La nuova era del Chianti Classico. Tra San Casciano e Verduno con Alessandro Masnaghetti

La nuova era del Chianti Classico. Tra San Casciano e Verduno con Alessandro Masnaghetti

di Tommaso Ciuffoletti

Benvenuti nella nuova era del Chianti Classico. No, non è un’esagerazione, perché anche se il sistema delle cosiddette UGA – Unità Geografiche Aggiuntive è ancora in fase di rodaggio e si applicherà inizialmente solo ai vini della Gran Selezione (su Intravino ne avevamo parlato con largo anticipo sulla comunicazione ufficiale del Consorzio), la sua introduzione ha dato una spinta decisiva alla promozione dei territori del Chianti Classico.

Se prima erano stato solo alcuni a cogliere l’importanza di fare squadra di territorio per promuoversi all’interno della più vasta denominazione (per intenderci, i pionieri sono stati quelli di Panzano), oggi si moltiplicano le iniziative che mettono insieme i produttori che afferiscono alle varie sottozone.

Dalle UGA alla costruzione di comunità
Si tratta di un processo con grandi potenzialità positive, a partire da una attività decisiva che in inglese viene chiamata “community building”. Ad alcuni sembrerà parola vuota, buona solo per riempire di qualche lettera in più i comunicati stampa. In realtà, costruire una comunità è un lavoro delicato e nient’affatto facile. Si tratta di mettere insieme persone, aziende, interessi diversi, convincerli a fidarsi gli uni degli altri per il reciproco vantaggio e poi andare oltre il mero vantaggio e creare legami capaci di fondare davvero una comunità. La condivisione di conoscenze, il reciproco aiuto, l’abbandono di egoismi sono quanto di meglio una comunità di viticoltori può regalare a se stessa, ma come sempre è più facile a dirsi che a farsi.

Perché nord!
Il 19 maggio scorso, è stata proprio l’associazione di produttori della zona di San Casciano, che va sotto il nome di San Casciano Classico (la UGA infatti si chiama San Casciano e non San Casciano Val di Pesa, il comune di riferimento, perché non vi è identità fra le UGA e i territori comunali) a organizzare presso Villa Le Corti una giornata di assoluto livello per raccontare il proprio territorio e i propri vini; con Alessandro Masnaghetti come guida e i vini di Verduno come benchmark per guardare ad un confronto tra zone che si trovano a nord della propria denominazione di riferimento: Barolo per Verduno, Chianti Classico per San Casciano. Regista della giornata: Bernardo Conticelli. Titolo scelto: Perché nord!

Nord non significa freddo
La cosa da chiarire subito è che le due zone – San Casciano e Verduno – sono sì a nord della propria denominazione, ma non per questo sono individuabili come le zone più fredde, anzi. Masnaghetti, come sapete, è maestro di mappature e attraverso due di queste ha provveduto a dare una lettura chiara del clima del Chianti Classico.

Anzitutto ci ha mostrato i crinali montuosi della zona, con in primis la catena dei Monti del Chianti da San Polo a San Gusmè, secondo una direttrice nord-sud, che segna ad est il confine con il Valdarno. Poi c’è un più piccolo crinale che unisce Castellina con Vagliagli e poi un crinale di giuntura, potremmo dire, che unisce Radda e Castellina. Questi crinali concentrano le zone più alte del Chianti Classico in una fascia esterna sul confine est e per il resto si trovano nelle zone centrali interne del territorio della denominazione. Questo fa sì che le zone più basse siano sui confini esterni, in particolare sui fronti nord, ovest e sud.

Ecco quindi che la mappa delle temperature medie mostra che le parti interne e i crinali sono le zone con temperature medie più basse, mentre quelle più calde sono proprio sui confini meridionali, occidentali e su quelli settentrionali, dove si trova appunto la zona di San Casciano.

 

La geologia. Sì, ma non basta.
Inquadrati i fattori climatici generali è poi la volta per Masnaghetti di introdurre il fattore geologico, con una precisazione di metodo che vale più di ogni analisi di dettaglio: cerchiamo di andare oltre la meccanica del terreno=vino, perché è del tutto fuorviante.

A tal proposito l’argomento usato da Masnaghetti per smontare questa trappola (il)logica (tanto in voga negli ultimi tempi), parte dalla Borgogna.

