La classificazione dei cru di Barolo ha senso. Parola di tradizionalista

di Marta Rinaldi

La calligrafia del Fantini sulla sua monografia di fine Ottocento affatica un po’ la vista, ma è bellissima e memorabile quanto la ricchezza delle approfondite indagini dell’autore sulla storia della vite e del vino nella Provincia di Cuneo. Con il piglio dell’osservatore accorto, il Fantini esamina il Nebbiolo e ne rimarca la maggiore o minore attitudine, a seconda della costituzione dei terreni; a sostegno della sua tesi, egli riporta le parole di un’illustre agronomo del suo tempo: “la nostra Provincia è ricca di ottime terre in felice situazione e giacitura, che offrono le uve più squisite, ma questo risultato è dovuto più alla natura che all’arte”.

Non in tutte le annate, infatti, la maturazione si completava al meglio; per “la facilità con cui questa varietà fallisce nella fecondazione e nella fruttificazione, per la sua grande facilità all’Oidio e Peronospora, e per le grandi cure che esige”.
“Svariata bontà” affermava il Fantini: questo principio è ammesso e incontestabile, un assioma per il Nebbiolo, “per quanto certuni vogliano in tutti i modi farmi credere una cosa, che non credono neanche loro”.

Dopo l’arricchente lettura di pagine più che centenarie, eccomi alla classificazione qualitativa delle menzioni geografiche di Vittorio Manganelli: un’iniziativa giusta e necessaria, che posa tardivamente il suo spirito veritiero su una base attualmente confusa e pasticciata.
Leggere le analisi di agronomi, viticoltori ed enologi dei tempi trascorsi, credo serva ad ampliare l’angolo della nostra visuale, fin ad avere la limpida conferma che le diverse periodicità climatiche abbiano sensibilmente influito sulla corretta maturazione del Nebbiolo in una vigna piuttosto che nell’altra, e che il “Nebbiolo non ben maturo, non può che fare un vino scadente”.
Una gerarchia delle diverse menzioni ha quindi senso, guardando alle performances agronomiche che il Nebbiolo lì mostra su un arco temporale vasto e diversificato, fatto di stagioni ideali alla maturazione, ma anche avverse. Ed è, secondo me, in questa valutazione di ampio respiro, che si svelano quei vigneti di eccezionale vocazione, che nella buona ma anche nella cattiva sorte, mantengono un equilibrio vegeto-produttivo tale da produrre uve apprezzabili in quantità, sanità, zuccheri, e acidi, complessità di profumi e bontà di antociani e polifenoli nei mosti.

Il fattore umano, ossia l’interpretazione della materia prima Nebbiolo a livello più tecnico di vinificazione, dovrebbe esser tenuto in secondo piano all’atto della classificazione: mi pare molto arduo stabilire una gerarchia a partire dalla degustazione dei vini, vista l’assenza di un metodo omogeneo nella trasformazione uva-vino.
Per curiosità, ho scelto in modo casuale alcuni diari di famiglia, sui quali sono relazionati gli eventi meteo e agronomici di ogni giorno dell’anno; ho letto i commenti vendemmiali delle annate 1975 1976 1982 1985 1990 1992 1999 2002, e dal 2003 al 2011.
Ci si imbatte in stagioni di “tempo splendido e buone speranze per la vendemmia”, “uve pietose e vendemmia indaginosa e noiosa per marciume acido e peronospora”, “seccumi”, “grande soddisfazione per la vendemmia”, “vendemmia modesta per qualità e quantità”, “gradazioni zuccherine modeste e acidità notevoli per maturazioni inconcluse e muffe che avanzano”.
Nell’arco della variabilità delle annate, con una certa ricorrenza le uve delle Brunate sono “belle perfettamente sane e mature”, talvolta “di gradazione zuccherina soddisfacente, nonostante la pioggia o la grandine”, oppure “discretamente acide nonostante la canicola estiva”.
Mio nonno o mio padre scrivevano, non di rado, di esser molto soddisfatti anche del prodotto di Cannubi-San Lorenzo, o di Le Coste: buoni gradi Babo, mosti “schiumosi e ricchi”, fermentazioni arzille; la Ravera (di Barolo), non essendo esposta al sole quanto i precedenti, e sottoposta alla corrente di aria fresca del bosco della Fava, ha di norma uve di acidità più accentuata, e la giusta maturazione è più ritardata e meno scontata, tant’è che occorre talvolta eliminare dalle viti qualche grappolo.

Tornando nel merito dei tre raggruppamenti proposti da Manganelli, forse alcune menzioni di pregio sono state un po’ sottovalutate e penalizzate; la determinazione di una gerarchia qualitativa delle sottozone è comunque la direzione giusta, a patto che venga azzerata la attuale impostazione, e si realizzino le menzioni comunali, come prima indicazione di provenienza.

70 Commenti

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maurizio gily

circa 11 anni fa - Link

Bel post. Il criterio della costanza qualitativa per individuare le aree più vocate penso che sia tra i più validi. Anche qui però entra in gioco una variabile indipendente che scombina parecchio: l'età della pianta, e quindi la consistenza delle sue riserve, che è il fattore più potente nell'ammortizzare gli stress (siccità, attacchi parassitari, ritorni di freddo). In altre parole, la quantità di legno vecchio. Anche se sul Guyot non è mai moltissima. Ragione per cui forse il Guyot, che sul Nebbiolo si fa solo dagli anni '50-60, non è il sistema migliore per il Nebbiolo. Ecco, l'ho detto. Che la terra si apra e mi inghiotta.

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Carlo Cleri

circa 11 anni fa - Link

...e che sistema di allevamento consiglieresti Maurizio?

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Giovanni Corazzol

circa 11 anni fa - Link

non dubito che il processo sia complicato, ma il risultato sarebbe semplice negli effetti (una dannata etichetta). che ci siano premier cru migliori di gran cru accade facile anche in borgogna. ma solo l'introduzione del concetto di classificazione è capace più di mille bolsi progetti di marketing territoriale a presentare un territorio ed introdurre anche ai consumatori distratti l'idea della complessità che vi sottende (sottende? ho scritto sottende??)

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Che belli questi studi ottocenteschi, che trasudano amore per la propria terra! È quanto sono esatti e precisi, relativamente alla propria epoca. In famiglia abbiamo note di vendemmia che partono da appunti del primo ottocento e arrivano ad oggi, attraverso la "piccola glaciazione" di un paio di secoli fa e ai grandi calori degli anni venti e trenta del ventesimo secolo, molto superiori a quelli del 2003. E ci sono le mappe agronomiche dell'azienda, con le vigne che si spostano su e giù per i colli seguendo il clima. La storia è chiara, non esiste un cru ideale eterno, esistono grandi vigne qui ed ora. Tra cinquanta o cento anni non lo saranno più perché il grande vino nasce dal rapporto a quattro tra terreno, clima, vitigno e uomo; togliamo pure quest'ultimo fattore, ma comunque resta il fatto che gli altri tre si influenzano a vicenda per cui è inevitabile che le zone con potenziale ideale per ciascun vitigno si spostano. Con buona pace dei carotaggi di Borgogna o dei cru aziendali di Bordeaux.

