La Romanella a domicilio e altre cose che bevono i romani in quarantena (con degustazione)

La Romanella a domicilio e altre cose che bevono i romani in quarantena (con degustazione)

di Simone Di Vito

In quarantena, approfittando di qualche giorno gentilmente “imposto” di ferie forzate, provo a darmi da fare, ma so già che mi aspetta una quotidianità claustrofobica, che si addice solo ad un criceto da laboratorio. Come per tutti o quasi, la casa diventa il mio regno, il divano un trono, il frigo purtroppo il mio hobby, salvo qualche lavoretto in casa che mi ricorda chi sono e da dove provengo. Consumo il mio forzato riposo tra ipotetici viaggi che solleticano l’idea (anche se visto il momento quasi totalmente astratta), bollettini medici, libri, qualche buon vino e social network. Ultimamente poi, per colpa di Tony Soprano, la sera mi ritrovo spesso a fare le ore piccole, anche perchè la mattina è esente da sveglie, fino alla fine delle ferie, per cui mi alzo un po’ a sensazione, tipo orso bruno dal letargo, oppure ci pensa mia moglie, non con la colazione pronta ma per chiedermi di prepararla.

Stamane fa rumore apposta per svegliarmi (lo negherà fino alla morte, ma lo fa) e mi mette davanti al caffè un volantino trovato nella buca delle lettere, che è già di per sé un motivo che farebbe rodere chiunque; lo metto a fuoco e mi viene un sorriso, forse amaro, magari nervoso, che man mano che apro gli occhi poi diventa più attento, fino al consapevole. Riporta la vendita a domicilio da parte di una fantomatica cantina (vedi foto), la tenerezza mi assale con la frase “per ordini chiamare TONINO”, segue poi una lista delle “specialità” della casa, c’è il casareccio (che da noi non è solo il pane), vitigni internazionali ( anche qui??!), extra regionali e poi il piatto forte di zona: la cara e vecchia Romanella, nella versione classica rossa o bianca, e la new entry (me l’ero persa) rosata “dorce”. Negli ultimi vent’anni, il consumo di vino da tavola non è mai calato, anzi, la quarantena lo ha spinto ancor più in auge, spopolando più del normale, il via vai di bag-in-box e taniche che vedo tra vicini e parenti conferma i dati raccolti.

Un po’ per curiosità, un po’ per il gioco macabro di un irrequieto, mi butto e chiamo Tonino per un ordine aggiuntivo a quello del vicino. La chiamata si svolge in modo rapido e diretto quasi come un audio whatsapp, d’altronde Tony (come lo chiama il vicino) gira parecchio col suo furgone e non ha tempo da perdere, se non quello di segnarsi cosa voglio (un casareccio rosso, un moscato e la “modaiola” romanella rosata), domani alle 11 appuntamento di fronte casa del vicino, trattativa rapida ed indolore e dieci euro alla comunità.

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Come sarà ormai il vinello “der paese” mi chiedo? Nel periodo pre o post adolescenziale difficile trovare chi, da queste parti, non abbia fatto almeno un tuffo nella “dorce salamoia” (quella di Roger Rabbit). Per quelli come me, spesso visti come marziani o semplicemente rompi palle, il vino è spesso un prodotto fin troppo serio, da analizzare, percepire, e in molti casi da coccolare attendendolo (come per la Kobe, non mi stupirei se si arrivasse a mettere Miles Davis in cantina per armonizzare l’affinamento). Il giorno seguente, Tonino si presenta in orario per la consegna, sorridente e convinto di avermi accontentato (o forse cojonato), io fingo soddisfazione e rientro in casa sorridendo come un monello che ha appena consumato una marachella.

Arriva il momento dell’assaggio, che di solito è quello che attendo con trepidazione ma in questo caso un po’ mi lascia perplesso e un tantino preoccupato. Faccio uno spuntino per salvaguardare un minimo il mio stomaco, che già rumoreggia solo guardando i liquidi che gli toccheranno (poraccio!), dopodiché segno della croce e inizia il calvario; parto di moscato, che dal colore giallo paglierino quasi ramato non lascia presagire niente di buono, inutile dirvi che in questo caso le descrizioni aromatiche sui testi ais non rendono abbastanza l’idea, l’assaggio poi mi stringe gli occhi per lo zucchero percepito, esiste un qualcosa in più di stucchevole??? Purtroppo è anche piuttosto persistente, una sigaretta e mezzo litro d’acqua per scrollarmelo di dosso.

Vado col rosso casareccio, con la fantastica bottiglia riciclabile (vedi foto) in cui appare scuro come olio 10w-40 esausto, nel bicchiere invece si trasforma in rosso benzina super, il naso è vinoso e poco floreale con un pollaio puzzolente che va e viene nel mio bicchiere, classico rosso che scende, dalle peggiori osterie di borgata.
Chiudo il trio con la regina dei bassifondi, ‘a romanella, che si presenta con la rinnovata veste rosa cerasuolo, l’etichetta riporta “vino spumante gassificato”, più che gas sembra addizionato col sapone, bolle giganti e spuma da birra tedesca, l’odore è un misto tra il metano e l’orsetto gommoso alla fragola, l’assaggio è abboccato, pungente, a tratti irritante, purtroppo anch’esso maledettamente nauseante.
Ovviamente non fraintendetemi, Il problema non è il vino sfuso, ma alcuni prodotti di dubbia provenienza; come quelli assaggiati in questa paginetta; so già che domani li sentirò in testa.

Ne so sicuro,
gli antichi romani, quelli de na vorta,
difficilmente berrebbero sta robba,
avevo rimosso cotanta bruttezza,
ma se avete fegato, provate st’ebbrezza,
sarvateve er numero,
Tonino v’aspetta.

Simone Di Vito

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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

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