La ruota di Oton Reya continua a girare (e io con lui)

La ruota di Oton Reya continua a girare (e io con lui)

di Angela Mion

Era da tempo che non mi capitava una dose di entusiasmo così viva, penetrante.

Passiamo il confine sloveno un sabato mattina. Subito l’aria cambia, a una manciata di passi da noi. Mi è piaciuto sentirmi straniera all’improvviso. Oton Reya, viticoltore nasce il 4-5-67, vive e lavora da sempre in Slovenia, a Kozana, villaggio immerso tra vigneti e ciliegi nel comune di Brda. I suoi vicini di casa fanno tutti lo stesso mestiere. Solo che lui io non lo conoscevo prima di qualche settimana fa e questa cosa irrilevante mi solleva dalle assenze sociali alle quali altre menti come lui si allineano.

Reya

Non è un religioso dell’enologia moderna anche se la sua religione punta direttamente al paradiso. Oton è un uomo che sta bene a fare il suo mestiere. In mezzo alle botti è nato, si alzava tutte le mattine, andava a scuola e vedeva il padre fare vino. Quel vino che è del territorio e della vita di gente che lavora. Erano tre i vini che produceva il padre di Oton con un concetto molto pragmatico.

Un vino serviva per la mattina e doveva essere leggero, profumato e dissetante: Beli Pinot. Uno serviva per il pranzo e doveva dare energia e ristoro: Rebula. Uno per la sera e la calma del riposo: Merlot. Su questo schema nasceva la cantina di famiglia.

Oton è un tipo piantato sul territorio, come se sotto ai suoi piedi ci fossero delle lunghe radici resistenti che affondano nella ponca; il bosco è la sua domenica e la vigna il suo battito regolare del cuore. Vigna, terra, stagioni: tutto gira. Il suo ecosistema gira come un cerchio, una ruota perfetta. Se togli qualcosa la ruota va storta o smette di girare. Ogni anno la natura si racconta, ogni anno la vigna racconta l’anno che ha vissuto. Ci chiede, si chiede: “Cosa vogliamo dai vini?” Nei suoi tre ettari e mezzo di vigna la ruota gira, la natura fa il suo lavoro tra le mani calde dell’uomo.

La sua cantina ha poco da spiegare. L’uva è sana, il vino è buono. La volatile non gli piace e se scappa l’annata storta se lo beve lui o a chi piace, nella mia consapevolezza che il suo parametro del peggio sia fortemente relativo. Se vi capita di andare da quelle parti Oton vi dedicherà sicuramente il suo tempo, aprirà con voi le sue bottiglie e le berrà con lo stesso entusiasmo vostro al primo assaggio.

Non guarda mai l’orologio e ti racconta tutto della cantina, dei suoi clienti più strani, dell’amore per quello che fa.
I suoi vini sono appaganti. Usa il legno, piccole botti, il giusto tempo. L’acciaio non gli piace. Macerazioni di 7-8-9 giorni. Le sue mani sono precise, mentali. Guidano senza forzare quello la terra vuole esprimere. Non si è mai accanito con fiere e distributori. Dice che le fiere non fanno per lui e il suo vino lo vende a chi è interessato. I migliori ristoranti sloveni lo bevono.

Allineato perfettamente su due parametri: territorio ed eleganza con qualche deviazione fuori programma.
La ponca sprigiona tutta la sua potenza. L’energia che porterà questi vini a vivere a lungo nel tempo, memoria di un terreno ricco di microelementi e fossili marini, lì dove se tiri indietro il tempo c’era il mare. Chardonnay: c’è chardonnay e chardonnay. A me il suo piace parecchio. C’è concentrazione, cremosità; la sua eleganza è scalfita da unghie che grattano la lavagna e gli conferiscono una spinta sapida, una mineralità che tiene il sorso pulito e fresco.

Ribolla: qui la concentrazione sale. Qui sale tutto. Il colore si fa rotondo, prende tutto l’oro del grappolo maturo. Qui sale il calore, il corpo, l’energia. I profumi si sprigionano in bocca come mordere un grappolo ancora caldo sporcandoti di succo. Una settimana o poco più di più sulle bucce, il giusto dice lui.