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Rolando

circa 11 anni fa - Link

Mi mancava davvero questo piccolo anello della tua saggezza vignaiola, Stefano, che ti è nel sangue da secoli e che spero che tu la possa tramandare almeno così come l'hai ricevuta a cominciare dal tuo bambino. Ci tengo ad abbracciarti per queste parole: "non esiste un cru ideale eterno, esistono grandi vigne qui ed ora. Tra cinquanta o cento anni non lo saranno più perché il grande vino nasce dal rapporto a quattro tra terreno, clima, vitigno e uomo". Fino ad ora pensavo solo a una simbiosi a tre, dove il vitigno faceva parte del terreno. Immaginavo che mancasse qualcosa, ma non sapevo bene cosa. Ora mi è più chiaro. E ora so che quand'anche finirà la vita sulla Terra, i nostri pronipoti pianteranno vigne, faranno vino e ne berranno discutendone esattamente come oggi anche su altri pianeti, in altre galassie, come a suo tempo fecero i legionari romani lasciati in giro per il mondo conosciuto. Se ci pensi bene, Stefano, questa e' la cosa migliore che tu abbia potuto dire da sempre. Ci hai proiettati nel futuro, tu che hai memoria (e quale memoria!) nel passato e che, com'è facile arguire, agisci nel presente come trait d'union tra ieri, oggi e domani.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Grazie, ma sono complimenti eccessivi per poche ovvietà scritte dal telefonino.

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Armando Castagno

circa 11 anni fa - Link

In effetti la pace dei carotaggi di Borgogna non se la passa male: i confini dello Chambertin-Clos de Bèze sono quelli dal 670 d.C., quelli del Clos des Ursules dal 1399, quelli del Clos des Lambrays dal 1365, ecit, ecit, ecit....

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Mon Cher, sarò sempre ammirato dalla tua sconfinata conoscenza del qui e ora dell'universo mondo enologico. Ma, appunto, è un qui e ora.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Armando, premesso che come sai non conosco la Borgogna bastevolmente per fare qualcosa di diverso da chiedere e non supporre alcunché, ti pongo la seguente domanda, da intendere quindi assolutamente quale non retorica: non è che quei confini sono rimasti fissi nei secoli proprio perché ad un certo punto sono stati... fissati? E' possibile immaginare che, in mancanza di una zonazione-classificazione più o meno formalizzata come quella che ricordi, le variazioni climatiche, avrebbero portato un pochino a zonzo anche le vigne borgognone, così come Stefano ci dice che è successo a Montalcino? C'è da considerare anche che le variazioni climatiche non sono le sole a modificare la posizione dei punti di equilibrio ideali. Incidono infatti anche quelle tecnologiche, senza dimenticare gli usi e i costumi di chi il vino alla fine lo beve, in maniera sempre uguale nella sostanza ma sempre diversa nei modi della vita quotidiana, che ovviamente si adattano ai tempi, disegnando le traiettorie storiche della c.d. cultura materiale.

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Simone e Zeta

circa 11 anni fa - Link

Buongiorno Stefano, scusami il commento leggero in quanto a profondità di analisi, ma ho una curiosità. Immagino che se parliamo di decine e decine di anni, potremo vedere il clima che cambia come una curva che delinea aspetti diversi del solito appezzamento. Un odierno cru d'elezione potrebbe essere a sua volta visto come la migliore media possibile in termini di suolo e microclima durante questo lunghissimo periodo. In sintesi, potrebbero essere sempre gli stessi cru a farla da padrone se visti nel lunghissimo periodo?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

In poche decine d'anni normalmente cambia poco, ma nel corso della vita di mio nonno il limite settentrionale della coltura del grano duro si è spostato da Firenze a Lione. Nella Maremma che entrambi conosciamo ed amiamo non si potevano fare i vini che si fanno ora, e non è solo un problema di tecnologia. Non, in tempi lungi non possono essere gli stessi cru a farla da padrone perché se varia drasticamente la piovosità di un'area (ed accade,altroché se accade) un certo terreno può essere vocato quanto vuoi ma senza acqua, o con troppa acqua .........

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jovica todorovic - teo

circa 11 anni fa - Link

Scusa Stefano, non riesco ad essere daccordo con te. Mi sembra che la tua teoria, per quanto sensata, abbia qualcosa che non me la fa quadrare. Non riesco proprio ad immaginare contadini, vignaioli, che seguono le bizzarie climatiche spostandosi più in su o più in giù. Mi riesce difficile pensarlo oggi figurarsi a pensarlo per i nostri avi. La seconda cosa che non mi convince è che questa tua teorie, se opportunamente estremizzata si sposa, tuo malgrado, alla teoria di quello che sosteneva che non esistono vigne vocate ma popli vocati. Io non riesco ad essere daccordo. La terza cosa è che se dovesse seguire la tua teoria mi potrei incomiciare a convincere che i 3h di vigna che mia moglie possiede in chianti colli fiorentini a 450 msl tra cinquntanni potrebbero diventare Chianti Classico. Spero proprio di no.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Non riesci ad immaginarlo, però l'agricoltura ha sempre funzionato così. In Inghilterra i romani coltivavano la vite, poi non è stato più possibile ed ora lo è di nuovo.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Io penso che il punto fondamentale è che, erigendo strutture di classificazione troppo rigide, delle variazioni nel breve e medio periodo semplicemente non ci si rende conto, perché il prestigio della classificazione offusca inevitabilmente, almeno nel quadro generale, le variazioni di fino della qualità. Si vede anche per i Grand Cru impliciti che sono le più famose etichette commerciali. Prima che un vino celebre sia riconosciuto come decaduto e non più all'altezza del rango, passano interi lustri, a volte più di uno. Lo stesso dicasi per il percorso inverso, quante volte deve dimostrarsi eccezionale e degno dei più grandi vini già affermati un'etichetta poco nota, prima di vedere riconosciuto il suo vero valore. Chi nega l'esistenza e la rilevanza del fenomeno mente sapendo di mentana.

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Montosoli

circa 11 anni fa - Link

Stefano; Grazie per le importanti menzioni di storia... Una cosa ancora non mi e chiara.....almeno cerco di capire.. Se una collina ha una grande esposizione perfetta, un terreno ideale al tipo di vite locale, che e riconosciuta dai nostri avi......perche' questa scelta dovrebbe cambiare con il tempo ? Capisco ed includo il fattore clima.....ma questo vuol dire che li non si piantera' piu Nebbiolo ...perche' fa troppo caldo ...allora piantiamo Cabernet Sauvignon o Nero di Troia....??

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Scusa se non ti rispondo direttamente, ma la risposta è nei post precedenti.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Mi è venuta in mente una risposta che ti dovrebbe essere chiarissima. Hai presente il podere che si chiama I Deserti? Ai primi dell'Ottocento era di miei parenti svizzeri e, nomen omen, non ci cresceva nulla. Ora c'è la vigna, e a occhio mi pare anche che quest'anno abbia sofferto poco la siccità perché ora quel posto è umido.

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maurizio gily

circa 11 anni fa - Link

Simone e Zeta penso che la risposta alla tua domanda sia stata anticipata dal post di Marta, la quale sostiene che in effetti secondo lei è proprio la costanza qualitativa quella che più di altri fattori determina una gerarchia. Almeno su tenpi misurabili in decenni, come la nostra vita: su tempi lunghi quali quelli che misurano i grandi cambiamenti climatici non sarà così, ma in fondo ci interessa relativamente. Armando Castagno la cronologia dei tracciati dei confini in Borgogna è molto interessante. Da quale fonte? Produttori o catasti? Certo che su un arco temporale come questo il cambiamento del clima dovrebbe essere avvertibile. Tornando al "folclore" francese, non credo affatto che sia tutto folclore, ma un po' di folclore c'é. Ed è giusto che ci sia, perchè il vino vive anche di simboli e di miti. Fanno economia.

