La femmina parkerizzata e quella naturale, punti di contatto ma soprattutto differenze
di Sara BoriosiL’altro giorno per la prima volta mi sono concessa una passata di acido glicolico in faccia. Mi si è staccato il primo strato di epidermide che ha portato via le rughe da vaffanculi sedimentati in sei anni di lotte all’ultimo sangue e rese senza armistizio. Dopo aver parlato con la dottoressa che ha reso possibile tale miracolo, quando sono tornata a casa mi sono concessa una bottiglia celebrativa grazie alla quale hanno preso forma alcuni pensieri connessi all’operazione di peeling avvenuta ore prima.
Tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta le donne che svalicavano la trentina, per piacersi, si parkerizzavano. Belle di una bellezza a 3 atmosfere (in senso pneumatico), buona per palati grossolani alla Donald Trump il quale tuttora sostiene la causa con vigore, si riconoscono ancora per quel dettaglio fuori posto in un’allure che con il tempo si è fatta più interessante: una bocca con i cuscinetti al centro di un viso non più tonico, oppure seni prosperosi innaturalmente montati su di un corpo svuotato del collagene naturale sufficiente a tenere su quel bendiddio, la totale cancellazione delle inevitabili naso-labiali che rendono il soggetto l’anello di congiunzione tra un essere umano e il gatto della zia.
Con lo scavallare del Millennio, per reazione a tanta sovraesposizione di bellezza da bere in poco tempo, sono comparse le donne in sottrazione: dritte, affilate, austere e probabilmente un po’ stronzine. Pochi frutti e più lame taglienti, sorrisi concessi col contagocce a far da raro contorno a quella che è stata la farsa più farsa del Duemila, altro che Millennium bug: la ricerca del trucco invisibile. Tutte le donne che cercavano la verticalità hanno speso i migliori stipendi nel makeup che potesse garantire la chimera del trucco invisibile, cioè la capacità di essere bellissime seppur apparentemente struccate.
Adesso che la deriva è quella del naturale, finalmente possiamo rilassarci. Le donne naturali passano dallo stato di ragazze a quello di ragazze anziane senza essere mai signore.
Più che donna in rinascita, io mi sento donna in ricrescita e ogni riferimento alla sopraggiunta necessità di tinta mensile e/o ceretta è, diciamo, non intenzionale; perciò questa immersione nel peeling chimico la vivo con un po’ di senso di colpa nonostante la soddisfazione del risultato. Però mi va bene così, qualche stortura della coscienza va accettata perché nella mia natura.
Per le donne pop, quelle che hanno sempre qualcosa da dire su qualsivoglia argomento enoico e non solo, quelle della sovraesposizione mediatica, che spingono come arieti per entrare nel piccolo mondo dorato della riconoscibilità all’interno degli eventi legati al vino, ecco, loro non passeranno mai di moda: facciamocene una ragione.
[Immagine: Money.cnn.com]
12 Commenti
michele a. fino
circa 7 anni fa - LinkAdorabile.
RispondiSara
circa 7 anni fa - LinkGrazie Michele!
RispondiNelle Nuvole
circa 7 anni fa - Link"Tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta le donne che svalicavano la trentina, per piacersi, si parkerizzavano" Ma manco pe'gnente! Scusa Sara, ma almeno dalle parti nostre, cioè nell'Italia di quegli anni, avevamo altro da fare. La parkerizzazione estetica non veniva considerata, eravamo troppo occupate ad inebriarci del fatto che la nostra generazione, cioè le trentenni, piaceva un casino finalmente! Piaceva così com'era, con la storia di tre decenni appiccicata alle nostre facce. La perkerizzazione tridimensionale dei lineamenti era lasciata alle ballerine danzanti intorno a chi compariva sui giornali da parrucchiera. Questo per rispettare la verità storica. Casomai in quegli anni si manifestava per la prima volta l'esibizione di pance maschili tartarugate, quelle sì parkerizzate. A parte ciò, il tuo scritto mi ha divertito molto as usual.
RispondiMammamsterdam
circa 7 anni fa - LinkPerché adesso che grazie a tua sorella, Sara, stiamo sdoganando i profumi terziari, la parkerizzazione ci fa un baffo. Anzi, un baffetto, passa la cerettà va.
RispondiSara
circa 7 anni fa - LinkBarbara, spero di vederti presto!
