La mia birra suona il rock – Arrogant Sour Festival 2016

La mia birra suona il rock – Arrogant Sour Festival 2016

di Thomas Pennazzi

Festa della birra? Uffa, quante ce ne sono, direte. No, l’Arrogant Sour Festival è ben altro. Non la solita birra, non i soliti pub: questo è il festival delle birre acide più grande d’Italia, giunto nel 2016 alla quarta edizione. Noi di Intravino non si poteva non metterci il naso: è una manifestazione troppo interessante anche per chi ama il grappolo. Le birre acide sono infatti il darwiniano anello di congiunzione tra i due mondi del malto e dell’uva.

Il luogo, nel cuore di Reggio Emilia, è già di per sé un unicum: il Chiostro della Ghiara, un tempo monastero, oggi ostello della gioventù della città, alle spalle del pregevole santuario della Madonna della Ghiara, venerata da secoli dai reggiani, ornato da notevoli affreschi carracceschi.

Ma cosa sono le birre acide? Non malti acetificati, ma un gruppo di stili tradizionale in Belgio e non assente altrove, in cui le birre fermentando spontaneamente o con l’aggiunta di ceppi di lieviti selvatici (lattobacilli e brettanomiceti, di solito) assumono questa nota gustativa; i capostipiti sono i lambic, birre che nascono per fermentazione spontanea. In realtà oggi si tratta di un universo declinato in un arcobaleno di mo(n)di possibili, dove l’acido è l’unico denominatore comune.

Tutto nasce dall’intraprendenza di Alessandro Belli, patron dell’Arrogant Pub, bierschänke di Reggio Emilia. Ma l’Arrogant Sour Festival è ormai un evento di importanza europea, con un palcoscenico impressionante: il suo bancone, che tiene tutto un lato del chiostro, dal favoloso numero di sessanta (!) spine attive contemporaneamente, a cui si alternavano numerosi spinatori di notorietà internazionale, mastri birrai e publicans.

In tre giorni il festival ci ha offerto 173 birre diverse, di ben 68 birrifici, oltre alla vasta bottiglieria in mescita, ed alcune birre spinate dalla botte di maturazione, senza contare le birre last minute, fuori catalogo. Inevitabile il grande richiamo su di un pubblico di appassionati, esperti e curiosi.

I protagonisti sono stati come sempre la créme del mondo brassicolo europeo: oltre al Belli, molti pezzi grossi della birra italiana e non solo sono passati in questi giorni dietro le spine allestite nel chiostro. Special guest, direttamente dal Pajottenland, Sa Majesté Jean Van Roy (Brasserie Cantillon), il re delle birre acide. Numerosi forum specialistici, un indiavolato dj set rock, la cucina reggiana con molte delle sue portate più significative, hanno condito l’evento. Tanta roba davvero!

Per chi è abituato alle manifestazioni vinarie, una beerfest italica può apparire strana: l’atmosfera è molto meno pettinata e seriosa, la musica assordante, la gente improbabile: si passa dal ragazzotto in T-shirt, baggy denim e All-star, a qualche ultimo post-punk, a quarantenni con le acconciature rasta, si vedono parecchi hipster squinternati, tipi biker, e un po’ di gente normale. Ogni tanto da sottobanco spuntano bottiglie di whisky per uno shot tra una birra e l’altra: malto chiama malto. Un clima un po’ sesso, droga e Rock’n’roll, decisamente diverso anche dalle feste della birra tedesche, molto più conviviali.

Per chi non ha familiarità con la galassia delle birre acide, l’assaggio può risultare spiazzante. I bicchieri sono spesso molto difficili e al limite dell’imbevibile, se si pensa alla classica bionda tedesca. Ma con mente e narici aperte si possono scoprire cose di livello. Partendo dai lambic e dalle Berliner Weisse, i più semplici esempi del mondo acido, ci si avventura in stili e tipologie i più folli e sorprendenti, dove la contaminazione è l’unico altro filo conduttore. I giovani birrai sono ormai dei creativi a tutto tondo: il mondo del vino in confronto sembra una mummia davanti ad un saltimbanco.