Abbiamo il vizio di legare il carattere di un vino alla geologia imitando la Borgogna ma lì è caso particolare dove le esposizioni sono simili, il vitigno è uno (o due) e il clima non è così variabile in complesso”. Nel Chianti Classico ci sono valli e storie diverse. E poi c’è il fattore umano.

Microclima, suolo, elevazione esposizione (fattori naturali) sono sempre da valutare insieme a quelli umani, che possono andare dalla scelta dei cloni al sistema di allevamento ed arrivare infine a quelle conoscenze condivise che nel tempo stratificano una tradizione ed una più precisa identità stilistica di un luogo. Qualcosa che non può realizzarsi per sola natura del luogo, ma che necessita inevitabilmente della mano dell’uomo.

Una nota a margine non irrilevante nell’analisi delle esposizioni, arriva quando Masnaghetti nota quanto rilevante sia la giacitura sulla collina, perché se il mio versante vitato ha una collina davanti (e in Chianti Classico capita spesso) le parti più in basso saranno in ombra al tramonto. Lamole rispetto a Casole per esempio è meno esposta. Per dare poi delle regole generali si può intendere che un frutto da più croccante si troverà in vigne meno esposte ed un frutto più rotondo in zone più esposte, su sabbia si avrà meno colore, ma più eleganza, su argilla più corpo e intensità. Ma sono solo regole vaghe nel loro essere generali. Lo stesso suolo, a parità di geologia non darà per forza vini simili. Non focalizziamoci sul fattore geologico come unica determinante.

La degustazione
Confesso di non essere uno bravo con l’analisi dei descrittori. Certo riconosco che in questo caso un approccio che privilegi questo aspetto sarebbe sicuramente interessante”. Masnaghetti opta per l’understatement, dato che il suo palato è nettamente preparato per un’analisi fondata anche sui descrittori.

Di seguito abbiamo le note di degustazione di Andrea Gori, alle quali aggiungo come nota personale quella di un filo rosso d’agrumi che teneva insieme, a mio parere, i 3 vini della 2019 di San Casciano. Note d’arancia rossa, più fresche in Cigliano di Sopra, più surmature nel Solatione. Ovviamente Verduno giocava una 2017 più piena, tannica e con una dimensione in più rispetto ai vini chiantigiani (se devo essere sincero). Ma se Masnaghetti non è bravo coi descrittori, io lo sono ancor meno e quindi è meglio lasciare il passo ad Andrea.

Un unica nota conclusiva: di iniziative come questa speriamo di vederne sempre di più.

Cigliano di Sopra – Chianti Classico 2019 – Quasi alla Romola che è confine nord della denominazione, Chiesanuova ha macigno e poca vigna, carattere emerge chiaro, sugoso e dritto allo stesso tempo, lamponi , ribes rosso, violetta, ciliegia, acidità bella, sorso che trascina e seduce con sua piccantezza 92

Nunzi Conti – Chianti Classico 2019 tra depositi fluviali e Sillano che inizia, transizione verso zona interna del Chianti Classico, ribes nero, ciliegia, mandorla e amarena, sorso deciso e belle pepato, corpo succo e nitore di freschezza pimpante. 90

Solatione – Chianti Classico 2016 stile potente e roboante su alberese, minoritario in zona, trama tannica più fitta, arancio agrumato, amarene, pepe , bel frutto maturo deciso e riarso ma comunque eleganza e freschezza dovuta a tannino importante, poi mallo di noce carrube e resine, Solatione ha sempre prodotto vini importanti, oggi più gentili, annata classica regala tannino più generoso e profondo, vino che rappresenta particolarità su San Casciano, non certo la norma. 88

Fratelli Alessandria San Lorenzo Barolo 2017 fine e saporito, affilato elegante, squillante con bella sostanza e frutto piccante, arancio, rosa damascata, lamponi in confettura, ribes, pepe nero, liquirizia e grafite, sorso con trama bella e circostanziata, espressivo e bello pronto da godersi. Finezza eleganza e matrice di classe nobile e nitida. 94

