L’Affaire Bulzoni emigra in America e il vino naturale diventa un caso. Leggere per credere

di Emanuele Giannone

Chef Ragoo è un rapper romano, valente affabulatore nonché cantante, batterista e bassista punk. L’hip hop, mi spiega, è un movimento culturale di origine nordamericana che include quattro arti o discipline: DJing (o Turntablism), Breakdance, Graffiti Art (o Writing) e Rap. Alla mia domanda sulla variante italica e riduzionista, modaiola nella sua quota maggioritaria, risponde che le cause sono evidenti: in America l’hip hop è una cultura autoctona, qui è d’importazione e fondata sullo scimmiottamento, anche nello slang, quindi più che come cultura viene vista come “quelli che giocano a fare i negri1 . Per ulteriori approfondimenti rimando alla prefazione di Chef Ragoo al libro Hip Hop Sangue e Oro.

Il giovane enofilo hip hop nostrano fa abuso di etichettatrici e Instagram. Infatti il giovane enofilo nostrano etichetta scatta degusta formatta e gli gusta, annota e posta e condivide ma s’angustia se nessuno gli dà il pollice retto, poveretto. Beve ad alta e pensa a bassa gradazione, sceglie il vino previa catalogazione. Di recente si stava affezionando al vino naturale perché naturale, andava alle fiere del vino naturale, comprava e beveva vino naturale. A Roma aveva preso a bazzicare un posto molto bello in un quartiere molto bello con un sacco di etichette di vino naturale, molto naturali, molto colorate, verdi rosse e blu. Scegliere era facile, non si doveva scegliere, bastava fare bimbumbalegiù. Ma un giorno è arrivata la guardia e le ha staccate: “Mio caro enotecaro mo’ te multo e so’ legnate perché il vino naturale è un’impostura / b’coz / il vino non esiste / allo stato di natura.”. E adesso che si fa, che non c’è più l’etichetta? Si torna al peroncino, si torna alla fraschetta.

Prima che cultura musicale, l’hip hop in Italia è una moda alloctona veicolata da canali commerciali a contenuto musicale. Negli Stati Uniti, di converso, è definito in primo luogo cultura popolare urbana giovanile. La vulgata di MTV arriva dopo. In Italia il vino è alimento e cultura, più di recente diviene moda e spunto per tenzoni e autoesaltazioni, dal salotto al web. Trattandosi di moda, per il vino come per l’hip hop sono le variabili socioeconomiche, la forza dei simboli e dei marchi, i value statements2 a determinare notorietà e successo. Da anni i value statements di chi ci dà da bere alcolico insistono su naturalità e tipicità, siano essi enunciati da nani o negociants, fattori o farmacisti, chimici o alchimisti. Da anni, per fortuna, i produttori e gli intermediari che non la danno a bere trovano maniera di informarci su cosa abbiano messo in bottiglia o sullo scaffale. Tra loro annovero Bulzoni, che questo faceva con immediatezza e trasparenza: appropriandosi di una parola – l’infame n-word – in modo forse ingenuo ma non indebito, essendo l’appropriazione finalizzata alla migliore informazione, all’esegesi di un termine altrimenti vago, non già ad abusi.

La sensazione della visita (e della requisizione, e delle sanzioni) a Viale Parioli 36 si è esaurita in Italia nella sua riduzione a schermaglia burocratico-regolamentare. Non è servita a rianimare la discussione su alcune questioni di principio, che restano di fatto inevase:

1) la titolarità e i limiti dell’uso di un termine che è naturalmente freeware e che, in mancanza di divieto esplicito, tale poteva restare in ragione dell’uso non fraudolento;

2) l’indisponibilità dei produttori N-rated a giocare d’anticipo anziché restarsene a macerare in naturale inerzia;

3) l’ampio spazio che quest’indisponibilità lascia alle approssimazioni e alle mistificazioni di chi gioca a fare il vino negro3 ;

4) il quarto degli enoici misteri dolorosi: il mistero del mutismo della retroetichetta, che tace gli ingredienti e pure la ricetta;

5) la più semplice e rilevante: circostanziare il significato di un termine oramai entrato nell’uso comune per dargli senso compiuto e ufficialità. Oppure, se non soddisfa, sostituirlo con uno più pregnante. La definizione di naturalità del vino, per quanto vaga, scaturiva dall’esigenza di individuare concezioni e tecniche alternative a quelle comunemente adottate (dette per convenzione convenzionali). L’impressione è che il cantiere stia chiudendo a lavori in corso.

