La porta del Carso: Ungaretti a Castelvecchio

La porta del Carso: Ungaretti a Castelvecchio

di Andrea Gori

Ti lasci l’Isonzo alle spalle con il suo vorticoso azzurro scorrere sui ciottoli da calma ungarettiana e cominci appena a salire: stai salutando il Friuli e stai salendo sul Carso, nel bel mezzo del fronte della prima guerra mondiale. Già nel 1578 ci sono testimonianze della coltivazione della vite in queste zone (Sagrado) dove nel 1700 nasce Villa Veneta, l’antenata dell’attuale Castelvecchio della famiglia Terraneo.

È Luca Tomasig, direttore della tenuta, ex calciatore ormai dedito alla viticoltura con passione vera e lucida, che ci guida prima di farci accomodare all’osmiza di casa in pieno fermento durante Cantine Aperte 2021. Parlare solo di vino qui è sempre solo una parte di tutto l’insieme di questo territorio estremo e di confine perché ogni vista e ogni panorama racconta storie, leggende, guerre, poesie e tradizioni.

Di lontano l’ossario, a fondovalle la linea del fronte con le sciagurate idee di Badoglio, le grandi battaglie delle ultime guerre si sono tutte combattute qui vicino e, ogni tanto, qualche bomba riaffiora minacciosa dai campi. All’interno della Tenuta, quasi a tener lontani fantasmi e inquietudini, c’è il Parco Ungaretti dedicato alla sua figura e al suo legame con il territorio che l’ha visto combattere e ispirato nelle sue poesie più famose.

Installazioni artistiche e architetture con ricordi palladiani mescolati all’Austro-Ungheria si susseguono e si riassumono nella splendida Villa Della Torre di Valsassina-Hofer-Hohenlohe quasi completamente restaurata e destinata a diventare luogo di accoglienza raffinato e incantevole. Laddove ci fu un meritevole ed efficiente ospedale da campo ci sarà accoglienza e ristoro di altro genere in stanze affrescate sui cui muri riafforano ricordi, poesie e volti di soldati qui ricoverati e ansiosi di riprendere una vita guardando fuori il bosco di cipressi, tassi e querce secolari.

Castelvecchio può davvero definirsi, sia a livello geologico che stilistico dei vini, come  la porta del “Carso goriziano” con un rilievo altimetrico dai 145 mt slm fino al monte San Michele che raggiunge quota 274 m.s.l.n., in pratica giace su una terrazza carsica. Il terreno è composto da 80-90% di roccia carsica con un substrato di terra rossa ricca di ferro e argilla ai piedi della quale l’Isonzo ha tracciato la sua via, una terrazza con vista mare e alpi davvero splendida e suggestiva, soprattutto per la luce unica e l’aria e il vento che ti sollevano in maniera speciale.

L’azienda conta 120 ettari tutti a blocco unico, i 35 ettari vitati sono circondati infatti da 80 ettari di bosco. Dicevamo dei vini e anche qui l’impronta carsica si fa sentire con vini-frutto di una viticoltura certificata biologica condotti in biodinamica dal 2015 e tenendo saldi i legami con il Carso DOC, strada impervia che molti interpreti della zona paiono aver dimenticato.

Luca Tomasig sta conducendo i vini verso una nuova autenticità e maggiore attenzione al suolo e al microclima con una sterzata verso i bianchi (vitovska come eredità storica insieme alla malvasia istriana, sauvignon come tendenza di mercato) e con un ridimensionamento dei rossi ma che ormai hanno un pubblico affezionatissimo da non deludere. Raffinato ed elegante il cabernet franc con una nota pepata che sorprende in evoluzione, un terrano sanguigno e molto appenninico (ricorda da vicino la Cagnina di Romagna di certe fiere dei marroni) che ti conquista al primo sorso.

Vitovska 2020 Carso DOC impronta sapida e lieve già dal naso, note di gesso e mandorle miste a note citrine e frutta bianca, completate da un senso lieve di freschezza sapida di erbe aromatiche. Prosegue esattamente così al sorso, sapido fresco e  fine, salvia e anice, ribes bianco, uvaspina e sensazioni di piacevolezza nel finale di mela croccante golden e susina. 88
Malvasia 2020 Carso DOC impronta aromatica decisa e fruttata con note di pepe bianco, iodio e mare. Note di ginestra e pesca nettarina completano il quadro e si esaltano al gusto con un finale ammandorlato e ferroso, bella la sensazione calcarea tattile, acidità pimpante, molto fine, non lunghissimo ma di pronta presa. 89
Sauvignon 2020 Carso DOC belle note di erbe aromatiche e frutta bianca, ribes e uvaspina, note erbacee lievi e non soverchianti, sorso di ottima croccantezza e aromaticità diffusa, si esalta sull’ottimo formaggio con erbe proposto in abbinamento alla locanda. 88
Terrano 2019  Carso DOC squillante scuro e deciso, di immediata efficacia il naso di ribes rosso e nero, un’idea strana di anguilla affumicata mista a sottobosco autunnale, poi al sorso il tannino lascia al campo ad una acidità che parte altissima, poi si acquieta mentre riemergono frutta e tabacco kentucky. 88
Malvasia di Leo 2016 Carso Doc (da magnum) una versione della malvasia più intensa e frutto di una gestione enologica con legno un poco preponderante rispetto al modo con cui viene prodotta adesso (nella 2018 assaggiata qualche mese fa è un tratto molto meno presente). Naso di grande intensità e pienezza con le note gessose di talco, calore e frutto in piena maturità che si alternano a canfora, vaniglia crisantemo, vaniglia e pepe bianco. Sorso con viva freschezza e sensazione salina finale molto bella. 91
Cabernet Franc 2020 Carso DOC  sembra balzare fuori dal bicchiere il pepe verde e nero appena macinato su un tappeto di frutto nero in cui affiora l’impronta  dolce da carmenere, lieve cimice, un’idea di sapone di Marsiglia, sorso di levità senza far mancare una matrice tannica intrigante, saporita che lo allunga e fa ben presagire. 90
Cabernet Franc 2007 Carso DOC bottiglia pescata in cantina ma da grandi occasioni, rivela una sontuosità speziata e frutto in evoluzione splendida tra rimandi di sottobosco, rosa, viole candite, confettura di prugne e menta a completare il naso che non smette di evolversi nel bicchiere. Sorso gentile ma ancora dotato di tanto grip. 92

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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