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Armando Castagno

circa 11 anni fa - Link

Ovviamente catasti. In molti casi ci sono ancora su i muri. Se i confini sono - come ovviamente sono - in qualche caso cambiati per quel processo inevitabile di inclusione di parcelle a quella centrale, "classica", e di maggiore prestigio, non è certo per via dei cambiamenti climatici, i quali io nego recisamente nella loro stessa esistenza se considerati sul millennio anziché sul secolo. O si pensa che prima si vendemmiava a febbraio, poi gennaio, poi dicembre, poi ottobre, ora settembre e in qualceh caso agosto? E' un "respiro", si va a ondate; siamo noi che, ragionando giocoforza sui cent'anni quando va bene, non capiamo chi ragiona sui quattordici secoli; noi ci affanniamo, loro fanno spallucce. Tutto qui.

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Armando Castagno

circa 11 anni fa - Link

E sul secondo punto, solo una cosa: il folclore bisogna poterselo permettere. Cioè avere tradizioni vere, consolidate. Più Saint-Vincent-Tournant, meno Halloween.

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Vignadelmar

circa 11 anni fa - Link

Dovrei riscrivere i miei commento di ieri sera nell'altro post, ma mi faccio bastare quello che Armando ha splendidamente scritto ieri ed oggi. . Ciao

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Roberto Giuliani

circa 11 anni fa - Link

Armando, mi capita di rado, ma questa volta non sono d'accordo con te. La ragione è molto semplice: l'ultimo secolo ha portato dei cambiamenti ambientali dovuti all'uomo estremamene profondi e veloci, cambiamenti che non abbiamo alcuna garanzia di poter mitigare o ricuperare. Se in Africa il lago Ciad scompare perché prosciugato dall'uomo per irrigare i campi, e nel giro di 20 anni ci ritroviamo i venti caldi africani con frequenza triplicata, quancosa farà anche nelle vigne. Ma questo per citare un caso lontano. Ma se tu stravolgi un territorio, riducendolo quasi a monocoltura, elminando boschi ecc. ecc. pensi che il danno sia solo "locale"? Forse non ci rendiamo conto che i tempi sono profondamente cambiati e quanto dice Stefano oggi ha profondamente senso. Il comportamento irresponsabile dell'uomo ha prodotto desertificazioni di territori, il fatto che ogni anno scompaiono migliaia di ettari di boschi è un fatto recente. Mille anni fa i cambiamenti erano lentissimi, non c'era l'industrializzazione, la popolazione era 20 volte inferiore a quella attuale, non esisteva lo smog, l'edilizia sfrenata ecc. ecc. E il clima sta mutando in modo tragicamente accelerato proprio perché il "fattore umano" è un elemento nuovo che incide con prepotenza. Quindi, in sintesi, si può anche fare una classificazione, ma tenendo presente che avrà dei limiti temporali obbligati da un clima sempre più complesso e imprevedibile, ma anche dal comportamento dell'uomo nei confronti dell'ambiente.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Secondo me il rilievo più importante riguardo alle classificazioni è che si sposta l'attenzione dal vino alla terra. Il che non è poco, in positivo ma potenzialmente anche in negativo. E' certamente vero che la terra è l'elemento caratterizzante più importante per la qualità del vino, quindi se si deve scegliere un singolo fattore fra gli altri, questo è certamente la terra. Ma perché scegliere un fattore, quando si ha il tutto? Perché retrocedere alla vigna, quando si può valutare direttamente il vino? Perché "Grand Cru" finisce scritto sulla bottiglia, non solo sul cartello all'ingresso della vigna, e questa ambiguità ovvero distorsione non può essere ignorata. A scanso di equivoci chiarisco che per me una qualche forma di classificazione è necessaria ed inevitabile. Lo stesso sistema delle intere denominazioni non è che classificazione. Dunque si tratta solo di capire fino a che punto è utile spingere il grado di precisazione di tale classificazione, quanti gradi gerarchici utilizzare. Dal mio punto di vista il rischio da evitare è quello che io chiamo del misticismo della Grande Vigna, che dopo la canonizzazione a Grand Cru viene vissuta nell'immaginario collettivo come un pezzo di terra intrinsecamente ed insondabilmente diverso dagli altri, capace di produrre per legge divina vini superiori, non si sa bene per quale concreto motivo. Inutile dire che dal misticismo alla mistificazione il passo è brevissimo. In Italia si rischia pure di cadere nel masochistico, basti pensare a che fine hanno fatto le DOCG, che altro non sono che un primo tentativo di classificazione interna al sistema delle denominazioni. Per il mio modo di vedere si può affrontare positivamente la discussione riguardante il giusto numero e l'opportuna ampiezza delle classi in cui incasellare le varie vigne partendo da una domanda che vedo spesso poco considerata, forse perché facendosi coinvolgere dai tanti succosi aspetti del "come" spesso capita di perdere di vista il "perché". Dunque: a cosa serve, esattamente, una classificazione?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Hai perfettamente ragione, in effetti quando ero bambino vendemmiavamo ai primi di novembre, poi siamo passati ai primi di ottobre, poi a metà settembre e ora di nuovo a metà ottobre. E nei libri di famiglia ho trovato vendemmie a fine agosto, e neppure poche. E anche a fine novembre. Vossignoria scusi se è una finfillacchera, ma a me tre mesi su dodici non par poco. O no? PS e nota che qui siamo nel centro esatto dell'areale del vino, mentre la Borgogna è sul margine nord. Per cui é inevitabile che sentano più di noi i cambi climatici. Il fatto che riescano, come riescono, a fare vini di straordinaria qualità e costante tipologia fregandosene altamente del clima in una zona come quella tecnicamente vuole dire una cosa sola; che sono dei maghi in cantina, così come lo sono del marketing. Tanto di cappello, non si può che inchinarsi di fronte a cotanta straordinaria prestazione.

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Armando Castagno

circa 11 anni fa - Link

Maghi in cantina i Borgognoni? Menti sapendo di mentolo. Al massimo mettono qualche grammo di zucchero o di acido tartarico, quest'ultima pratica ormai in totale disuso. Maghi, stregoni della viticoltura, questo sì. In vigna sono dei fenomeni. Ma in cantina non si fa assolutamente nulla nel 97% dei casi; il proverbio "dès que c'est dans la cuve, (mon travail) c'est terminé" ("una volta che il mosto è nella cuve, il mio lavoro è finito" - il nostro, spesso, comincia, nel cercare lo "stile" aziendale o del mercato "di riferimento" o dell'enologo portapremi) non è il motto dell'Assoenologi, ma un vecchio adagio dei vignerons borgognoni. Marketing, poi. Come no. Da morire dal ridere. Le scarpe vecchie le mettono all'ingresso di casa quando arrivano i giornalisti, così fa molto vecchia Borgogna, un po' blasé, un po' zozzona. Poi quando andiamo via rimettono tutto a posto.

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Riccardo Campinoti

circa 11 anni fa - Link

Concordo con Armando, mai visto cantine piu' spartane e anti tecnologiche di quelle viste in Borgogna. E poi basta assaggiare i vini per capire che di magheggi in cantina ne fanno ben pochi. Stefano, ti volevo fare una domanda, tu hai circa 100 ha di vigneti a Montalcino, come fai a essere contrario alla zonazione? Possibile che siano tutti uguali??