Castello di Verduno Massara Barolo 2017 terroso e ruvido, catramoso , corteccia, pepe nero, salsedine, rocciosità, tannino che fa molto grip e arcigno, simile per certi versi a Brunate che altri Verduno, olive liquirizia menta e saporosità, profondo umorale sottobosco e grande carattere, duro però, eh. 93

Comm. G.B. Burlotto Monvigliero Barolo 2017 si capisce perché è il beniamino di tutti, è forse il Barolo modello di oggi, affilato roccioso ma che non dimentica dolcezza e frutto, note catramose che rammentano Massara sfumate ma c’è anche l’eleganza di San Lorenzo. Rose, incenso, fragole in confettura, pepe, salsedine e senape, sorso di lunghezza inusitata che rivela rimandi balsamici mediterranei suadenti che rimbombano nel bicchiere al mentre sussurrano gioia. 98

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Tommaso Ciuffoletti

Ha fatto la sua prima vendemmia a 8 anni nella vigna di famiglia, ha scritto di mercato agricolo per un quotidiano economico nazionale, fatto l'editorialista per la spalla toscana del Corriere della Sera, curato per anni la comunicazione di un importante gruppo vinicolo, superato il terzo livello del Wset e scritto qualcos'altro qua e là. Oggi è content manager di una società che pianta alberi in giro per il mondo, scrive per alcune riviste, insegna alla Syracuse University e produce vino in una zona bellissima e sperduta della Toscana.

15 Commenti

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AG

circa 2 anni fa - Link

Lectio magistralis del Masna. Peccato non esserci stato

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franco

circa 2 anni fa - Link

Lambruschisti non-lambruschisti, prendete nota... specie sul "community building"... si sa mai

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Alberto

circa 2 anni fa - Link

Sono tanti, in Italia, che dovrebbero prendere appunti...

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franco

circa 2 anni fa - Link

Salve Alberto. Forse, è probabile. Chi ti senti di chiamare in causa?
Io parlo di ciò che conosco e del caso più eclatante.
Superati dai proseccari col prosecco rosè, restiamo incapaci di proporre un vino dozzinale tanto-quanto il prosecco come succedaneo nello spritz.
Un lavor da mat.
Cordialità

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Stefano.Cap1

circa 2 anni fa - Link

imbarazzante, a mio avviso, per il 98%...? probabile!....dei "divulgatori" che ti vogliono spiegare un vino parlando (unicamente) della geologia senza avere conoscenze in primis della geologia stessa, per non parlare dei processi di fisiologia vegetale e dei processi della chimica della vinificazione che con tutte le loro svariate variabili sottendono al risultato che trovi nel calice! Ma la triste realtà è che la cultura e come saperla maneggiare è oggetto di pochi.

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AG

circa 2 anni fa - Link

Senza voler difendere nessuno, mi sembra che l'importanza del 'fattore umano ' sia stata messa al di sopra di quello geologico.

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marcow

circa 2 anni fa - Link

AG,
se andiamo a leggere qualche "raro" articolo di come sia evoluto, nel tempo, il concetto di TERROIR è possibile constatare che all'origine il fattore geologico aveva un'importanza primaria.

Poiché, poi, questa preponderanza "geologica" mostrava dei limiti si è proceduto ad un "AGGIORNAMENTO" ...continuo... del concetto...fino ad arrivare a all'importanza del "fattore umano".

Che, attenzione, secondo me, distrugge il concetto di terroir.

Il terroir è una bella, straordinaria... "invenzione culturale"... dei francesi che poggia su alcuni dati di realtà ma finendo per stravolgerli e la cui motivazione è di carattere commerciale.

Bisogna riconoscere che commercialmente funziona alla grande: ma è temerario partire dal successo commerciale per sostenere la scientificità delle tesi raccontate con la favola del tettoie.

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vinogodi

circa 2 anni fa - Link

...terroir , nell'immaginario collettivo, significa creare identità e aderenza al territorio con caratteristiche riconoscibili , specifiche di quello "specifico" lembo geografico , che ne crea riconoscibilità e unicità. Che poi è una supercazzola facilmente smontabile con esempi concreti . Anche recenti : Meursault Perrieres 2016 Coche Dury - Roulot - Comte Lafon - Matrot , Michelot e Ramonet . Sei vini completamente diversi (quello di Ramonet non in commercio) , con personalità completamente diverse e caratteristiche specifiche per ogni vino, straordinarie ma senza nessun fil rouge comune se non il rumore di fondo varietale : i vitigni dei produttori sono a distanza di pochi metri uno dall'altro ... dov'era il terroir ? PS: potrei fare altri 3411 esempi ma non ne ho voglia...

