Le ricche Trame del Chianti Classico Le Boncie in una verticale dal 1998 al 2012

Le ricche Trame del Chianti Classico Le Boncie in una verticale dal 1998 al 2012

di Emanuele Giannone

Incontrare Giovanna Morganti è un’esperienza sempre piena di senso. Le Trame, infatti, è molto più che un nome a effetto. È proprio quello che significa: intrecci di vicende e di vite, fili che concorrono a formare motivi. Giovanna è nelle Trame, non semplicemente un filo, semmai la spola che lo inserisce nell’ordito (e sa raccontare come lo fa, e spiega armatura e disegno). Le Trame è anche il vino che emancipa le dissonanze, non si adatta a risolverle a nostro conforto: fitto nella trama, denso negli accordi, atto a mettere in forse il nostro sistema tonale. L’ultimo incontro ha evidenziato il tratto femminile impresso da Giovanna e accolto dal vino, risolvendo il qui-pro-quo, magari cavalleresco ma affatto limitato, della femminilità espressa univocamente in grazia e soavità. Le Trame, di solito, non offrono tenerezze e non nascondono le asperità. Ma duri non vuol dire rudi: questi vini non ostentano, sono poco inclini al disimpegno, severi e strenuamente femminili, belli in assenza di abbellimenti.

Le Trame, Chianti Classico Docg – Podere le Boncie
1998: colore che ispira gioventù, naso ampio e disteso di sottobosco, genziana, muschio, edera, terra più cenni di concia e carbone, il tutto dosato e coeso, ingentilito dalla morbidezza del frutto nero maturo, dai fiori appassiti e dalla speziatura dolce in filigrana. In bocca cambia scena e passo, è quasi salato, esplicita la potenza in una progressione lunga, continua e ricca di spunti, è pieno e carnoso, intatto per energia e acidità sferzante, per concentrazione e fittezza di trama.

2001: ritroso e mimetico, dosa bacche nere, cenere, radici e felce. Dal naso ermetico alla bocca di drittezza e alta tensione, un acuto a voce piena, potente e senza sottigliezze. Acidità fendente e calore quasi impercettibile, grande concentrazione, testura fitta e scabra con sensazioni terrose sottolineate dai tannini severi e radenti. Grande vino in nuce, severo ancora adesso e di orizzonte e potenziale lunghissimi.

2002: dalla prima e fin qui unica occasione conservavo il ricordo di un vino vivo, delicato e accogliente, che si conferma in questa seconda: sullo sfondo lo stesso tratto floreale e muscoso, fine e diffuso, insieme a ciliegia, tabacco, spezie dolci e pietra bagnata. Il tocco di bocca è aggraziato e diffuso, il liquido ha presa e si sviluppa di grazia accennando a frutta rossa, garofano, erbe aromatiche e terra. Più disponibile e rotondo dei precedenti, ispira ancora freschezza e dolcezza di frutto, è sottile nella trama e continuo in progressione, chiude con una chiara sensazione di pulizia sottolineata da tannini nettanti e morbidi.

2003: un solare sberleffo ai luoghi comuni sull’annata che strinò tante vigne ma sa anche serbare strenne. Eccone una: maturo certo, ma ancora intatto e coeso, persino elegante nei richiami a frutta rossa, tè gunpowder, cuoio, fieno greco, pepe e cacao. La famigerata nota animale o vegetale si dilegua presto, per un’ora almeno è sorprendentemente leggiadro, scattante, di corrispondente droiture al sorso. Dispiega in progressione ricchezza e definizione di aromi, tannini infusi, quasi cremosi, e calore dosato. Col passare del tempo la progressione si fa più piana, il tocco più carezzevole, la stoffa cedevole. Elegiaco.

2004: è la definizione vivente di vino naturale, anzi naturalissimo. Perché è straordinariamente buono, chiama e richiama alla beva, appaga la sete e non la sazia, ha energia e bontà in ogni sorso. Apertura fuorviante, due minuti di cappero, oliva verde e muschio, ma è solo mimesi. Due soffi e si assesta su una cifra di piana eleganza, vero e naturale equilibrio. Misurato, sebbene già più espressivo del 2001, si concede in profumi dosati di frutto, edera, cortecce, viola. In bocca è fin qui – parere ovviamente personale – il più buono: acidità fendente e assiale, che percorre e squadra la bocca insieme a tannini temperati e fini; dà slancio, regola i sapori in un corale in pianissimo e crea, col suo fortissimo, un contrasto dinamico. Vale a dire tensione, sorpresa, invenzione.