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Vignadelmar

circa 11 anni fa - Link

Sono sbalordito e basito! Mi chiedo se sia il caso di organizzare viaggi in Borgogna con torpedoni obbligatori per gli italici produttori enoici....dai scherzo, però quello che leggo da un paio di gg su Intravino mi deprime. Noi in Italia abbiamo cantine tanto pulite da sembrare sale operatorie, tanto belle (forse inutilmente belle) da sembrare cattedrali o opere d'arte. Dentro vi operano molteplici figure professionali di pregio, spesso esterne. Spesso si è reticenti a far assaggiare i propri vini, specialmente se vecchiotti. . In Borgogna abbiamo vigneron che quando ti ricevono sono abbigliati peggio di un Camallo dopo aver scaricato una nave piena di grasso animale, cantine poverose, sporche, umide, con spessi strati di muffe, enormi ragnatele secolari con ragni enormi che rischiano di divorarti se ti distrai troppo. Ti danno da bere in improbabili bicchieri neppure troppo puliti ma senza che glielo chiedi ti fanno assaggiare da tutte le barrique (ma come faranno a fare del vino buono utilizzando quel demoniaco mezzo di alterazione del vino?) e quando hanno finito si passa alle bottiglie datate. Spesso se gli chiedi un depliant non sanno nemmeno di che cosa stai parlando. E cosa ben più grave neanche hanno un disciplinare che li obblighi ad usare il pinot nero al 100%...... . Ciao

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Montosoli

circa 11 anni fa - Link

Roberto; Capisco la industralizzazione, diciamo del Italia......il cemento che avanza....ma teniamo anche conto di quanti terreni umili che 50 anni fa erano coltivati per sfamare e ora madre natura si e ripreso indietro tutto....perche nessuno li coltiva o pulisce... Sui 8000 e passa comuni italiani, quanti dei piccoli hanno visto parte del loro territorio verde diventare Parco o zona verde perche nessuno li accudisce piu.....

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Roberto Giuliani

circa 11 anni fa - Link

certamente, come in tutte le cose c'è anche "l'altra faccia della medaglia", ma questo non cambia che nel mondo attuale i cambiamenti sono molto più accelerati di un tempo, pertanto non si può paragonare la nostra realtà con quella di secoli fa. La classificazione si può fare, almeno sulla carta, l'importante è avere chiaro che non può essere definitiva ma necessiterà di aggiustamenti e modifiche nel tempo.

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maurizio gily

circa 11 anni fa - Link

In verità, Stefano, a me pare che non riescano affatto i borgognoni ad avere una costanza qualitativa: proprio perchè sono in un territorio limite, e giocando sul limite si fanno le eccellenze quando va bene e si rischia molto quando va male. L'effetto annata in Borgogna è molto violento, il 2012 ad esempio è una tragedia; loro ammortizzano con abbondanti tagli tra annate diverse ma è ovviamente uno stratagemma. Le analisi climatologiche di lungo periodo,sebbene non del tutto attendibili, dicono che stiamo tornando alle temperature del basso medioevo, cioè un'epoca importante per la delimitazione dei confini dei cru; in mezzo c'è stato un periodo più freddo, culminato con la piccola glaciazione del 1750 circa, dove i ghiacciai in Europa hanno raggiunto la massima estensione dell'ultimo millennio. In effetti tendenzialmente i grand cru sono situati, all'interno di un'area con suoli abbastanza simili, dove c'è la radiazione solare maggiore, un criterio sicuramente valido in tempi "freddi", ma ... Probabilmente è vero quello che dice Roberto sull'accelerazione dei fenomeni, e sebbene non tutti concordino sul fattore antropico come causa principale del riscaldamento, la discussione non è sul se, ma sul quanto.

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jovica todorovic - teo

circa 11 anni fa - Link

@gily e cinelli colombini ho letto delle cose opinabili, teorie bizzare, valutazioni che potrei tollera se fatte da appassionati in buona fede (1) e ignorando (2) l'argomento agronomico. Siccome nel vostro caso mi sento di poter escludere la (2) devo escludere anche la (1). Non di rado capita di avre un'annata anticipata di 15gg e quella successiva posticipata di 15gg dovrei quindi dire che a causa del global worming ho perso 1/12 di anno. Ma figlioli almeno voi. precisazione doverosa in borgogna sono dei Draghi a fare il vino non Maghi drago - neologismo giovanile che indica un'universalmente riconosciuta e inecuivocabile straordinaria dote vi ricordo che con le mane nel metanolo ci siam finiti noi e non altri.... cerchiamo di focalizzarci di più sul nostro orticello che c'è tanto d afare e pensare meno a quello degli altri con grande simpatia :-)

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Per Armand - la vita è sempre un pó una menzogna, dipende da che parte si vedono le cose; i borgognoni sono naïf ed è vero, ma è anche vero che quando mi parli di catasti dell'epoca del buon Clovis come base per valutare la qualità mi scompiscio dal ridere. Convengo con te che sono maghi in vigna e curano le barbatelle meglio dei loro bimbi è certo che possono ridurre gli effetti dei macro cambiamenti, a questo aspetto non avevo pensato, ma da qui ad eliminati del tutto il salto è lungo. Anche io nella mia modestia ho ridotto a poco il danno da trend al riscaldamento passando al cordone libero, ma ho anche aumentato le vigne nelle zone alte e ho spiantato quelle nel bollore. Che negli anni settanta mi davano il meglio. E questa è una riposta anche all'amico Riccardo, sono contrario ad una zonizzazione fissa perché si che il clima cambia ma potrei accettarne una rivista ogni decennio. All'amico Vignadelmar - non confondere ammirazione con adorazione, i borgognoni sono bravi ma quando mi dicono che il loro bellissimo mondo attuale è uguale a sè stesso dal tempo di Noè mi sento preso per il culo; parliamoci chiari, sia in Francia che in Italia il vino moderno è nato nell'Ottocento, il resto magari c'é ma ......

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Vignadelmar

circa 11 anni fa - Link

Insomma Stefano, per favore, mi diresti quali sarebbero secondo te le pratiche "strane" che i produttori borgognoni metterebbero in atto? Lo chiedo perchè corriamo il rischio di parlar male di loro forse accusandoli di niente di concreto se non di un vago sentimento antifrancese o antiborgognone che ogni tanto sembra affiorare. Così come un non tanto vago desiderio autoassolutorio ed altrui irridente. . Non si tratta né di adorare né di ammirare. Si tratta di conoscere, sapere, viaggiare. . Ciao

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Scusa, ma dove ho scritto che fanno cose strane? E un vago sentimento antifrancese l'ho sentito solo quando ci hanno fregato l'europeo di calcio, ma era parecchio vago. In tutto quanto ho scritto mi limito a confermare quello che la stragrande maggioranza degli scienziati dice; il clima cambia, velocemente e di brutto. O neghi che il cambiamento ci sia, come legittimamente fa Castagno, o tutto il resto del ragionamento é solo la logica conseguenza di questo assunto. Tutto qui. PS per quasi tutta la mia vita ho passato più della metà di ogni anno all'estero a vendere vino. Forse qualche pezzettino di mondo (in modo non turistico) l'ho visto.