Se nell’Italia hip hop la vicenda occorsa a Bulzoni è caduta nell’oblio delle mode estive, oltre Atlantico è servita da spunto per nuove riflessioni su quel termine in bilico tra voga e berlina. Diversi e autorevoli blog – negli USA si può dire, non è considerato ossimoro – l’hanno ripresa e commentata muovendo da posizioni differenti, argomentando con efficacia e suscitando vivaci dibattiti. Per l’autostima: citano Intravino tra le righe o tra le fonti. La rassegna è aperta da Jeremy Parzen, che sul suo dobianchi.com propende per il movente repressivo e con nonchalance accosta due premesse a sottintendere una logica conseguenza: da un lato la precisazione di Maurizio Gily sull’uso del termine, che leggi e regolamenti non ammettono; dall’altro la constatazione che “…produzione, etichettatura e commercializzazione del vino in Italia sono rigidamente regolate e la lobby del vino è tra le più potenti del settore agricolo-industriale…”. Se con lobby intendiamo un gruppo di interesse volto a indirizzare le decisioni di organi legislativi o di altri pubblici uffici in senso favorevole a una causa specifica, l’accostamento di Parzen equivale a un’invettiva.

Di tenore opposto l’intervento di Tom Wark dal suo fermentationwineblog.com: un ben gli sta nel nome della legge e della presunzione di abuso – quindi di utilizzo fraudolento – della nefanda parola. E un colpo di teatro: “Non esiste una definizione per il vino naturale. È una definizione da adepti, una frase del marketing che sfrutta la connotazione positiva del termine […]. Mostratemi una vite che si auto-pota, si auto-vendemmia, lavora la propria terra e si auto-imbottiglia: io vi dimostrerò che è un winemaker, non una vite.”. L’intervento di Rebecca Gibb su wine-searcher.com funge efficacemente da sinossi: l’autrice conviene con Alessandro Bulzoni (“Non mi lamento della sanzione, bensì del difetto di legislazione…”) sulla necessità di promuovere una definizione in sede normativa, quindi cita gli interventi di Angiolino Maule, Giulia Graglia e Alice Feiring. Tutti a suffragio dell’appellativo incriminato, tutti concordi sull’ipotesi di una reazione ringhiosa e iperburocratica, nonché sul suo effetto potenziale e paradosso: riflettori, ribalta, ricadute positive. Dalla tribuna di casa la Feiring riprende in più sedi la questione: si offre di testimoniare a favore di Bulzoni, giudica poco rilevante la questione terminologica – cassato il naturale, si può trovare altro – e si pronuncia per il principio di autodeterminazione, cioè per gli statuti sul modello di VinNatur, La Renaissance du Terroir etc., e contro l’intervento del legislatore.

Ci pregiamo spesso di considerare gli americani superficiali, autoreferenziali e orrendamente tranchant sotto i pretesti del pragmatismo e della spettacolarizzazione. Qui li troviamo documentati e propositivi, attenti a fatti nostri che noi abbiamo dimenticato subito dopo le dichiarazioni di circostanza e appartenenza. Forse in Italia il vino naturale è percepito come moda, prima ancora che come fenomeno culturale. Al contrario degli Stati Uniti, dove è oggetto di controversie e discussioni. Chi è che beve giocando a fare il negro4?

Note:
1 . Preciso che il termine è privo di qualsiasi connotazione razzialmente spregiativa. In Italia esso viene erroneamente, seppur sovente considerato offensivo per associazione con quello inglese, o meglio americano (nigger). Stante il contesto dell’articolo, lo si assimili semmai all’ubiquitario e non denigratorio nigga degli artisti hip hop afroamericani, ripreso in modo pedissequo-pedestre dai fan di casa nostra.
2 . “…Companies often use a value statement to help them identify with and connect to targeted consumers, as well as to remind employees about its priorities and goals…” (da businessdictionary.com).
3 . Vedi nota 1
4 . Idem.

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

19 Commenti

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Gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

pubblicato oggi, vale una letta http://www.wineanorak.com/wineblog/natural-wine/natural-wine-is-an-unnecessarily-divisive-subject (Jamie Goode e' autore, tra le altre cose, di un bel libro intitolato Authentic Wine)

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Eleutherius Grootjans

circa 11 anni fa - Link

Grazie per la segnalazione. Un altro blog affidabile e ben curato.

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Francesco Maule

circa 11 anni fa - Link

Articolo un po' confuso direi... Ma bene che se ne parli e grazie per il recioto con il rapper di colore in copertina! Tra l'altro le nostre retro hanno gli ingredienti e le analisi...ci stava meglio! Comunque sì, gli americans son più seri di noi nelle discussioni. E W gli aggettivi, come naturale!