RispondiMarco
circa 7 anni fa - LinkSe posso: devo fare una critica. Il pezzo di per sè è anche divertente ed è simpatica la analogia proposta, però.... Però siamo su Intravino, per cui mi aspetterei si parlasse di vino; invece sono arrivato alla fine dell'articolo e nisba, niente. La Boriosi scrive bene, dovrebbe scrivere però di vino, raccontare storie di vignaioli, storie di vini, storie di bottiglie assaggiate, storie di bottiglie non assaggiate. Altrimenti pazienza, quando vedrò il suo prossimo articolo lo salto a piè pari e mi dedico ad altro.
Rispondisergio
circa 7 anni fa - LinkDipende da cosa intendiamo per blog di vino. In senso stretto avresti ragione ma, da quello che ho capito, Intravino allarga i suoi orizzonti anche a temi apparentemente più lontani da quelli da te accennati. Può essere un limite, per me è un motivo in più di attrazione. E risulta, il blog, sicuramente più vario di altri. Poi non è detto che bisogna leggere tutti i post così come si fa(ceva) con i giornali. Ma, leggendo bene, sia pur deboli, i riferimenti al vino ci sono come nel finale.Sara B mi piace perché usa in modo originale autoironia e ironia e direi che la prima serve ad attenuare gli affondi ironici che non mancano mai all'ambiente enoico che frequenta e conosce bene: per me siamo in tema. Saluti, Marco.
Rispondierique
circa 7 anni fa - Linkeh no, eh. almeno qui le discussioni sull'eterogenesi dei fini dei posti di intravino no! altrimenti si finisce come fb dove il 90% dei commenti è sulla legittimità di scrivere ció che il commentato di turno ha scritto. il pezzo è divertente e, quando capisci l'analogia sottesa, ti strappa un sorriso. se poi non piace, basta passare oltre (tanto tutti seguiamo la scia di click prima intravino, poi, in ordine sparso, rizzari, doctorwine, acqua sporca ecc...). e poi se il desk di intravino "passa" i pezzi, e li giudica pubblicabili, bisogna pure un po' fidarsi (identità di testata, of course). altrimenti si finisce a discorrere di meta-blog, e poi mi tornano in mente gli studi (inutili) di scienze della comunicazione. e non sarebbe giusto (che ho lavorato tanto per dimenticare quelle nozioni).
Rispondivinogodi
circa 7 anni fa - Linkmi piace talmente Sara quando scrive ( e mi diverte) che potrebbe discettere di punto croce o di uncinetto e la leggerei sempre (e lo stesso) con immenso piacere ...
RispondiAndrea
circa 7 anni fa - Linkvisto che posso, e ringrazio intravino, sto dalla parte dei poveri. Venti dollari e buone parole, semplici. I commenti, come sempre, noiosetti. Meglio gli articoli. Punto su intravino per l ispirazione e l idea di oltrepassare il concetto di vino fine a se stesso ma che noia i filosofi che vi seguono....
Rispondisergio
circa 7 anni fa - Link@ Andrea. Io trovo pallosi i dibattiti dove non c'è confronto tra posizioni diverse. Trovo noiosa l'omologazione del WEB 2.0. Trovo noioso il conformismo dilagante sui social. Poi è anche vero che non tutti ci piacciono e non a tutti piacciamo: ma lì scatta la tolleranza e se si esaurisce c'è sempre un metodo semplice: non leggere, saltare i commenti di chi ci sta sulle pa... Evitiamoli ma, attenzione, non trasformiamo i blog in tribù digitali, come sta avvenendo sui social. Sono i social, secondo i più recenti studi sul web 2.0, ad aver desertificato i dibattiti dei blog. Ma qualcosa si muove: Twitter è in una profonda crisi e, piano piano, aumentano gli scontenti di Facebook il colosso, insieme a Google, per il quale lavoriamo(v. i Big Data). I blog possono esistere anche senza dibattito come i vecchi giornali ma dobbiamo ammettere, allora, che le promesse del web 2.0 sono in larga parte andate deluse. Per concludere attenzione agli omonimi perché ci sono, nel dibattito, andrea(minuscolo) e Andrea(maiuscolo), sergio e Sergio, e così via. Perché si rischia di sbagliare quando dobbiamo evitare di leggere uno dei loro commenti.
Rispondisara
circa 7 anni fa - LinkGrazie, sono contenta sia piaciuto. Per rispondere a Marco, non sono la persona giusta per parlare del vino in modo didattico; lo faccio tutti i giorni quando lavoro. A me piace osservare quello che gira intorno al vino, e credo che la redazione, quando mi ha proposto di collaborare, cercasse proprio questo.
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