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Vignadelmar

circa 11 anni fa - Link

Stefano, forse mi sono espresso male ma non intendevo dire che tu non abbia viaggiato, volevo solo rimarcare che l'idea che hai proposto della produzione borgognona è, secondo me, molto distante dalla realtà. Inoltre con l'aggettivo "cose strane" intendevo riprendere il concetto da te espresso sui vini borgognoni fatti principalmente in cantina, intervenendo certamente lecitamente ma in maniera pesante sul ciclo produttivo, appunto in cantina. Questa a me è sembrata la lettura che ci hai proposto ed a questa rispondevo. Nulla di più. . Per il resto ognuno rimane della propria idea ma continuo a pensare che tanta parte della produzione italiana avrebbe molto da imparare da un'attentissimo studio della realtà borgognona. Non per copiare, per capire e provare, chissà.....

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Sono conscio che sulla Borgogna (e su mille altri vini lontani dalle mie terre) sono un ignorante; tutto quello che só mi viene dalle chiacchiere tra gente del settore raccattate in tanti angoli del mondo, e da qualche visita casuale. Davvero troppo poco per dare giudizi, e lo so bene. Infatti l'intervento era sulla zonazione, e sul fatto che quando si parla di storia del vino risalire mille quattrocento indietro mi lascia perplesso. Tutto qui, buon fine settimana Vigna.

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jovica todorovic - teo

circa 11 anni fa - Link

inequivocabile mani

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Sempre per l'amico Riccardo. Dici la verità, ho tanti ettari di sangiovese a Montalcino e tutti in zone che sono sempre state reputate molto vocate, per cui a me la zonizzazione converrebbe molto. Verissimo. Ma a te? Guarda che negli anni settanta era molto più freddo di ora e quel bel colle alto dove abiti era ritenuto da tutti totalmente inadatto per la viticoltura. E in quel momento lo era davvero, non era uno sbaglio. Però oggi il clima é cambiato, e in quelle stesse terre tu fai uno dei Brunelli migliori. E allora come la mettiamo? La terra è uno dei fattori che determinano il potenziale, ma ogni suolo é al suo meglio solo con una certa precisa quantità di acqua, sole, vento e temperatura; se uno di questi fattori cambia, non è piú ideale. E l'iterazione tra tutti questi fattori e il portainnesto, la varietà e il clone è un'altra variabile ancora. La viticoltura é sia scienza che arte, con una componente di fortuna; ridurre tutto ad una mera analisi del terreno, o anche del microclima, mi sembra molto riduttivo.

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Riccardo Campinoti

circa 11 anni fa - Link

Stefano, di fronte alla tua conoscenza del territorio e alla tua memoria storica mi levo il cappello. Pero'.... Per prima cosa la zonazione va vista come occasione di crescita per tutti nessuno escluso. Anzi ne ha di piu' da guadagnare il produttore pinco pallo piuttosto che un Biondi Santi o Soldera. La zonazione deve fare chiarezza e descrivere al meglio le peculiarita' di un territorio vasto come quello di Montalcino e soprattutto isolarne le zone d'eccellenza. Presentarsi in giro per il mondo come facciamo noi pretendendo che tutta Montalcino e' zona buona e il vino viene buono a tutti ci fa perdere di credibilita'. Gli appassionati di un certo tipo mettono sempre Montalcino alle spalle di altre zone (Borgogna e Langhe ad esempio). Questo perche' la zonazione e l'approfondimento delle varie sfaccettature di un territorio offrono all'appassionato quello che cerca: l'eccellenza e soprattutto uno stimolo psicologico, qualcosa che lo faccia pensare.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Ti invito a considerare il rischio che l'immaturità di noi produttori trasformi una cosa ragionevole in una rendita di posizione; io ho le vigne nel posto giusto, per cui anche se non faccio nulla vendo a prezzi alti. Ora abbiamo una competizione libera e aperta, dove gente come te se è brava emerge indipendentemente da dove ha le vigne, basta che siano a Montalcino. Io amo le gare aperte, credo che siano il massimo stimolo possibile verso la qualità. Ma questa è solo la mia opinione, anche la tua ha basi rispettabili.

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luca currado

circa 11 anni fa - Link

Salve ... Mi permetto La classificazione ha un senso ed è la direzione giusta . Molto Interessante il lavoro di Vittorio , come dice , una buona base di partenza . Mi piace , forse.... Se posso .... troppi in prima fascia ,taglierei qualche CRU non proprio" storico" e qualcuno il cui comune ha fatto dei danni nella dimensione ..... In via generale mi trova comunque quasi totalmente d'accordo ,totalmente nella forma e struttura . Ma qui ognuno può dire la sua essendo una questione soggettiva . Prima peró, vorrei mettere in evidenza la mappatura ufficiale. È proprio da qui che si deve partire se si vuole fare un buon lavoro. Per me che vivo nelle vigne è stata più un Ni , e un po' mi ha fatto male . Qualche errore di troppo Mi spiego con il massimo rispetto per tutti : -Troppi cru e troppo grandi. -Mancanza di un unico metro di valutazione ( le considerazioni utilizzate per delimitare le sottozone non sono state le stesse per tutti i comuni) - Valutazioni Piu rigide per qualche comune ,oppure "minestrone diluito per scaricarsi un fastidio " per altri comuni ( monforte e altri) . - in qualche caso si è caduti nel reverenziale . In poche parole non é stato un lavoro organico , é mancata una regia e senza andare nel dettaglio lo si vede già dalle macchie di colore sulla carta. Molto meglio il lavoro , all epoca fatto da Masnaghetti . Forse prima di procedere a fare una classificazione sarebbe opportuno ed il momento giusto per fare una revisione , a ridurre sia di numero e dimensione per i cru. Un esempio su tutti Vogliamo parlare della Bussia che parte dal cimitero di barolo e arriva sino alla farmacia Perin in piazza a Monforte ? Su questa base , come si può mettere nella stessa prima fascia le stupende vigne e straordinari vini di Conterno in bussia con le vigne , anch'esse in Bussia , sulla strada nel tratto in fondovalle che da Barolo porta alla Bussia ? 30 anni fa qui c'erano solo pesche e nocciole e zanzare ! Come facciamo poi a spiegarlo e giustificarlo ai nostri consumatori che passano di li ? Io non ci riesco. E questo è solo un esempio , forse il più eclatante. Non vuole per me essere un passo indietro , ma un atto dovuto è necessario per procedere nella giusta direzione della classificazione . Non si può liquidare la cosa così con un ormai è fatta., noi ci lavoriamo , ci viviamo nelle nostre vigne ! Meritiamo di più Una sana revisione utilizzando su tutti i comuni UN UNICO metro. Apriamo la discussione , e quella di Vittorio è un ottima partenza. Ma non corriamo per favore , discutiamone , studiamo la cosa, incontriamoci. Non siamo obbligati a correre per creare una nuova mappa . Rimediare poi agli errori, dopo una classificazione sarebbe impossibile. Attenzione Abbiamo troppe responsabilità verso le nostre vigne , i consumatori , le nostre famiglie e la nostra storia. Saremo maturi , saremo in grado? Questa è la scommessa