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Eleutherius Grootjans

circa 11 anni fa - Link

Grazie Francesco. Confuso solo un po'? Non ce l'ho fatta: avrei voluto rendere la confusione di casa nostra - talora alimentata dagli stessi produttori - con un articolo completamente confuso. Missione compiuta solo un po'. Approfitto comunque della tua presenza per un parere qualificato: molti dei commenti made in USA sottolineano l'auspicabilità di una ricognizione/definizione in sede legislativa. Altri (ad esempio Alice Feiring) la vedono invece come una limitazione da scongiurare. Alessandro Bulzoni ha parlato di "loopholes" nel quadro regolamentare. Qual è la vostra posizione? E ancora: sei ancora del parere - in verità attribuito ad Angiolino - che la vicenda possa portare ricadute positive per produttori e consumatori? Grazie ancora, E.

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

Trovo quanto scritto da Emanuele Giannone tutt'altro che confuso, caso mai sovrabbondante, positivamente. Necessita l'arte dello slow-reading che di questi tempi non è trendy. In realtà è una sintesi efficace e pungente su a che punto siamo qui da noi riguardo al topic "vino naturale" dopo diversi fuochi artificiali spentisi troppo presto. "N-word" è un capolavoro. ps prego notare lo sforzo per anglicizzare la mia prosa, sotto botta del Giannone's style.

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Francesco Maule

circa 11 anni fa - Link

Parere del tutto personale: condivido in toto Alice Feiring. Con le analisi posso vedere se uno ha trattato con pesticidi, erbicidi o insetticidi. Analisi che costano. Ma che dicono chiaramente cosa una fa o non fa in vigna, ed è già un bel passo. Poi posso vedere con pochi euro quanta solforosa c'è in un vino. Ma non mi sentirei di dire per forza non deve essercene di aggiunta: son stato ieri da Lino Maga e nel strabiliante Barbacarlo 2007 scrive candidamente 76 mg/l di totale (magari mi sbaglio di qualche mg) ... forse un po' troppi per la mia sensibilità di naturalista, ma quel vino è una bomba ed è fatto con grande rispetto. Stessa cosa per i vini di Valentini, che non sono naturali e te lo dice lui stesso, ma fatti con grande senso del rispetto per la tradizione e per l'uomo in generale. Ancora più difficile stabilire l'uso di lieviti selezionati o meno: una volta che han fatto il loro lavoro non si rintracciano più (bisognerebbe chiedere ad un bravo enologo); secondo me sarebbero più importanti della solforosa, spesso. Poi altra cosa che a livello percettivo si può notare ma non so a livello analitico sono le operazioni tecniche o chimiche per pulire i vini: chiarifiche, filtrazioni, centrifughe. Poi ci sono le acidificazioni o disacidificazione, il rame liquido per le riduzioni, i mosti concentrati, le chips, gli aromi e i coloranti e chissà che altro. Come codifichi e regolamenti queste cose? E poi chi li fa i controlli e chi li finanzia? Infine, come nella musica o nell'arte, quando un nuovo movimento nasce e crea una rottura con il passato, dopo qualche anno viene assimilato e codificato, perdendo la sua carica rivoluzionaria e la sua credibilità. E' quello che sta succedendo in questo piccolo mondo: vedi i vari free wine che fa fare vini senza solforosa ma super tecnologici e controllati, Farinetti che propone i vini liberi, l'espansione al Vinitaly dei vini naturali e bio, il gran parlare di ecosostenibilità e impatto zero. Quindi?

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Eleutherius Grootjans

circa 11 anni fa - Link

Quindi punto. Grazie per la circostanziata risposta. E saluti anche a casa.

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Francesco Maule

circa 11 anni fa - Link

Quindi la vitivinicoltura in Italia è uno dei settori più all'avanguardia.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Qui ci sarebbe sostanza per un'intervista, più che per un dialogo a commenti. Abbi comunque pazienza se sollecito un commento ulteriore: all'avanguardia, tu scrivi. Puoi esplicitare il nesso causale? Sulla base di quel che avevi scritto rispondendo alla mia prima domanda - e la risposta era già esauriente - in cosa risiede il carattere avanguardistico della vitivinicoltura in Italia? Infine: ti riferisci al settore vitivinicolo in generale, o piuttosto a quello di ispirazione naturale? Le tue precisazioni mi interessano particolarmente perché sei soggetto coinvolto e su più fronti, quindi capace di mediare tra istanze che ti riguardano in quanto produttore, distributore, degustatore, associazione.