Tokaj/Jakot: questo è il figlio di casa. Il vino autoctono per eccellenza. Miele e fiori d’acacia. Fieno e agrumi. Intenso e profumato, generoso. Da giovane sprigiona freschezza e vivacità, da maturo si fonde in un miele intenso e quel ricordo citrino che ti fa correre a braccia spalancate in mezzo a quelle vigne con un senso di libertà e leggerezza. Tra i migliori palloni del Signor Kurz.

La deviazione è il suo Orange. Ne parla con una vena più artistica e scanzonata, perché oggigiorno parlare di questi vini è tutto e niente. Il suo orange si chiama Orangoton, ovvero: Orange più Oton uguale OrangOton. La sua creatura. Blend tra: pinot grigio che è quasi un rosso, la ribolla oro fuso, chardonnay di due annate. Una bomba. In realtà è curioso come nell’insieme si fondano questi tre uvaggi. In pratica il pinot gris fa a pugni con lo chardonnay e a sua volta con la ribolla. Erano abituati alla botte e a stare da soli. Poi, ad un certo punto trovano un accordo, ci mettono un paio di anni almeno. Il risultato è un Orange che ha tratti somatici del pinot grigio, profumi maturi, evoluti, di corpo e carattere ma con un punto in comune: la fusione dell’acidità e della sapidità che li appacifica tutti. Un vino quasi esotico, quel piglio di arancia amara fusa al miele; divertente, per una bella serata senza troppi schemi. Ho l’acquolina.

Oton

Solo alla fine ci parla del suo santo Graal: il Merlot. Il vigneto del padre. Una manciata di pensieri che lo emozionano e lo pacano. Ora è lui il padre di quello che suo padre gli ha lasciato. Un vecchio vigneto di merlot in cima alla collina, dove non era tradizione piantare merlot. Questo clone non esiste da nessun’altra parte. La vecchia vigna è stata studiata, con cura espiantata dopo la vendemmia del 2018 che è stata l’ultima del vecchio impianto ormai stanco. Oton ha condotto assieme ad agronomi e col supporto dell’Università una ricerca clonale sulla vigna del padre. Nel 2019 sono state piantate le nuove vigne di merlot frutto della selezione clonale e quest’anno arriverà la prima annata del figlio. Il giovane Merlot.

Il Merlot del 2018, l’ultima vendemmia, ha qualcosa di magico. Il suo profumo potresti metterlo al collo. È di una dolcezza inebriante, fiori sbocciati. In bocca non gioca sulla potenza perché è troppo elegante. Una bocca da baciare. Un grande vino e non ne ho nessun dubbio, ci metto la faccia. Sarà affiancato al nuovo nato. Padre e figlio. E così la ruota di Oton continua a girare.

House of Wine Oton Reya
Kozana, 18a
5212 Dobrovo v Brdih
Slovenia

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Angela Mion

Veneta, classe 1981, studi giuridici e azienda di famiglia. La svolta cubista arriva quando ormai maggiorenne incontra il vino: Sommelier, Master Alma-Ais ed altre cose in pentola. “Vin, avec toi on fait le tour du monde sans bouger de la table”. Bucolica e un po' fuori schema con la passione per la penna, il vino, il mondo e la corsa. L’attimo migliore? Quello sospeso fra la sobrietà e l’ebbrezza.

3 Commenti

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Stefano

circa 2 anni fa - Link

Nemmeno l'ombra di un sito internet?

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Vere

circa 2 anni fa - Link

È un po’ un anticonformista e non lo trovi sul web, ma viene elencato su tutti i siti di enoturismo (probabilmente senza saperlo)specie anglofoni. Bisogna andare lì per capire il personaggio è il vino che fa. Io ci sono stato, e ne vale la pena.

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coppocoppo

circa 2 anni fa - Link

Solo questo https://www.reya.eu/

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