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

Ho letto e riletto tutti i commenti a questo post e anche al prcedente sullo stesso argomento. Mi sembra che la discussione in origine riguardi la zonazione dei cru di Barolo e non di quelli di Brunello di Montalcino. Dei primi so veramente molto poco e mi limito a leggere ed imparare, dei secondi qualcosina da dire l'avrei anche io. Mettendo da parte la schermaglia riguardo alla storia dei vini di Borgogna, affidata a penne molto più esperte e cognoscenti, non posso che essere d'accordo con Stefano. E comunque l'idea di una zonazione (che d'ora in poi chiamerò Z per semplificare) a Montalcino mi suscita alcuni interrogativi che sintetizzo così: su che cosa si dovrebbe basare la Z, sulla situazione attuale o andando indietro di 5, 10, 20 anni e oltre? Perché se si dovesse partire dal 2012, non ne capisco il senso. Ci sono vigne di Brunello piantate da tempo nei fossi,o in piano lungo la ferrovia e l'Ombrone dove prima c'erano i peschi o viti che facevano vino da taglio scadente. Ci sono vigneti in produzione da anni in mezzo alla nebbia che viene dall'Asso, o nella creta che guarda ad ovest verso la Val d'Orcia. Terreni che un tempo servivano per pascolare le pecore. Per un'eccezione come le Ragnaie, che fa un ottimo Brunello borderline da una vigna detta vecchia, ma che è molto più giovane di me, ci sono altri vini chiamati Brunello che un tempo nessuno si sarebbe sognato di produrre. Non sto parlando dei "pasticci" recenti, bensì del fatto che ormai a Montalcino il Brunello viene prodotto da Sangiovese piantato in luoghi non vocati né in passato né nel presente e nemmeno nel futuro. Non si può certo tornare indietro, ma circoscrivere la produzione in serie A, B o C in base alla tipologia del suolo e all'esposizione, mi sembrerebbe se non una grande ipocrisia almeno una notevole ingenuità.

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Gianpaolo Paglia

circa 11 anni fa - Link

Concordo su un punto che hai toccato che mi sta particolarmente a cuore. La maggior parte delle denominazioni italiane sono state disegnate seguendo i confini amministrativi e non quelli vocazionali. Il risultato e' che molte vigne si trovano in zone non vocate, anche in palese contraddizione con i criteri del disciplinare (per es. nei fondovalle). La risposta automatica italiana e' che non ci si puo' fare niente. Io non credo che debba essere cosi'. Come negli altri paesi, dopo un certo numero di anni si demoliscono i vecchi palazzi e i vecchi quartieri ormai non piu' adatti, cosi' si dovrebbe trovare un modo per correggere questi sbagli, che pesano sulla qualita' e quindi sul valore di molte denominazioni. Se alla fine e' una questione di soldi, che si trovi una soluzione di lungo periodo, anche venti o trenta anni, per sanare la situazione, leggi estirpare o derubricare queste vigne dagli albi delle doc, mettendoci le risorse che oggi si usano per sovvenzionare gli impianti, vendemmia verde, estirpazione, distillazione, ecc. ecc. In venti anni, che sono tempi ragionevoli per il vino, si trasformerebbero le denominazioni in qualcosa di sensato e di valore per tutti.

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Riccardo Campinoti

circa 11 anni fa - Link

Nelle Nuvole, non e' la prima volta che fai commenti sul nostro Brunello V.V. Mi scoccia risponderti in pubblico ma visto che i commenti li pubblichi su un blog mi vedo costretto a risponderti qui. La nostra Vigna Vecchia e' un impianto di fine anni 60 ed e' cosi chiamata in quanto tipico esempio di toponomastica aziendale in cui si danno per praticita' nomi diversi alle vigne. Abbiamo la vigna lago, la vigna fonte, fornace ecc... La vigna vecchia e' cosi' chiamata in quanto e' la NOSTRA vigna piu' anziana , non certo un vigneto centenario come puoi trovare in altre zone vinicole del mondo. E' comunque un vigneto che ha un'eta media superiore alla maggior parte delle vigne di Montalcino. Ora io queste cose le faccio sempre presente a chi assaggia questo vino siano appassionati o addetti ai lavori e non ho mai preteso di millantare alcunche', se questo intendevi con il tuo commento. Per quanto riguarda la zonazione credo che abbia proprio un senso ora in questo momento storico, dove come dici tu le vigne sono ovunque ed e' quindi fondamentale distinguere tra le varie zone e microclimi

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

Riccardo, mannaggia, mi dispiace che te la sei presa! Davvero.Ti chiedo scusa. Non intendevo assolutamente insinuare alcunché di negativo. Io quella vigna l'ho praticamente vista crescere. Scherzavo sulla mia età. L'ho chiamata borderline per via dell'altitudine. Sto cercando di ricordarmi ne dove abbia scritto precedentemente a riguardo, a parte che sulla mia bacheca di FB. e anche lì non ne ho mai parlato male, perché i tuoi vini mi piacciono davvero. Mi sembra anche di averlo scritto nel mio commento precedente a questo post. Friends? Riguardo alla zonazione dei crus di Brunello, rispetto i convincimenti di tanti, ma a me sembra che sia troppo tardi, per i motivi che ho detto sopra. A meno che prima non si intervenga sulla riduzione dei vigneti tout court come suggerisce Gianpaolo Paglia, suggerimento razionale ma utopico.

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Riccardo Campinoti

circa 11 anni fa - Link

Figurati con internet non si capisce mai se uno scherza o no!

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Gianpaolo Paglia

circa 11 anni fa - Link

Un punto importante che secondo me non e' stato evidenziato in questa discussione e' il seguente: non puo' esistere una classificazione per crus che possa essere presa sul serio se continua ad usare il nome della denominazione di origine sovrastante. Per spiegarsi meglio, in una futura classificazione di questo genere Brunate non si potrebbe chiamare Barolo, ma solo Brunate. Lo stesso dovrebbe avvenire a Montalcino. Solo in questo modo i vini piu' indifferenziati userebbero il nome della classificazione, che nel nostro caso sarebbe piu' a livello di "village" che non di AOC Borgogne, mentre solo quelli che potrebbero dimostrare una evidente superiorita' avrebbero il coraggio di abbandonarne il nome e puntare solo sul cru.

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Andrea Gori

circa 11 anni fa - Link

Penso sia una questione di dimensioni, Gevrey Chambertin in Borgogna sarà sempre più piccola di "Barolo" e lo stesso "Margaux" a Bordeaux... non credo che nessun cru di Barolo potrà mai fare a meno della parola Barolo da qualche parte

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Armando Castagno

circa 11 anni fa - Link

Ottima osservazione, ma non si tratta di imporre a Barolo il sistema borgognone. Ci si dovrebbe fermare ai "Premier Cru", non avendo gli altri, nessuno degli altri, nemmeno "Cannubi" o "Brunate", la forza di sostituirsi efficacemente al marchio "Barolo" come DOCG a se stanti, come nel caso delle AOC "Chambertin", "Musigny" o "La Romanée", per dire.