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AG

circa 2 anni fa - Link

Stavo per scrivere di un esempio analogo, mi hai preceduto

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marcow

circa 2 anni fa - Link

del terroir.

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Alvaro pavan

circa 2 anni fa - Link

Caro Marcow, permettimi, non è una favola quella dei francesi, ma cultura. La loro. Penso che da loro abbiamo molto da imparare, nello specifico, e poco da invidiare. Però bisogna decidersi ad imparare...

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marco

circa 2 anni fa - Link

Caro Alvaro, ho parlato di "invenzione culturale" bella e straordinaria.

Ho espresso, invece, dei seri dubbi che ci siano dei fondamenti scientifici.

È nelle ANNATE DIFFICILI che il concetto di terroir viene scosso.
È nelle annate difficili che bisognerebbe avere dei SISTEMI DI CONTROLLO Rigorosi per verificare cosa avviene nelle cantine.
PS
Nel dibattito sul Lambrusco ho riportato un estratto che parlava di LIEVITI SELEZIONATI e di LIEVITI INDIGENI SELEZIONATI.
I lieviti indigeni sono uno dei capisaldi dei CD. vini naturali che rifiutano i Lieviti Selezionati e sono sbandierati come fattori del terroir che caratterizzano e differenziano i vini prodotti con i lieviti indigeni.
Attenzione:
Su questo c'è un confronto anche tra gli esperti che hanno opinioni diverse.

Ebbene ora esistono i LIEVITI INDIGENI SELEZIONATI in Laboratorio che, teoricamente, potrebbero essere venduti in qualsiasi zona del mondo.
Insomma cosa caratterizza un terroir?
I LIEVITI INDIGENI o i fattori umani?

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Franca

circa 2 anni fa - Link

Quali sarebbero le caratteristiche della sottozona San Casciano?in generale, Se non ci sono caratteristiche organolettiche comuni nei vini mi chiedo quale sia il senso di circoscriverli in una zona...parlo di qualunque zona...grazie

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Alvaro pavan

circa 2 anni fa - Link

Per tagliare la testa al toro esistono le fermentazioni spontanee e quelle attivate. Se quest' ultime sono attivate con lievito indigeni selezionati è evidente che non sono più spontanee ne tantomeno naturali. Sul "terroir" non ci sono evidenze scientifiche e, presumo,non ci potranno mai essere. È un tratto culturale dove il fattore umano è indissolubile e determinante, specie nelle cosiddette annate difficili, dove la vigna emerge nella sua identità e valore gerarchico. Un esempio: Mouton Rothschild 1984, annata infame, un grande Mouton. Difatti, cosa dicono i nostri cugini: nelle pessime annate prendere i Premier Cru, nelle ottime i Cru bourgeois. Eh, il vino, che gran mondo...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 2 anni fa - Link

Basta aspettare, tra cinque o sei anni vedremo quali vantaggi e quali svantaggi ha portato questa applicazione del concetto di zonazione in Chianti Classico. Nel vino ho visto cose che ritenevo improbabili avere successo e anche il contrario, per cui per ora mi asterrò da giudizi. Due note però sono necessarie. La prima, sono contrario alle zonazioni fatte in tempi di clima molto mutevole, perché piovosità e temperatura sono fattori basilari della produzione dell'uva e durante un "climate change" come questo possono variare in modo imprevedibile. Secondo, la costruzione (o il mantenimento) di un senso di comunità è basilare per ogni vino. Questa è la vera chiave del successo di Montalcino, qui una comunità vera c'è sempre stata per quanto strana, contraddittoria e complessa sia. Però questo è un lavoro senza fine, tenere viva una comunità attraverso le generazioni e il benessere non è per niente facile. Nelle difficoltà riesce meglio. Forse nel vasto Chianti Classico una operazione di questo tipo può riuscire solo dividendo il territorio, però un piatto buon senso indicherebbe che divisione e comunità sono ossimori.

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