La teoria della bolla (e le possibili vie di fuga) applicata al vino
di Fiorenzo SartoreCome forse saprete, viviamo in una bolla. Se non lo sapete provo a spiegare che significa – mentre se avete chiaro il concetto potete saltare al prossimo capoverso, oppure stare con me lo stesso, che fa sempre piacere. Comunque ecco di che si tratta.
La gestione delle reti sociali ci ha consentito, di più e meglio, la selezione dei nostri campi di interesse. Abbiamo ristretto il campo delle nostre frequentazioni, limitandole ai nostri simili, quanto a gusti e tendenze. Come se la nostra esistenza possedesse l’icona delle opzioni, comune in ogni device che usiamo, possiamo settare le differenti modalità di utilizzo. Che appunto sono a misura delle nostre preferenze. Questo sottoinsieme di persone riunite per similitudini si chiama bolla, che si caratterizza, tra l’altro, per l’isolamento che comporta nei confronti degli ambiti selezionati come estranei.
La visione del mondo del vino per me è affetta dallo stesso tipo di autolimitazione. Una volta deciso il nostro schieramento preferenziale, la nostra bolla, ci isoliamo dai contesti estranei. Al punto tale che non ci limitiamo ad ignorarli, ma ne mettiamo in dubbio l’esistenza, tranne forse quando sfioriamo qualcuno isolato in un’altra bolla (la sua). Allora eventualmente parte il dibattito, che può essere più o meno interessante.
Ora, siccome la complessità non si presta a spiegazioni semplici, penso anche che le scelte individuali contengano, sempre e alternativamente, elementi di errore e correttezza. Questa commistione è l’essenza della complessità. Per questo dico: non c’è nulla di male a stare nella bolla. L’algoritmo che presiede questo strumento consente numerose piacevolezze, che hanno tutte a che fare con la possibilità di crearci la nostra amata comfort zone. Si chiama comfort per un ottimo motivo, perché ci conforta.
Quel che consiglio io, adesso, è di provare, di tanto in tanto, a uscire dalla bolla, perché il contatto con la complessità estranea ci consente (in modo magari poco confortevole) una comprensione allargata della realtà. Quindi una visione ampia.
Nel quartiere che chiamiamo enomondo le bolle sono molteplici, e dividono gli schieramenti, che hanno a che fare con articolati livelli di opzioni: ci schieriamo per preferenze sullo stile, per appartenenza ad ambiti di lavoro, per frequentazioni personali ed altre numerose caselle. Io, ovviamente, sono inserito nelle mie bolle più o meno come tutti. Ma ci sono ambiti nei quali non mi salva nessuna bolla: per fare un esempio, quelli connessi col mio lavoro, nel quale sono a contatto con un pubblico non sempre definibile di addetti. Ciò è bene.
In quel caso la dimensione analogica prende il sopravvento su ogni attrezzo digitale, quindi non esistono bolle. Per questo io sono perennemente in mezzo a chi è esterno, direi trasversale ad ogni appartenenza confortevole nella quale ci accomodiamo. Per me è normale sentir declinare il vino nei modi e termini totalmente estranei a qualsiasi bolla. Questa apertura forzata mi consente di vedere gli errori connessi all’isolamento: pensare che il nostro ambito sia fatto unicamente di alcuni aspetti, mentre là fuori le masse hanno atteggiamenti alquanto difformi dai nostri.
In effetti è necessario uscire dalla bolla. Anche se è poco confortevole. È necessario uscire e prendere atto che là fuori c’è un mondo vastissimo che ignora, in modo alquanto salutare, i dibattiti laceranti (cito un esempio a caso) sulle quantità di solforosa nel vino. Considerando poi che quel vasto mondo qualcuno lo chiama mercato, credo sia il caso di farci un pensiero.
7 Commenti
sergio
circa 7 anni fa - LinkCondivido la maggior parte del post. Poi, verso la fine del ragionamento, non è molto chiaro perché si dovrebbe uscire dalle bolle. Per fare cosa?
RispondiAndrea Gori
circa 7 anni fa - Linkper non bere sempre le solite cose!
RispondiFilippo Ronco
circa 7 anni fa - LinkApprovo e promuovo. Sono appena uscito dalla bolla nella quale mi trovavo - quella degli idols, nella fattispecie - e le cose buone e inaspettate hanno iniziato a fluire come in un crescendo di emozioni e di quel senso di scoperta di un tempo. Una grandissima liberazione.
RispondiDenis Mazzucato
circa 7 anni fa - LinkApplausi e ancora applausi! Ho appena organizzato (venerdì scorso) una serata di rossi sudafricani. Un amico, piemontese come me, con una bolla in fibra di carbonio, ha detto che mi sarebbero venuti a prendere con un pulmino bianco... (la stessa cosa che mi ha detto quando mi sono presentato ad una bagna cauda con un metodo classico). Io ho scoperto un blend molto buono e un pinotage ottimo! E il prossimo giro toccherà a sauvignon e chenin blanc.
RispondiSamuele
circa 7 anni fa - LinkLa prima cosa da fare per molti, secondo me, è uscire dalla bolla delle bolle. sarebbe già un bel passo avanti.
RispondiStefano Cinelli Colombini
circa 7 anni fa - LinkMah, se proprio volessi pensare alla mia situazione in forma di bolle direi che è uno spumante con parecchio perlage, perché tra colori, razze, sessi, politiche e lignaggi vari mi trovo continuamente a contatto con la gente più diversa. E diversissima da me. Ma come fa uno che lavora col pubblico a stare in una bolla?
RispondiDenis Mazzucato
circa 7 anni fa - LinkSe hai una certa autorevolezza saranno gli altri a voler entrare nella tua bolla, e tu potresti non avere nessuna voglia (o bisogno) di uscirne.
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