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Gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

quando dici la "forza di sostiuirsi al marchio Barolo" intendi la forza commerciale o la forza in termini di differenziazione di qualita'. Lasciamo stare da parte la questione del marchio (Barolo, Brunello, ecc) che e' ovviamente importante ma fino ad un certo punto, la questione dei cru (premier cru, gran cru, come li si voglia strutturare anche qui non e' di cruciale importanza) gira intorno ad una domanda molto semplice alla quale si deve rispondere: esistono delle ragioni valide, in termine di qualita' del vino, che mi giustificano la differenza tra un Barolo generico e un Cannubi? Se la risposta e' come credo si (altrimenti staremmo parlando di nulla) allora si deve andare per quella strada con convizione, abbandonando il nome "Barolo". E' solo una questione di tempo e di soldi magari da investire, ma alla fine, come dimostra l'esempio francese, quella e' la strada. Un classificazione che mantiene il piede su due staffe parte gia' con poca credibilita' e con poca forza. Una classificazione che non si fa scudo del nome della DOCG invece dimostra autorevolezza, dimostra di credere nella superiorita' del cru rispetto al "generico", e voi mi insegnate che se non ci credi tu, sara' difficile che ci credano gli altri.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Io invece sono contrario ad una prospettiva del genere. Finisce come per i Borgogna, a parte gli esperti, pochissimi consumatori ed appassionati sanno dire con sicurezza in quale comune ricadano gli stessi Romanée-Conti e La Tache, senza parlare di altri Grand Cru meno universalmente celebri. Che cosa significa questo? Che la fama autonoma dei Grand Cru di fatto si sostituisce a quella del territorio a cui appartengono, che viene oscurato e misconosciuto. Si compra e si beve La Tache Grand Cru, non più una delle due o tre migliori vigne di Vosne. Tanto che nella storia sono stati i paesi a finire per chiamarsi con il nome del Grand Cru più famoso, per non scomparire totalmente dall'orizzonte della conoscenza. Il Grand Cru che finisce per vestirsi di misticismo, come succederebbe inevitabilmente se si facesse dei nomi di vigna delle denominazioni autonome e nude, uccide la conoscenza del terroir.

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Armando Castagno

circa 11 anni fa - Link

E qual è l'importanza di sapere in quali entità politiche transitorie - i "comuni" - ricadono le vigne La Tache e Romanée-Conti? Mi sfugge del tutto, ne chiedo scusa. Poi: i comuni non hanno affatto aggiunto il nome del loro cru principale "per non sparire del tutto", ma per fare in modo che anche nei nomi dei semplici vini "Village" figurasse la parolina magica corrispondente alla vigna-traino; un espediente, questo sì, commerciale. Geniale, aggiungo.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Mi riferisco al comune come primo punto per procedere alla collocazione geografica, da cui si può partire per contestualizzare la singola vigna nell'ambito del terroir più ampio di cui fa parte. Si può capire che cosa sia La Tache se non la si colloca nell'ambito delle vigne della sua zona? Si può capire cosa sia la Rionda se non si sa che è una vigna di Serralunga? Se in etichetta c'è scritto "La Tache AOC Grand Cru" e non "Vosne Romanée Grand Cru La Tache", agli occhi dei più La Tache può stare pure sulla luna, l'importante è che sia un Grand Cru. Nell'altro modo si può capire più facilmente che è una vigna di una certa zona della Borgogna, e che è vicina ad altre. Ad esempio Romanée-Conti e La Grand Rue, Grand Cru come lei, ma anche altri come Les Chaumes o Les Suchots, che sono solo dei Premier. Sarebbe così più facile evidenziare similitudini e differenze. Insomma, il gioco del terroir. Quanto al nome del comune, è proprio la logica della piramide rovesciata che a me non piace: il territorio nel suo insieme e nella sua storia che prende luce e forza dalla magnificenza dittatoriale del suo re. Io il vino lo leggo nello stesso modo, ma nel verso opposto.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Insomma, io non ci vedo genialità, ma la dimostrazione di una subalternità rovesciata e ingiustificata, perché non corrispondente alla verità delle cose. E' La Tache ad essere quello che è perché intorno c'è l'insieme dei fattori pedoclimatici che ne determinano l'eccellenza, cioé la zona di Vosne, con la storia della sua popolazione che viene appresso. La terra di La Tache è quella che è perché fa parte di una certa vicenda geologica, idem il clima, idem ogni altra cosa. Non hanno mica imparato a fare il vino chiusi dentro il fazzoletto di terra di La Tache senza mai uscirne, i vigneron che nel tempo si sono succeduti nella sua coltivazione. Quel pezzo di terra spostato in un altro luogo non sarebbe più nulla, mi pare ovvio. Invece il comune di Vosne, si smettesse di vendemmiare a La Tache, rimarrebbe comunque quello che è: uno dei migliori posti al mondo per fare vino, solo depauperato di una sua parte preziosa ma comunque non vitale. Il Grand Cru che lascia cadere il nome del comune è un figlio di enorme talento che diventato celebre ripudia il cognome del padre per farsi chiamare solo con il suo nome proprio. Dimenticandosi che pure quello, insieme alla carne e al sangue, glie lo ha dato il padre. Mi dispiace, ma quest'ottica a me non piace.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

E' il tema della piramide diritta o rovesciata. C'è chi pensa che i vertici qualitativi divengano gradualmente qualcosa di diverso da quanto c'è sotto, per cui il rosso di Borgogna è solo un Borgogna e guai a chiamarlo Pinot Noir, fino al Grand Cru di Vosne che si offende a morte se lo definisci "un Pinot Noir di Vosne". E' la stessa identica posa della Franciacorta quando pretende che non si chiamino i suoi vini se non Franciacorta, "vietando" all'universo mondo di chiamarli per quello che sono, cioé "spumanti", oppure più simpaticamente ed informalmente "bollicine". Se la posa è discutibile a Brescia, per conto mio la è anche a Cuneo e a Digione. Il Monfortino è "solo e soltanto" il più grande e famoso dei Nebbiolo di Barolo. Mi dispiacerebbe molto se un giorno fosse etichettato "Francia Grand Cru Monopole", perché sento con grande convinzione che questi eccezionali vertici qualitativi nascando grazie all'esistenza della piramide diritta, grazie al lavoro umile e silenzioso delle tante famiglie che con verità si sono dedicate a coltivare le proprie viti da secoli, ogni giorno dell'anno, tutti gli anni. Se si dovesse recidere questo cordone ombelicale e il Monfortino non si dovesse chiamare più Barolo, si sfregerebbe la verità storica per sostituirla con una cultura museale ed elitaria troppo innamorata delle classi per portare ancora a guardare per terra, alle marne di Langa e a tutto il sapore che esse hanno.

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Armando Castagno

circa 11 anni fa - Link

Certo che "bisognerebbe". -ebbe, appunto. Non succederà. Sulla domanda che poni alla prima riga: intendevo la forza commerciale, solo quella. E non è poco. E' tutto.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Vedo che la notte ha portato consiglio a tutti, e per strade assai diverse siamo giunti a spanne alle stesse conclusioni. Così scrivevo ad un paio di amici su una messaggeria da palmare, alle 00:22: "in conclusione, io farei area DOC, esclusione delle zone interne non idonee e una sola classe ulteriormente selezionata di vigne ben esposte fine il resto [classi gerarchiche aggiuntive sopra la prima, nda] è distorsivo e sottrae spazio vitale al gioco della critica del vino" Come si vede però il percorso a cui giungo a questa conclusione parte da motivazioni opposte a quelle di Armando, e probabilmente anche di altri. Lui vorrebbe ma pensa che non si possa, io penso che si potrebbe ma vorrei che non si facesse.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"Non si può certo tornare indietro, ma circoscrivere la produzione in serie A, B o C in base alla tipologia del suolo e all’esposizione, mi sembrerebbe se non una grande ipocrisia almeno una notevole ingenuità." Chiedo ingenuamente, visto che non si può tornare indietro ma andare avanti: a Montalcino, e saranno eventualmente diverse a Barolo, a Matelica, etc.. ci sono caratteristiche che differenziano un vigneto dagli altri? Il problema è che la determinazione dell'origine geografica non dice nulla di queste caratteristiche. Al proposito, mi viene sempre in mente la storiella di quel topografo che chiede a un contadino della bergamasca il nome del monte che vedono all'orizzonte e il contadino risponde in dialetto "so mia" ["non so"]. E il topografo scrive sulla carta il nome del monte "Somia". Brunello di Montalcino dice di più?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Ho riletto tutte queste belle e interessanti discussioni e anche io trovo che manda un punto. Le Denominazioni hanno avuto un merito storico, oggettivo e innegabile; hanno rotto il monopolio di pochi, grandi e ben organizzati industriali, permettendo anche a minuscoli produttori sconosciuti di arrivare a ogni mercato con le loro poche bottiglie che però si fregiavano di "marchi collettivi" notissimi come Barolo, Chianti o Brunello. Oggi viviamo il post di questa rivoluzione, ma le Denominazioni non staremmo qui a parlare di cru perchè si parlerebbe solo di rosatello Ruffino o di Santa Cristina Antinori; bellissimi vini e bellissime ditte, ma tutta un'altra filosofia rispetto a territorio e microzone. Ora attenzione a voler essere così sofisticati da pensare di buttare via Barolo da Brunate, magari così si sarà identitari ed elitari al massimo, ma senza Barolo Brunate non esisterebbe.