Dalle parenti strette dei lambic, le kriek (birra a fermentazione spontanea con aggiunta di ciliegie o amarene), a quelle fermentate con ogni sorta di frutti secchi e freschi, passando per le birre saison, dove la creatività impazza, ci si avventura nei blend più inverosimili, anche con aggiunta di mosti d’uva, nelle maturazioni in botte di vino, grappa, sherry, whisky, bourbon, eccetera, nelle fermentazioni miste con lattobacilli, brettanomyces, e millantamila altre bizzarrie. Volete un esempio? Una birra acida insaporita con alghe ed ostriche, chiamata “Atlantis”. Spezie, sale, aromatizzanti vari come radici (genziana) coriandolo, pepe, erbe e fiori, fanno capolino nelle Gose, antico stile delle birre tedesche di Goslar (Bassa Sassonia), oggi rivitalizzate per ogni dove con inventiva. Diremo, niente di nuovo, già nel 1400 in Germania si faceva più o meno così, ma è bello vederle rinascere con slancio.

Insomma, se non l’avete ancora capito, la bruna bottiglia di massa dal marchio rassicurante qui è archeologia. Le terre promesse si trovano in tutto il mondo, Belgio e Germania in primis, ma anche Svezia e Norvegia, Scozia, e certamente anche in Italia. Piccole e piccolissime produzioni, ma che sono avanguardia quando non beerporn. E che danno origine a sette e conventicole di bevitori adoranti: quando c’è motivo, poi, il birraio diventa una star, com’è il caso della Cantillon, i cui acidi lambic solo un paio di decenni fa non se li filava nessuno, mentre oggi queste bottiglie se le strappano di mano in tutto il mondo.

Ma veniamo agli assaggi: difficile farne molti in poco tempo (la birra non si sputa, si tracanna, ma poi ti taglia le gambe), ed ancora più difficile farne senza aver studiato questo mondo caleidoscopico. Sono partito alla scoperta del mondo acido dagli stili più estivi ed a me familiari, i fruit-lambic, birre rifermentate con frutti freschi.

Kriek, Cantillon: la kriek par excellence; attacco imperioso, freschezza acida dissetante, sostenuta dalla ciliegia che nulla concede alla dolcezza, con grande equilibrio dell’insieme. Gran bel bere estivo.

Framboise, Boon: altra storica fabbrica di lambic; ma l’assaggio è deludente, con meno vivacità di una kriek giovane; la base più matura soffoca nel legno la nuance del lampone. Peccato, davvero.

Oud Bruin Cherry, Brouwers Verzet: dal Belgio il più bel bicchiere della mia gita. Una leggera schiuma, quel poco di malto a dare pienezza, e la spalla delle amarene a pulirti il lunghissimo sorso che centra il difficile equilibrio tra corpo, acidità e dolcezza. Una birra perfetta.

Haandkriek: dall’artigianale Haand Bryggeriet, una rara e convincente Norwegian Kriek con amarene; di nerbo diretto e verticale, come direbbero gli sciampagnisti, la beva è asciutta e instancabile. Ma gli 8 gradi si annunciano presto nei nostri climi.

Settembre: dal Birrificio del Ducato uno sguardo sul “vino nella birra”. Questa etichetta è una sour-ale cofermentata con malvasia. Tutti i profumi del vino li trovate sul corpo di una birra pallida, fresca e beverina. Ma a non saperlo potreste avere il dubbio di stare bevendo davvero una malvasia di Camillo Donati giusto un poco annacquata. Contaminazione straniante!

Hanssens Lambic Experimental Cassis: il nome dice tutto. Una birra funky: naso sgraziato, francamente puzzolente con rimandi al ribes nero; dall’aspetto bruno-violaceo, di beva scomposta, squilibrata, violenta e difficile. Perché? È il brett, tutto questo? In lontananza, il frutto.

E poi c’è tutto il resto, che non si è bevuto; umanamente riesce impossibile anche al più assetato dei tedeschi. Pescando dal catalogo c’è di che stupirsi, e poi ancora ed ancora. La domanda è se non si stiano battendo vie analoghe a quelle dei vignaioli “naturali”, qui ancora più estremizzate, alla ricerca spasmodica della dissonanza, del «ce l’ho più strana io» e via elencando. Ma il pubblico sembra gradirlo quanto la musica rock sparata a volumi da stadio.

Così va il mondo-birra d’avanguardia.

 

 

 

 

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

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