L’armagnac è una cougar (?)

L’armagnac è una cougar (?)

di Thomas Pennazzi

Non parlo frequentemente dell’armagnac. Perché è una brutta bestia. Dovrete essere bevitori navigati, di una certa esperienza, per farvi allettare da simili bicchieri: ci arriverete, forse, dopo aver bevuto il mondo. A me piace ripetere che scalerete un 6° grado del calice, tutt’altra impresa che versarsi un vellutato cognac nel tulipano. I guasconi, quando gliene chiedete ragione, rispondono così: «Ah, monsieur, le cognac, c’est comme une jeune fille, elle est appréciée de tous. L’armagnac, c’est comme une femme d’un certain âge que vous ne présenteriez pas à votre mère». Insomma, a dir loro l’armagnac è una cougar.

Ma, no, dimenticatevi l’armagnac che avete incontrato finora: in comune con quello di cui vi parlo ha solo la denominazione in etichetta, come comprare il Barolo al supermercato; poi un giorno folle, scoprite che c’è anche il Cannubi, ed il Monfortino. Ecco. L’armagnac tradizionale è qualcosa del genere. Il discrimine non è chiaro a tutti, tradizionale significa che: è prodotto da un vignaiolo nel proprio domaine e non manipolato in un secondo tempo da un négociant; riporta un millesimo ed il nome del podere dov’è nato; e la sua gradazione supera di solito i 45°, a meno che sia venerando.

Il vignaiolo guascone assomiglia parecchio ad un contadino padano di cent’anni fa: coltiva il suo mais, alleva le anatre per fornire di confit e foie gras mezza Francia, e ha qualche ettaro di vigna dove la terra si ondula, con cui farà anche del vino per la sua tavola, o se è in una zona meno vocata al distillato, del buon Côtes de Gascogne da viverci; i popoli nordici glielo comprano quanto e più del suo alcool. Se è ricco, avrà anche qualche scampolo di foresta, e ne ricaverà perfino le sue botti di quercia, di cui si vanta boriosamente, da buon guascone appunto. Perché questo vignaiolo fa l’armagnac, ma en passant, giusto tra le altre cose. Rari sono i produttori devoti solo allo spirito, ed in questo caso possiederanno quasi sempre un alambicco proprio; ma sono una piccola élite.

La consuetudine locale vuole infatti che da ottobre in poi, appena il vino è fermentato, il produttore chiami dei personaggi singolari: in occitano si dicevano brulabi (brûleurs de vin, in lingua gallica), dei distillatori ambulanti insomma. Una volta portavano un piccolo alambicco luccicante di rame sulle spalle, girando di cascina in cascina per conquistarsi l’esistenza ed un pasto caldo, d’inverno. Oggi l’uso è rimasto lo stesso, ma loro sono diventati professionisti, e l’alambicco, fattosi grande e semovente, viaggia a rimorchio di un camioncino o di un trattore. Il distillatore prima di tutto è un fuochista, perché in Guascogna si distilla ancora volentieri a legna, e la maestria del fuoco è un’arte ancor più necessaria del saper distillare. Il contadino ci metterà il tetto, la legna, il vino, ed il compenso del maestro (magari con la promessa sussurrata di un ortolan, la golosa crudeltà locale). Il distillatore, la sua esperienza per ottenere esattamente quello che il padrone delle vigne desidera fare del suo vino.

L’armagnac tradizionale quindi ha una dimensione ancora paesana, è un artigianato diffuso su più soggetti locali (il vignaiolo, il distillatore, il bottaio, il mediatore che venderà forse l’acquavite alla grande Maison), più che un sapere iniziatico come a Cognac, dove il vigneron è padrone e signore della sua filiera, con l’esclusione delle botti.

La cosa affascinante del vero armagnac è proprio questa sua rusticità, segnata fin dalla nascita: l’alambicco, visto come una grossa stufa di campagna, economica e perfino tignosa, in cui il refrigerante della serpentina è proprio il vino che andrai a distillare (e che perciò consuma il 40% in meno di calorie rispetto a quello del cugino ricco di Cognac); la spiccia distillazione semplice, e non a ripasso; l’uso di botti che magari già il nonno ha riempito ed il padre svuotato, e a cui i nipoti avranno cambiato i fondi, se va bene, o buttato dentro dal tappo una mezza doga fresca per fare tannino, mentre a Cognac la botte nuova è tradizione e obbligo secondo il severo disciplinare; il grado alcolico iniziale, raramente oltre 56°, il che significa che dopo pochi anni lo spirito avrà raggiunto quota 49° o pressappoco, senza doverlo maritare con acqua (non sia mai!), e potrà essere bevuto alla spina, brut de fût; la totale assenza di magheggi da enotecnico, costano! Niente zuccheraggi, brodo di chips, coloranti: qui non ci sono enologi, a meno che lo sia il patron; un travaso annuale è tutto quel che si fa nella cascina fattasi cantina, per dare aria all’acquavite ed evaporarne gli esteri malefici, peccato di gioventù.

Avrete già capito, l’armagnac tradizionale nasce villano, e villano resta fino alla bottiglia. Il che non gli impedisce di assurgere a profondità e magniloquenza, quando vuole, o meglio, quando può. Quando l’annata è felice, oppure quando il legno non l’ha segnato troppo, o troppo a lungo, o ancora, quando è stato felicemente dimenticato in una botte felice. Mai sarà uguale a se stessa, la brutta bestia, e non avrete garanzia alcuna dall’etichetta famosa. Pure le parcelle migliori producono talvolta annate flosce, inconsistenti, o disarmoniche: è pur sempre figlio del vino, oltre che del fuoco, questo spirito incostante.