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Gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

pero' si puo' vedere anche la cosa in un modo diverso. Le denominazioni hanno senza dubbio tutti i meriti del mondo, come giustamente rivendichi, pero' sono figlie dell'uomo, anzi peggio, dell'uomo politico. Se tutte le vigne di una denominazione fossero effettivamente messe in posti decenti, la denominazione sarebbe piu' forte. Ma siccome a) le denominazioni sono spesso disegnate come certi stati africani, col righello, dai politici b) non tutte le vigne sono piantate dove dovrebbero, ecco allora che il concetto e' giusto ma e' perfettibile. Lo dici anche tu che ci sono vigne di Brunello in posti improbabili e altre in posti belli, pero' tutte e due portano lo stesso nome. E' il giusto messaggio per il consumatore? Ecco allora l'esigenza di, non rinnegare, ma evidenziare ancora di piu' il terrtorio, specialmente dopo alcune decine di anni di produzione di qualita'. Non lo prenderei come una cosa sofisticata, ma un aiuto in piu' per il consumatore che sa cosa beve quando acquista un vino.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Sulle Denominazioni il discorso è lungo, ma sulla loro restrizione alle sole zone vocate (a sapere quali sono!) o sulla zonizzazione mi viene in mente una provocazione divertente; caro Giampaolo, se ci pensi bene è la solita vecchia storia della lotta tra mercato e privilegio ereditario. Se tutti in una Denominazione possono competere quelli bravi come te riusciranno sempre a emergere, e a cavare roba ottima anche in posti non proprio perfetti proprio perché sono bravi. Ma se solo quelli che per grazia di Dio hanno il sederino su un terreno premium sono buoni a prescindere, che stimolo hanno a lavorare bene? Normalmente quelli nati nella porpora come me si vedono bagnare il naso da quelli che se la sono dovuta sudare, dobbiamo proibirglielo nei vigneti? Non è divertente la mia provicazione?

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Riccardo Campinoti

circa 11 anni fa - Link

Stefano, rispedisco al mittente questa obiezione. Chi per vari motivi ha vigneti in zone d'eccezione avra' il dovere morale di fare meglio degli altri, non soltanto un vino buono. E anche gli appassionati si aspetteranno da lui un vino di qualita' superiore. Altro che dormire sugli allori!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

In questo meraviglioso paese di eroi, poeti, navigatori e furbi, forse é un filino ottimistico confidate nel dovere morale.

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Gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

ancora una volta, la tua provocazione puo' essere ribaltata. Come e' possibile che ci siano tanti vini mediocri, fatti in vigneti inadeguati e da persone che non perseguono la qualita' ma riescono a vendere comunque, anche a prezzi elevati, solo perche' altri all'interno della denominazione hanno lavorato bene, si sono impegnati, hanno investito? Delle due, mi sembra peggiore questo tipo di parassitismo.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

I parassiti fanno parte del gioco ed è proprio un mercato aperto fatto di DO con tanti produttori su zone ampie (come le attuali) che li riduce a fenomeno marginale e, in definitiva, li contiene; riducendo le DO alle sole parcelle dal suolo celestiale questo problema lo aggravi, perchè aumenti il fattore "premio" della rendita di posizione. Ma questo un convinto liberale come te lo sa meglio di me, dai.

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Gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

io sono liberale, ma il "merito" non e' mai questione democratica, cosi' come la vigna vocata. Io mi posso fare un mazzo cosi' tutto l'anno e non raggiungere i risultati di quel somaro di collega che produce oro senza fare nulla. Su questo non ci si puo' fare nulla, c'est la vie.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"Caro Giampaolo, se ci pensi bene è la solita vecchia storia della lotta tra mercato e privilegio ereditario." Sì, condivido la provocazione. Il problema, però, visto che si parla di denominazioni di origine, è che queste non valgono in Italia, come è già stato da altri detto, come "patrimonio culturale" per capire ma come "marchio" per vendere. Se la questione è vendere vino, lasciamo stare classificazioni, zonazioni, vigneti, etc.. Il linguaggio pubblicitario è molto più funzionale.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Però con il linguaggio pubblicitario vince chi ha più soldi da spendere, ovvero i grossi gruppi.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Francesco, io non estremizzerei. Le denominazioni vengono certamente utilizzate come strumenti di marketing territoriale, come si dice in economichese, ma è anche certamente vero che sono servite e servono anche come patrimonio culturale e per capire il vino. E' successo sul mercato, come ricorda benissimo Stefano, e succede anche per gli appassionati, che senza denominazioni non potrebbero che orientarsi con i vitigni (ma senza denominazioni, che vitigni sarebbero in realtà? già si fa fatica persino con le denominazioni...) e soprattutto con i produttori e le singole etichette. Commercialmente, non è affatto vero che il sistema delle denominazioni sia uno strumento inutile e superfluo, residuale rispetto a quello della "pubblicità". Lo dimostra non solo il fatto che le piccole aziende, frequentemente luogo di forte attenzione alla qualità ed al territorio, non abbiano di meglio. Lo dimostra soprattutto la guerra all'ultimo sangue che le grandi e grandissime aziende con uffici marketing potenti e sapienti hanno portato negli ultimi anni ai fortini consortili per poter disporre a piacimento dei disciplinari. Vuol dire che la denominazione in etichetta rappresenta anche per loro un valore aggiunto insostituibile ed irrinunciabile.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Sì, io scrivevo "meglio la pubblicità" per sottolineare che vendere vino è altro che far conoscere il vino. Nel secondo caso, il ruolo della denominazione di origine è insostituibile, tanto più se la si intendesse come "patrimonio culturale collettivo". Puntare sulla cultura e l'educazione al vino richiede tempi e fatiche ben maggiori rispetto allo spot pubblicitario, soprattutto perché gli obiettivi e le aspirazioni sono diverse. Probabilmente quando si parla di tensione morale, pur concordando con chi dice che oggi in Italia è lontano ricordo, bisogna tener presenti innanzitutto i fini che animano le diverse persone. Puntare a vendere vino è un'aspirazione di un certo tipo, puntare a farlo conoscere di un tipo diverso. Le due non si escludono, ma le giudico aspirazioni profondamente diverse.

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