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Francesco Maule

circa 11 anni fa - Link

c'e' un settore in cui il dibattito e' piu' acceso della vitivinicoltura in Italia? Io parlo del nostro piccolo mondo, quello dei naturali, ma ne parlano anche i big, come Farinetti o Ca' del Bosco ieri. Questi ultimi ieri han mostrato la sontuosa e iper tecnologica sala per il lavaggio delle uve, hanno un marketing da paura e fan le cose fatte davvero bene. Cose che a me non interessano particolarmente, ma che ci sono. Ma c'e' dibattito, c'e' confronto, c'e' voglia di risolvere problemi e cercare nuove vie; ad esempio in vigna la microbiologia sta facendo passi da gigante (qui Maurizio Gily puo' aiutarci). Insomma le nuove scoperte trovano campo fertile di applicazione in vigna piu' che su un campo di patate. Di ecosostenibile e di riduzione dei solfiti ormai e' pane per qualsiasi cantina all'avanguardia. Mi sembra che rispetto ad altri settori agrari e non solo, ma anche rispetto ai cugini francesi, per una volta, si stia avanzando bene. E' solo un parere personale, comunque...

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maurizio gily

circa 11 anni fa - Link

a proposito, qualcuno sa come è finito il blitz? C'è stata una multa o ha prevalso il buon senso?

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Francesco Maule

circa 11 anni fa - Link

Qualche multa a un paio di produttori che hanno dovuto cambiare la dicitura in etichetta e togliere l'aggettivo naturale. E una multina a Bulzoni, mi pare.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Francesco, in base a quanto detto sotto nella risposta a M. Gily direi di aggiornarci a un nuovo appuntamento, dopo aver verificato tutti i singoli casi dei quali io non abbia ancora conoscenza diretta. Se l'aria che tira a Roma fosse più che un'impressione errata o un'esagerazione, allora contraddirebbe la tua ipotesi riduzionista (solo poche multe e piccoli interventi). E ti assicuro che la cosa mi farebbe tutt'altro che piacere.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Maurizio, la sanzione irrogata è senz'altro uno degli aspetti interessanti ma non l'unico. C'è una serie di eventi verificatisi a Roma - di altre città non so - a partire da quel giorno di luglio, tutti poco eclatanti se letti singolarmente, ma che a una lettura d'insieme risultano indicativi di una nuova temperie. Intendo, ad esempio, ristoranti o gastronomie che riducono (o epurano) i naturali dalle carte dei vini, semplici acquirenti che tornano al caro vecchio brand perché "allora anche il naturale è una bufala", progetti pre-estivi di "naturalizzazione" dell'offerta cassati subito dopo il temporale estivo, locali che ostracizzano gli stessi massimalisti (buyers, sommeliers) che prima corteggiavano. Un'ipotesi è, semplicemente, che gli stessi esercenti abbiano sopravvalutato il fenomeno e ora ne scontino il declino. Se rivenditori o buyers si sono inebriati della stessa brezza che aveva ubriacato i loro clienti, forse hanno sbagliato mestiere. Sono andati in sovra-stock e ora hanno un problema. Oppure sono a spasso. Un corollario positivo sarebbe che finalmente l'infatuazione è superata. Con la crisi è arrivata la critica e l'idea che l'appellativo di naturale basti a garantire qualità è superata. Si presenta a tutti l'opportunità di fare chiarezza: produttori, rivenditori e consumatori. Un'ipotesi diversa è quella ventilata da alcuni, ovvero che la visita sia stata un'operazione suggerita da un concorrente, un produttore inviperito, una lobby. In questo caso, gli eventi sopra riassunti descriverebbero l'inizio di una ritirata. In ordine sparso e non-strategica: perché a far nuova "chiarezza" è arrivato il nuovo biologico.

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Jeremy Parzen

circa 11 anni fa - Link

Ti ringrazio, Emanuele, per la segnalazione (e per la parafrasi). Stasera sarò a cena insieme ad Alice e riporterò le tue osservazioni/considerazioni. Ciao Francesco, Maurizio, e Nelle Nuvole! :)

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

Ciao a te Jeremy, leggerti è sempre interessante.

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Eleutherius Grootjans

circa 11 anni fa - Link

Grazie a voi per l'attenzione e la sensibilità. Enjoy your dinner!

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Francesco Maule

circa 11 anni fa - Link

Ciao Jeremy! say hello to Alice! We're waiting for you (both) in Gambellara! ciao

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