L’altra Lombardia: la Riserva degli Angeli della cantina Lazzari

L’altra Lombardia: la Riserva degli Angeli della cantina Lazzari

di Redazione

Il Netto è una specie di panettone, lo chiamano monte ma ci vedo più un colle, un bozzo della pianura ad una manciata di chilometri da Brescia. Il Mella, il fiume che scorre a pochi passi, ha depositato in milioni di anni strati di argille provenienti dalle valli retrostanti che si sono poi sollevati – in tempi diciamo più recenti, circa 300.000 anni fa – dal resto della pianura, formando questo altipiano dall’altezza massima di 133 metri. Fino a pochi anni fa in gran parte adibito a cava di argilla per le fornaci di laterizi sorte nei paraggi e solo recentemente, con l’avvento del Parco Agricolo Regionale, è stato bloccato un processo di cementificazione – complice dei prezzi immobiliari nel periodo pre-crisi – che avrebbe compromesso un territorio che ha qualcosa da dire soprattutto attraverso il marzemino, la varietà di casa, come stabilito dagli approfondimenti dell’Università di Milano.

Tutte queste cose me le racconta Davide, uno degli eredi di casa Lazzari, addetto alla comunicazione ed alla commercializzazione del vino di famiglia.  “Nel 2016 avevamo 7 ettari coltivati, ora siamo a circa 9,5 e siamo in trattativa per l’acquisizione di un ulteriore ettaro in affitto; purtroppo siamo l’unica azienda in espansione. Sul monte Netto campano con il vino solo due famiglie e la cosa che mi ha fatto più piacere è stato il riuscire a dare dignità a questo lavoro visto che fino al 2012 nessuno in questa azienda era stipendiato”.  Da lì è cominciato il cambiamento, l’innalzamento della qualità, il miglioramento delle tecniche ed il passaggio da un’agricoltura tradizionale ad un approccio che Davide definisce  “ateo, razionale ed empirico”. Certificata biologica, l’azienda utilizza lieviti rigorosamente selezionati (“prove di fermentazione spontanea ne abbiamo fatte ma sono andate male”) e sta conducendo alcune prove sul campo per la riduzione dell’utilizzo del rame:  “stiamo sperimentando la combinazione di rame e  chitosano  per ridurre l’utilizzo e l’impatto dei trattamenti, questo è ancora un problema per il biologico”  e aggiunge –  “ciò che apprezzo del metodo biodinamico è la considerazione del vigneto come di uno spazio in cui la vite deve interpretare il suolo, evitando però dogmi simili alla stregoneria” ed è anche per questo motivo che l’azienda, in collaborazione con lo studio SATA, sotto la supervisione del dott. Valenti, sta sperimentando l’uso della colza come sovescio de-compattante per  evitare il l’indurimento del terreno causato dai mezzi agricoli.

Davide è ambizioso e legato alla sua azienda, al territorio tutto: “la commercializzazione del mio vino deve essere un mezzo per svincolare questo territorio sfigato dall’immagine di vini facili e di pronta beva, da damigiana”, ed ancora:  “quello di Walter  (Massa  n.d.r.), nei Colli Tortonesi, è stato  il lavoro  con la differenza che il Piemonte, da mercato e appassionati, è percepita come zona a vocazione vinicola mentre la Lombardia difficilmente viene percepita come tale. La Franciacorta è l’unica zona lombarda a funzionare ma stando bene attenta a confondersi, ad emanciparsi dall’immagine prettamente industriale; con il tempo, forse, piano piano, ci riusciremo…”.

L’idea è quella di produrre un grande vino  “anche con i  muscolazzi, robusto, tosto” e, con un certo disappunto di nonno Fausto, il primo passo è stato il diradamento: da un massimo di 80-90 quintali/ettaro ai 50-60 dei vini riserva.  “Dall’annata 2006 abbiamo deciso di appassire in fruttaio il marzemino affinandolo poi in botte grande per non incidere troppo con il legno, per almeno 12 mesi”.  La Riserva degli Angeli, il vino di punta, è un blend costituito da un 60% di marzemino, 20% di merlot, con sangiovese e cabernet sauvignon in parti uguali, 10% ciascuno. La 2015 è l’ultima annata in commercio (ed in esaurimento). Tannico, quasi scalcia,  “merito delle argille gialle del nostro territorio”  ma allo stesso tempo morbido, non aggredisce il palato e pare quasi ingentilito, vuoi dall’appassimento o dal fatto che il marzemino, vendemmiato con leggero anticipo, ci mette quell’acidità che dà equilibrio alla struttura di un vino di per sé – appunto – muscolare. Giovane, parrebbe quasi un infanticidio bere un vino simile di soli 3 anni ma è buono, parecchio buono. Riesce nell’impresa di non far pensare al fatto che venga da una zona dimenticata da Dio. Concepito nel 2002 (annus  horribilis  e pertanto saltato a piè pari), ha visto la luce nel 2003 (annata opposta, caldissima e secca) e sta facendo conoscere l’azienda anche al di fuori della provincia bresciana (dove viene commercializzato circa l’80% del vino prodotto). Ha spezie, caffe, liquirizia, ma anche frutta scura ed un bel colore rubino impenetrabile. Forzuto ma non un culturista, non pesante come potrebbe far pensare ma aggraziato, tecnico, deciso.

Prima di andarmene il mio ospite mi propone una Riserva 2008: medesimi l’uvaggio, la tecnica, l’affinamento. Cambiano gli anni sulle spalle della bottiglia ma capisco che anche i vini da zone sfigate invecchiano alla grande.

Forse non sono poi tanto sfigate.

Davide Bassani

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