La crisi finanziaria internazionale tra la vendita di Vietti e i ribelli Comité régional d’action viticole

La crisi finanziaria internazionale tra la vendita di Vietti e i ribelli Comité régional d’action viticole

di Pietro Stara

Regolarmente, in contesti storici differenti ma in condizioni di processo similari, il sistema capitalistico produce crisi derivanti da sovrapproduzione di merci che trovano difficoltà di allocazione, provocando stagnazione, caduta dei prezzi, disoccupazione di massa, salari bloccati: ogni crisi di sovrapproduzione è anche crisi finanziaria, con modalità e forme assai differenti. Ma non è questa la sede per parlarne.

Occorre aggiungere, per completare il quadro, che la crisi tocca generalmente beni di largo e larghissimo consumo, ma non possono essere esclusi, a priori, neppure i beni di lusso o presunti tali, come avvenne per la famosa bolla dei tulipani olandesi a metà del 1600. Non dobbiamo dimenticare che ogni testo ha il suo contesto di produzione e, quando Marx scrive che “nelle crisi scoppia un’epidemia sociale che in ogni altra epoca sarebbe apparsa un controsenso: l’epidemia della sovrapproduzione” dove “la società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra generale di sterminio sembrano averle tolto tutti i mezzi di sussistenza; l’industria, il commercio sembrano annientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio” (Manifesto del Partito Comunista), ci troviamo nel pieno di crisi di lunga durata che era maturata nel 1836 negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Due cose, tra loro antitetiche, almeno apparentemente, mi hanno fatto pensare a potenziali fattori di crisi dentro la produzione viticola. Il primo è quello relativo al sovrapprezzo del Barolo, come paradigma di un bene di lusso a prima vista estraneo ad ogni tipo di caduta dei prezzi, di cui l’acquisto di Vietti  non è che l’ultima tappa di un processo che dura da oltre un ventennio ma che, ultimamente, ha avuto una sorta di accelerazione radicale. La seconda è la lotta che, sistematicamente, si ripropone in Francia (C.R.A.V., Comité régional d’action viticole): una richiesta di politica economica protezionistica, coadiuvata da forme di pressione politico-sociale che vagamente rimandano ad una sorta di luddismo intimidatorio.

E’ il caso di rammentare che queste richieste avvengono per vini che si rivolgono per la gran parte ad un mercato di consumo interno. Dunque, per finire senza voler concludere, il prezzo di un prodotto ci racconta molto di più di quanto un semplice elemento numerico potrebbe, ad un primo istante, sembrarci dire. E non esiste, né così è mai stato, un modello di uscita semplicistico nel sistema economico dato e dalle forme di crisi dei prezzi (e di sovrapproduzione) che sistematicamente vengono generate. Coloro che immaginano che un nuovo sistema di tipo protezionistico (si chiami Brexit o uscita dall’euro poco importa), con l’introduzione di dazi, sia condizione sufficiente a determinare un’inversione di tendenza, dimenticano forzatamente che non si torna indietro, ma che, al massimo, si torna in avanti. E nessuno concederà loro il privilegio di una nuova gioventù, di un governo balneare immerso in un cerchiobottismo inflattivo di lunga durata. Ma, neppure al contrario, quelli che pensano che il prezzo sia un prodotto esclusivo di domanda e offerta e che il mirabolante mercato aggiusti, come per miracolo, difformità e storture di ogni sorta, hanno una sufficiente memoria di quanto il liberismo distrugga assai velocemente, e senza pietà, ciò che ha contribuito a costruire e mettere in valore, in profitto e, sempre più spesso, in speculazione.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

7 Commenti

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Montosoli

circa 8 anni fa - Link

Tanto da dire.....ma e meglio lasciare perdere...

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luigid

circa 8 anni fa - Link

Quando, fresco di corso da Sommelier ti chiedono:" Ma perche' le 'grandi' bottiglie arrivano a certi prezzi? Che ci sara' mai dentro?". Uva, gomma arabica, algoritmi, fondi speculativi..

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Alessandro Morichetti

circa 8 anni fa - Link

Beh, è un pochino approssimativo. C'è a monte di tutto una legge di mercato domanda-offerta, non necessariamente gomma arabica e fondi d'investimento. Dentro c'è sempre vino e costa sempre - al massimo, a monte - tra i 10 e i 20 euro. Però se vuoi cose che diventano esclusive tocca pagarle. O bere altro con meno nome e talvolta altrettanta bontà se non di più.

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luigid

circa 8 anni fa - Link

No certo non e' sempre cosi', e per fortuna. Pero' per completezza, quando mi chiedono, anche quelle cose li vanno citate. L'articolo poi, si riferiva proprio a queste problematiche.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 8 anni fa - Link

È vero, è tutta colpa della spietata capacità distruttiva del liberismo se la produzione di ferri di cavallo non riesce più a raggiungere i livelli di cento anni fa. Anche la biada se la passa maluccio, forse è stato Ricardo. O fosse la speculazione?

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Rossano

circa 8 anni fa - Link

Bello vedere che anche gli antiliberisti che citano con padronanza Marx definiscano con tono sprezzante l'ipotesi di tornare ad un sistema di monete nazionali "nuovo sistema di tipo protezionistico", come se fosse una condizione di barbarie economica e sociale. Come dire che anche Marx in realtà era di destra.

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Pietro Stara

circa 8 anni fa - Link

Buon dì Rossano. Non sono in condizione di risponderti compiutamente. Sto scrivendo dal mio cellulare. Due cose soltanto: apprezzo Marx per moltissime ragioni. Non posso definirmi marxista visto che la mia formazione è di matrice libertaria. Marx era contrario al protezionismo. Ci sono diversi scritti che ne parlano ampiamente. Non tanto perché fosse un liberale, ma poiché vedeva nel protezionismo un fattore di freno alla contraddizione capitale/lavoro. Dire poi che il nazionalismo monetario sarebbe, conseguentemente, di sinistra, e viceversa, e' un errore interpretativo di lungo corso che risale ad una involuzione nazionalista (di matrice staliniana) dei comunismi novecenteschi.

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