secondo il suo ragionamento, se gli editor di un blog decidessero che lei è cretino non dovrebbero pubblicare i suoi commenti?

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Simone Gatto

circa 12 anni fa - Link

Si, ha ragione anche Lei. Ecco perchè come scrivevo all'utente precedente è forse il caso di essere più sensibili nel comunicare il vino. Avere un pò di professionalità in più.

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