Talvolta l’armagnac è di nobili natali, e non rozzi: e sarete certi di bere un distillato fatto meno a casaccio, che vede di frequente il costoso legno nuovo, ma ancora non sarete tutelati: baroni e duchi hanno cultura e quattrini più del contadino, ma la natura è capricciosa – se si dice proverbialmente che a tempo e culo non si comanda – e farà gli stessi scherzi che al vignaiolo senza castello. L’armagnac tradizionale non è blended, e perciò riflette, concentrandole, le virtù o le disgrazie della vendemmia. I cugini ricchi delle due Charentes, avendo clima peggiore, hanno imparato a difendersi dagli incerti miscelando le annate. Ecco perché il parente povero della Guascogna una volta versato nel bicchiere, se è d’annata buona, vi ruggirà in faccia: mai aggraziato, prima graffia il naso, e poi fa a braccio di ferro con la lingua (vince sempre: è un combattente abilissimo, rileggetevi Dumas), ma voi non smetterete più di desiderare simili ceffoni.

Non c’è eleganza, nossignori: l’armagnac non è mai elegante, è un paysan, un campagnolo con le scarpe chiodate, sporche di sables fauves, di boulbénes; per questo piace tanto ai bevitori dei whisky catramosi, perché ha carattere, e grinta da vendere, e gliene avanza ancora in fondo al bicchiere, il giorno dopo! Se cercate la finezza, dovrete migrare qualche département più a Nord, dove da tre o quattro secoli hanno imparato l’arte del cesello e della filigrana liquida: a Cognac si prendono il tempo di limare le unghie alle acquaviti anno dopo anno, e di annacquare lo spirito giovane in una camicia di forza fatta di zucchero e di boisé. Qui, no. L’armagnac tradizionale è rustico e spaccone, ma come i suoi padri guasconi non vi tradirà, ha il senso dell’onore e in fondo manterrà quel che vi promette nel bicchiere.

Dove trovarlo? Non è facile: l’armagnac lo fanno in tanti, più di cinquecento sono i produttori accreditati, ma chi ha la forza di farsi conoscere fuori dalla regione senza ricorrere all’intermediazione delle Case commerciali si conta sulla punta delle dita. Del resto difficilmente un produttore può sostenere la fatica del commercio in proprio, se è un contadino, prima che affinatore, che realizza da una ad una ventina di botti all’anno di distillato, dicasi 500/10.000 bottiglie. Qualcuno ci riesce, sulle ali della fama. Ed è vera gloria.

Gli altri vignaioli vivono di piccolo commercio locale, un po’ anche a Tolosa e nel Midi, un po’ in giro per le fiere di Francia, e già a Parigi non è per nulla facile imbattersi nelle loro bottiglie. La loro fortuna mercantile è spesso incerta, e la loro speranza è che i commercianti all’ingrosso ne comprino qualche botte, a prezzo della miscelazione e della scomparsa del loro nome e dell’individualità, fusi in un prodotto più conosciuto e distribuito, ma tutto sommato mediocre, o che arrivi il celebre Darroze o qualche americano a selezionare i loro spiriti per portarseli in giro per il mondo. Ai più bravi succede.

Ma i più bravi fanno cose notevoli: per esempio armagnac monovarietali. Perché i vitigni da cui nasce l’acquavite sono quelli del cugino cognac, con l’eccezione del Baco (c’è chi scrive Bacco!), unico ibrido a cui è concesso l’onore dell’AOC. Ognuno di questi vitigni, preso singolarmente, è interessante, e ne capisci il carattere, se sei così fortunato da imbatterti in loro. La vera protagonista, però, la Folle Blanche, era anticamente la regina incontrastata degli spiriti di vino transalpini. Oggi, travolta nelle Charentes dall’italico Trebbiano (là Saint Emilion alias Ugni Blanc), che su piede americano ci sta benone, e in Armagnac anche dal Baco, fatica a riconquistarsi una posizione, ma sta tornando di gran moda. Soprattutto perché riesce ad esprimere quella leggiadria che agli altri manca. A Cognac, deliziosa fanciulla, qui contadinotta rubizza, ma sempre piacente. Cose belle, insomma.

Fatelo, questo viaggio ad limina sclopetaruum: i loro nobili discendenti, ed i paysans vignaioli vi accoglieranno di buon grado, se masticate qualche parola di francese, e saranno felici di farvi assaggiare il loro orgoglio liquido, spesso e volentieri tirandolo fuori dalla botte al momento, per versarvelo in minuscoli ballon. Forse dopo non vorrete berne più, di cose fatte con le granaglie: quella roba, in Armagnac, ti dicono che la danno ai polli.

Postfazione di tipo grafico: l’immagine del post doveva essere un’altra ma tira un’aria molto politically correct quindi vi tenete quella lassù – anche noi di Intra non siamo più quelle pantere di una volta, non ci sono più le mezze stagioni, eccetera.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto non può ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito, e da qualche anno ne scrive in rete sotto pseudonimo.

2 Commenti

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Francesco Garzon

circa 6 anni fa - Link

Non ho ancora letto il post lo farò stasera per chiudere la giornata con qualcosa che sicuramente mi piacerà, ergo qualcuno che con competenza scrive di superalcolici. Settore che, oggi giorno, mi sembra abbastanza lontano dal politicamente corretto. E a proposito di politicamente corretto in effetti la foto del post non è della stessa caratura della Bonarda (07/04/2010) :) .. ma tutto ciò è fuori tema....

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erique

circa 6 anni fa - Link

A proposito di vecchi post, ma la classifica di quelli più letti dov'è finita?

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