2005: apertura e freschezza, fiori rossi, felce, un po’ di spezie e soprattutto arancia rossa, nitida e succosa. In fondo una parte fruttata più matura (ciliegia). Relativamente sottile e rilassato, vitale, apre il sorso con la familiare acidità svettante e sapidità più nitida, è succoso e diretto, magro e verticale, con tannini piccoli e croccanti. Immediato e bello il finale: ci lascia di sale, di sasso e di succhi di frutti rossi.

2006: l’iniziale riduzione si apre su note vegetali di muschio ed erbe macerate, minerale scuro (asfalto), fuliggine, durone e mora. Colore e concentrazione ispirano spessore e pienezza. Il sorso reca il tratto autorevole dei tannini, la sensazione terrosa apre e percorre la progressione, la struttura è ingente; ma è tutto di slancio ed equilibrio, definito nei sapori che si sviluppano da iniziali durezze a successive suadenze, fino a suggerire – sotto l’usuale lama – il finale buonissimo e ronde, più maturità e più grazie. Sono le Trame più curvilinee, è lo sfero di vino.

2007: meno teso, più caldo, con note animali in evidenza insieme a erbe amare, terra, fogliame e frutta rossa disidratata. La bocca è buona e piana, più immediata nell’effusione calorica e quindi nell’espressione aromatica, asciutta in attacco e leggermente declive. La tensione più bassa e risolta lascia a sé il finale che si svolge in tono e lunghezza minori, sorretto da tannini maturi e infusi, molto buoni.

2008: spesso, lento e ombroso, potrebbe essere il ritratto del vino da giovane se non concedesse poco dopo bacche scure, amarene, una traccia terrosa familiare, fiori amari. Bocca dalla presa imperiosa e di sapidità saliente, vibrante di acidità, concentrata e di grande struttura, seria e leggibile solo per approssimazione. Ma godibile, energica e sapida, con grande persistenza e tannini nettanti.

2009: ancora irruento e molto goloso, rispetto ad assaggi passati cede il piglio rustico e si riconcilia con i tratti più morbidi e maturi; soprattutto si disfa dell’insistenza della nota calorica che ne confondeva l’espressione. Tocco di bocca perentorio e sensazione tattile di grande persistenza. Il frutto è maturo e definito, la traccia terrosa e vegetale scura fa da leitmotiv sia al naso, sia in bocca – qui affiancata da sapidità infusa e dolce, nonché dall’usuale spalla acida. Empatico ed energico, diretto e trascinante in progressione, intercala la terra con mora, marasca, aronia, erbe amare e china. In affinamento e ha fatto passi da gigante.

2010: ha il passo del gigante. È denso e serrato, di grande complessità e stratificazione aromatica (mora, sottobosco, ghisa, cortecce, concia, inchiostro). Potente e di grande energia al palato dove erompe subito nel tannino di grana grossa, maturo e severo, e nell’acidità svettante; prende la bocca e conduce con slancio la struttura ingente, amministra il calore, ne fa volano per lo sviluppo degli aromi (frutti di bosco, tè, erbe amare, durone) e lascia una lunghissima traccia sapida, iodata, scura di bacche amare e ferro. Torna il tannino a rimetter sete.

2012: una sorpresa. Il frutto, in tutta franchezza, freschissimo e con tutte le sue giuste dolcezze. Fragola e ciliegia. È un vino aereo e slanciato. Un vino contento. Di una leggerezza quasi inedita, pur senza derogare alla trama fitta dei tannini, all’acidità infiltrante, ai caratteri silvestri. Sorso goloso, progressivo ed elegante, che fa a meno – altra sorpresa – dell’impatto e si affida a una diffusione regolare e coinvolgente, prima soave e poi in crescendo, fino alla lunga e nitida coda con il frutto di nuovo in evidenza.

Ora si può tornare a Ted Perry e alle sue righe, che si vogliono ispirate non da Giovanna Morganti, bensì dal capo indiano Seattle:

Whatever befalls the Earth
befalls the sons of the Earth.
Man did not weave the web of life;
he is merely a strand in it.
Whatever he does to the web,
he does to himself.

Tutto ciò che accade alla Terra
accade ai figli e alle figlie della Terra.
L’uomo non tesse la trama della vita;
in essa egli è soltanto un filo.
Qualsiasi cosa fa alla trama
l’uomo la fa a se stesso.

[Immagine: Pietro Meloni, Eco Museo Chianti]

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

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